Dal libro UN’ECONOMIA PER IL BENE COMUNE di H.E.DALY e J.B.COBB jr. – RED edizioni - Como

 

Dalla crematistica all'oikonomìa

 

La disciplina economica come crematistica

 

Aristotele ha introdotto una distinzione molto importante, quella tra ‘oikonomìa’ e 'crematistica'. Il primo termine è la radice da cui deriva la nostra parola ‘economia'. Il termine crematistica, ai giorni nostri, si ritrova quasi esclusivamente nei dizionari più completi. Esso designa quella branca dell'economia politica relativa all'uso della proprietà e della ricchezza in vista della massimizzazione del valore di scambio monetario per il proprietario nel breve periodo. L'oikonomía al contrario, è l'amministrazione dell'economia familiare che mira a massimizzarne il valore d'uso per tutti i membri della famiglia nel lungo periodo. Se si allarga il significato di ‘famiglia' fino a includervi la più ampia comunità che comprende la terra, i valori condivisi, le risorse, i biomi, le istituzioni, il linguaggio e la storia, otteniamo una buona definizione di  'economia al servizio della comunità'.

 

Così come viene praticata attualmente, la disciplina accademica dell'economia appare molto più vicina alla crematistica che all'oikonomìa. Quella a cui si dedica Wall Street è crematistica, del tipo più puro che si possa immaginare. La nostra epoca trabocca di crematisti. Anche il mondo antico aveva i suoi crematisti, ma forse essi non sopravvalutavano l'importanza della loro attività. Consideriamo per esempio Talete di Mileto, che si dedicò occasionalmente alla crematistica. Secondo Aristotele, i cittadini di Mileto criticavano Talete per la sua povertà, come se fosse la prova decisiva dell'inutilità della sua filosofia; in sostanza gli dicevano: «Talete, se sei così intelligente, com'è che non sei ricco?» Per mettere a tacere quegli idioti, Talete decise di diventare ricco.

Grazie alla sua conoscenza dell'astronomia riuscì a prevedere che la raccolta delle olive sarebbe stata abbondante e anticipata. Prese allora in affitto tutti i frantoi della zona a prezzo stracciato, poiché era ancora inverno, e al tempo della raccolta realizzò grossi profitti di monopolio. Molti altri insegnanti da allora hanno tentato di emulare il metodo pedagogico di Talete, ma senza altrettanto successo.

 

Tuttavia, Aristotele e Talete non attribuivano eccessiva importanza a questa piccola truffa. Dopo tutto, Talete non aveva piantato olivi, né costruito frantoi, né scoperto nuovi utilizzi per l'olio d'oliva, e aveva migliorato esclusivamente la propria condizione. Anzi, di fatto, aveva arricchito se stesso a spese degli altri. In realtà Talete ha arricchito il mondo con le sue idee ben più di quanto lo abbia impoverito con l'episodio dell'accaparramento dei frantoi. Altrettanto non si può dire della maggior parte dei crematisti moderni: avvocati azzeccagarbugli, contabili che frodano il fisco, speculatori di borsa, ricattatori della finanza, mercanti di titoli‑spazzatura e speculatori improduttivi di ogni sorta.

 

L'oikonomìa si differenzia dalla crematistica sotto tre profili. Innanzi tutto privilegia una prospettiva di lungo, anziché di breve, periodo. In secondo luogo, prende in considerazione i costi e i benefici per l'intera comunità e non solo quelli di chi partecipa a una transazione. Infine, si interessa ai valori d'uso concreti e alla loro limitata accumulazione, anziché al valore di scambio astratto e alla sua tendenza all'accumulazione illimitata. Il valore d'uso è concreto: ha una dimensione fisica e corrisponde a un bisogno che può essere oggettivamente soddisfatto. Insieme queste due caratteristiche limitano sia la desiderabilità sia la possibilità di un'accumulazione smodata. Il valore di scambio, al contrario, è assolutamente astratto: non ha una dimensione fisica né corrisponde a un bisogno naturale che possa essere saziato, e pertanto non c'è niente che ne limiti l'accumulazione. L'accumulazione illimitata è il fine ultimo della crematistica e questo, per Aristotele, ne dimostra il carattere innaturale. La ricchezza autentica si limita a soddisfare i bisogni concreti a cui è vincolata. Per l'oikonomía è possibile determinare ciò che è 'sufficiente'. Per la crematistica più si ha e meglio è.

 

Nessuna di queste considerazioni ha senso per l'economista moderno, il quale è convinto che la grande innovazione dell'economia moderna sia proprio l'aver sostenuto che la crematistica è l'oikonomía. L'economia come disciplina accademica è al tempo stesso studio dell'utilizzo della proprietà e della ricchezza, al fine di massimizzare il valore di scambio nel breve periodo, e studio del modo in cui la collettività nel complesso beneficia di tale utilizzo. La crematistica tende perciò a inglobare l'oikonomìa È inutile preoccuparsi della comunità in senso lato o dei valori che le ineriscono. È sufficiente la razionalità degli interessi individuali.

Si prenda per esempio la frase di Charles L.Schullze, ex consulente economico del presidente e ora membro della Brookings institution: «I meccanismi del mercato... permettono di ridurre il bisogno di coltivare motivazioni come la compassione, il patriottismo, l'amore fraterno e la solidarietà in vista del progresso della società... Essere riusciti a sfruttare la motivazione 'spregevole' dell'interesse individuale materiale per promuovere il bene comune è forse la più grande invenzione sociale che l'umanità abbia mai realizzato» (Schwartz 1987, pag. 247).

 

Bisogna riconoscere che Schultze dice ‘ridurre' e non 'eliminare' e concepisce il bene comune come qualcosa che è promosso dall'interesse individuale, senza giungere a identificare l'uno con l'altro. Forse è questa la differenza che corre tra la Brookings Institution e la Heritage Foundation. Condividiamo certamente l'idea che qualsiasi istituzione concepita in base al principio che gli uomini siano altruisti e pieni di abnegazione è probabilmente destinata a fallire. Proprio per questo sosteniamo  che i costi esterni vadano internalizzati e non socializzati. L'affermazione di Schultze ripropone, in una versione più accettabile, un'opinione molto diffusa tra gli economisti precedenti. D.H. Robertson, per esempio si poneva la domanda illuminante: «Che cosa economizzano gli economisti?»; e la sua risposta era: «L'amore, la più scarsa e la più preziosa delle risorse» (1956, pag. 154). Paul Samuelson nel suo influente manuale, ha parole di elogio per Robertson. Ma già in precedenza H.H.Gossen aveva espresso l’idea che in tema di amore bisognerebbe assolutamente economizzare in quanto Dio ha voluto che il mondo fosse mosso dall'egoismo, e qualsiasi tentativo sia pur minimo di sostituire l'amore all'egoismo rappresenta un'arrogante ribellione ai piano divino.

 

                Dai tempi di Gossen l'economia ha fatto molti passi avan­ti, ma ha conservato questa tendenza a sopravvalutare l'e­goismo. Pur non negando la forza dell'interesse individua­le, non siamo tuttavia disposti a considerare la compassione, l'amore fraterno, il patriottismo e la solidarietà come ri­sorse esauribili così scarse da doverle usare di rado. Prefe­riamo considerarli alla stregua di muscoli deboli che si sono atrofizzati con l'ozio. Poiché sono deboli, non sarebbe prudente fare affidamento su di loro troppo presto; tua la riabi­litazione richiede esercizio, non riposo a letto. Pur sostenendo in generale l'utilità dei meccanismi di mercato, non pensiamo certamente che il mercato sia, per usare un'espres­sione di Eliot, «un sistema così perfetto da aver eliminato il bisogno della bontà».

 

D'altra parte anche molti economisti hanno osservato che la questione non è poi così semplice. Lo stesso Adam Smith sottolineava, nella sua Theory of Moral Sentiments, che il mercato è un sistema pericoloso, tanto che non potrebbe funzionare senza il freno rappresentato dalla forza morale dei valori condivisi dalla comunità. Il mercato non usa con parsimonia il capitale morale: lo distrugge. Quest'ultimo perciò deve essere rinnovato continuamente dalla comunità. Inoltre, le transazioni di mercato provocano ‘effetti di traboccamento' su terzi.