Parte dell’intervista di Maurizio
Turrioni a Ermanno Olmi
Jesus
– giugno 2001
…. I ragazzi non pensino, però, che il film sia una noiosa
rampogna. È avvincente, spettacolare, forte.
«So che il tema della morte, sullo
schermo, non è di quelli che possano attrarre folle di ragazzi. Ma mi
piacerebbe molto che gli spettatori più giovani si riconoscessero in questo
eroe di 500 anni fa», ammette il regista. «Posso capire che un ragazzo, che
giustamente pretende di farsi consapevole del mondo in cui oggi si trova, abbia bisogno di urlare... Siamo immersi
in una società che ci mortifica, nel senso che siamo circondati da una morte
beffarda che non appare. Perché oggi la morte si camuffa nei cibi,
nell'inquinamento, nell'inganno della comunicazione, nella falsità di
atteggiamenti, perfino nel falso amore di genitori più attenti alla propria
carriera che alle responsabilità di padre o di madre. Ogni bugìa è un segno
mortificante, mortifero. Forse i ragazzi che sfidano la morte è come se urlassero:
"Fatti vedere!"».
Olmi diventa
un fiume in piena: «Cos'è il consumismo se non il simbolo di una società di
morte? Ci dicono di usare un oggetto e poi di buttarlo. Usa e getta.
Nell'illusione di essere ricchi perché godiamo di molte più cose. Che scempio!
Sullo sfrenato progresso di oggi qualche riserva bisogna pure avanzarla. Uno
sguardo indietro può servirci per darci la cosiddetta regolata. Oggi non c'è
più bisogno di guerre, di morti, bensì di vivi da trattare come le "anime
morte" di Gogol. Persone a cui dare il consumismo, certa televisione,
certi spettacoli, il computer, la realtà virtuale... Siamo a una
trasformazione epocale, di cui ancora non si parla pur giungendoci segni sempre
più torli dalla scienza. La clonazione, ad esempio: con la scusa di curare si
aprono scenari aberranti. Qui ha colpa pure la Chiesa».
II
religiosissimo Olmi, il cineasta che come pochi ha saputo tradurre sullo
schermo le emozioni della fede, non ha peli sulla lingua: «È da un po' che
vorrei scrivere una lettera aperta al Papa», dice. «Ma poi ho pensato che
sarebbe stata presa come una forma di esibizionismo e ho deciso di non farlo.
Però, da una parte sentiamo ogni giorno notizie di devastazione dei processi
biologici, animali e vegetali; dall'altra si parla sempre più di clonazione
umana. Allora, perché la "famiglia cristiana", intesa come insieme
di persone che aspirano a essere cristiane (perché, come dice Carlo Bo, bisogna
capire che essere cristiani è un'aspirazione), non si preoccupa di tutto
questo? Perché stiamo sempre a parlare dell'albero della mela proibita, del
peccato originale di Adamo ed Eva, che ci ha reso in fondo uomini consapevoli
attraverso la conoscenza del bene e del male, mentre del secondo albero non si
parla mai? Volevo scrivere al Pontefice per dirgli: Papa, parlaci di
quest'altro albero!».
Di fronte
all'espressione perplessa dell'interlocutore. Olmi si alza dalla sedia e va a
prendere da uno scaffale la sua vecchia Bibbia. «È tutto qui, nei primi numeri
della Genesi, che poi è il fondamento dell'intera Bibbia, cioè del
pensiero di tutta la cultura cristiana», sottolinea. «Sono poche righe, le
leggo testualmente: "Poi (dopo Adamo ed Eva) il Signore soggiunse: Ecco,
l'uomo è divenuto come uno di Noi, avendo la conoscenza del bene e del male.
Ora facciamo sì che egli non possa più stendere la sua mano, ne cogliere ancora
del frutto dell'albero della vita, per mangiarne e vivere in eterno. Perciò il
Signore Iddio cacciò Adamo dal giardino di Eden, perché coltivasse la terra
dalla quale era stato tratto. E dopo averlo cacciato, pose dei cherubini a
oriente del giardino di Eden, armati di spade fiammeggianti per impedire
l'accesso all'albero della vita". Ecco, è di questo altro albero che
bisogna parlare! Non è forse quello che oggi stiamo cercando di fare con
certe presunte conquiste scientifiche, come la clonazione? Ma perché la Chiesa
è così in ritardo? Deve avere il coraggio di pronunciarsi contro le
cosiddette multinazionali, queste superaziende che, in nome del profitto, stanno
violentando la natura e minacciano di disumanizzare la nostra esistenza. Ma non
lo fa. Perché, viene da chiedersi? O è stupida, e non ci credo, o è complice.
Delle due, l'una... Ma, porca miseria: in queste righe ci sono già scritte tutte
le risposte! Che questa sia la Chiesa che oggi ci meritiamo?».
Parole dure.
Toni accorati. Ma non sono le istanze di un contestatore, bensì quelle di un
figlio che, ribellandosi, chiede verità e amore. Perché, dopo la fortunata
esperienza come regista delle riprese televisive dell'apertura e della chiusura
della Porta santa del recente Giubileo (in cui, hanno detto i critici, Olmi è
riuscito per la prima volta a far sentire lo spettatore quasi un concelebrante
accanto al Papa), mai come oggi questo alfiere della spiritualità si è sentito
vicino alla tradizione della Chiesa.
«Ho sempre
considerato la liturgia un fatto piuttosto noioso», confessa il regista,
«tutto sommato, incomprensibile. Ma devo riconoscere che quando il Papa s'è
inginocchiato, dopo aver aperto quella santa porta spingendola, è scattato in
me qualcosa che pensavo di aver superato già da tempo: la liturgia, ossia
tutta questa lentezza nel ripetere certi gesti, ha un suo senso profondo. Sono
in fondo i tempi giusti di qualsiasi vera, sentita riflessione che diventa
ritualità. Purtroppo, oggi non abbiamo più questi ritmi interiori. E dobbiamo
recuperarli».
Maurizio
Turrioni
Jesus
– giugno 2001