Globalizzazione dell’economia e delle finanze…

 

Al servizio del capitale

 

La ricchezza del mondo è cresciuta. Ma il capitale non viene investito in attività produttive, bensì in più lucrative speculazione finanziarie. La gestione capitalistica dell’attuale crisi è tra le cause principali della disoccupazione di massa.

 

di Rodrigo Andrea Rivas (economia e giornalista)

 

Ma, è proprio vero che c'è la crisi? Sì, ma...Anzitutto va posta una questione centrale: a parità di cambio, nel 1900 il prodotto mondiale procapite, vale a dire il quoziente tra il reddito e la popolazione mondiali, era di 300 dollari Usa. Nel 1996, il Pil pro-capite mondiale ha superato i 4.200 dollari. E cioè, malgrado l'aumento della popolazione (moltiplicatasi quattro volte), la ricchezza è cresciuta assai più velocemente. In termini reali, il Pil pro-capite mondiale è oggi 14 volte quello d'inizio secolo.

Tra il 1980 e il 1990, gli anni peggiori dell'attuale crisi, le economie dell'Europa occidentale sano cresciute in media del 35 per cento. Non è poco, anche se si è trattato di una crescita  regressiva dal punto di vista distributivo. In Italia, ad esempio, i salari reali sono diminuiti; ciò vuol dire che i benefici della crescita sono andati tutti altrove, verso il capitale. Forse è anche logico e persino desiderabile. Ma è comunque evidente l'esistenza di un generalizzato pudore che impedisce di riconoscere questo fatto o semplicemente di parlarne.

Sempre tra il 1985 e il 1995, nell'Europa occidentale i redditi di borsa sono aumentati del 350 per cento in moneta costante. E, mentre tra il 1992 e il 1995 la Fiat ha raddoppiato il fatturato, nel solo 1995 le assicurazioni e le banche italiane hanno raddoppiato gli utili. Insomma, il mondo non è mai stato così ricco. Tanto che nel 1996, negli Usa, sono stati buttati via il 27 per cento degli alimenti prodotti e nel 1997 Milano è stata circondata da cordoni di produttori di latte multati perché... avevano prodotto troppo.

Tuttavia, l'aumento della ricchezza, non significa assenza di crisi o di stagnazione. Questa è dovuta al fatto che i profitti ricavati dal sistema non trovano sbocchi sufficienti in investimenti in grado di sviluppare la capacità di produzione. II motivo è semplice: produrre non è un buon affare. Quindi, la gestione della crisi (la politica realistica) consiste proprio nel trovare altri sbocchi all'eccedenza di capitali fluttuanti in modo da evitarne la loro svalutazione massiccia. Si tratta solo di “gestire”, non di “risolvere” la situazione. Perché a lungo andare, una soluzione richiederebbe la modifica dei criteri sociali che regolano la ripartizione del reddito e del consumo, e ispirano le decisioni di investimento. E cioè un altro progetto sociale coerente. Viceversa, la gestione necessariamente produce conseguenze come la disoccupazione di massa.

 

Ogni fase di trasformazione sistemiche comporta una crisi...

Quando oggi si parla di crisi, lo si fa con accento grave, quasi apocalittico. Anche se, nemmeno stavolta, ci sono grosse novità. O meglio: dato che ogni crisi è diversa dalle altre, ogni volta ci sono delle novità, anche grosse. Tuttavia, il punto è che le suddette crisi s'iscrivono all'interno di un universo logico, prevedibile. La natura stessa del sistema capitalistico lo porta a crisi ricorrenti, seguite da relativi momenti di ripresa. Crisi sistemiche vere, non apocalittiche.

Facciamo un esempio: alla fine dell'Ottocento, il mondo si trovò davanti alla “seconda rivoluzione industriale”. E come avviene in ogni fase di trasformazioni sistemiche, comparve la crisi: nuovi prodotti con effetti dirompenti (chimica, acciai speciali, farmaceutica); la ri-organizzazione del lavoro; innovazioni tecnologiche e nuovi mezzi di comunicazione (ferrovie, telegrafo, telefono); l'apertura delle industrie verso îl mercato mondiale, e cioè la delocalizzazione e globalizzazione dell'economia le cui dimensioni furono quantitativamente superiori al fenomeno odierno. Anche gli investimenti all'estero - sempre

alla ricerca di maggiori tassi di profitto - conoscevano  un'espansione. percentualmente superiore a quella odierna:

E perché c'era la crisi, il lavoro cominciò a scarseggiare. Ci fu quindi una forte emigrazione: solo tra il 1885 e il 1900, nel porto di Buenos Aires si registrò ufficialmente l'arrivo di oltre 5 milioni di italiani: oltre 900 al giorno, domeniche e festivi compresi, per 15 anni! E non erano gli unici ad arrivare: complessivamente, tra il 1880 ed il 1900, 36 milioni di europei - tra cui molti di lingua tedesca - dovettero abbandonare il continente. A loro si aggiunsero le migrazioni interne. In Francia si formarono le “ronde di quartiere” per scacciare i “maccaronì”, ospiti indesiderati.

 

Solo l'l,l7 per cento dell'economia mondiale ha come punto di riferimento l'economia reale.

Il capitale si sposta alla ricerca di utilizzi più proficui. II che ci costringe ad entrare nella distinzione tra capitale produttivo e capitale finanziario. Nel 1996, il commercio mondiale di beni e servizi, e cioè di tutto ciò che normalmente viene definito “economia reale”, raggiunse la rispettabile cifra di 6.500 miliardi di dollari, confermando il lungo trend di crescita (tra il 1945 e il 1995, la produzione mondiale si è moltiplicata 5,5 volte, il commercio 15). Sempre nel 1996, lo scambio finanziario quotidiano è stato calcolato in circa 1.500 miliardi di dollari. Scambio cioè di monete, banconote, azioni, fax. Ovverosia, nel 1996, ogni 4 giorni, si sono scambiati valori finanziari equivalenti all'insieme degli scambi avvenuti nella sfera dell'economia reale durante tutto l'anno. Vuol dire che solo l'1,17 per cento dell'economia mondiale ha come punto di riferimento l'economia reale, quella cioè composta da tutto ciò che ha - o può avere - un valore d'uso. Detto in altro modo: nel 1996, a livello mondiale, ogni 100 lire spese, 98,83 sono state dedicate alla speculazione e 1,17 a fini produttivi. Ecco il significato ultimo della gestione liberista della crisi. Cerchiamo di capirci meglio. Supponiamo per un attimo che vinciate 5 miliardi al Totocalcio. Escludiamo che decidiate di spartirli tra i poveri del mondo. Supponiamo invece che vogliate investirli per guadagnarne altri. Analizziamo a spanne alcune possibilità di investimento, limitandoci qui agli investimenti legali e “mediamente” accettabili.

1. Depositate i soldi in una banca svizzera: non male. Ad esempio, con un interesse relativamente modesto, l’8 per cento, un ex presidente delle FFSS si era garantito una rendita di 400 milioni annui, poco più di 1 milione di lire al giorno.

2. In solidarietà col mezzogiorno, volete aprire un'azienda a Palermo, ovviamente in piena regola. Tralasciando la presenza della mafia, questa sarebbe un'opzione da scartare: l'alto tasso d'interesse praticato dalle banche rende l'operazione più costosa che altrove; infine, la mancanza di infrastrutture adeguate influisce in modo determinante sui costi. Investendo nel Mezzogiorno, cioè, guadagnate di meno. Quindi, per decidere di fare un impianto al sud, ci sono due ragioni possibili: la beneficenza (comportamento poco diffuso) oppure le agevolazioni pubbliche.

3. Comprate Bot e Cct. Abbandoniamo ogni ipotesi di tassazione. Già oggi i profitti su Bot e Cct sono modesti; in più, la garanzia concessa da uno Stato indebitato per oltre due milioni di miliardi può risultare meno credibile di altre. E infatti, Bot e Cct rimangono appannaggio, soprattutto, dalle banche e dei piccoli investitori.

4. Decidete di mettere la vostra fabbrica di scarpe nel Nordest italiano del miracolo. Di fatto, dovrete giocare sulla flessibilità degli orari e probabilmente lavorerete e farete lavorare tantissimo. Alla fine, se tutto va molto bene, potete guadagnare un 15 per cento sulla somma investita, ovverosia 750 milioni (ma per arrivarci dovrete fare i conti con un fisco vorace che cercherà di prendervi almeno la metà).

5. vi affidate ad un bravo consulente finanziario che gioca sulle Borse di tutto il mondo. Oggi compra yen, domani vende marchi poi un pezzo di foresta thailandese e Bot di Singapore, zucchero brasiliano, pere dell'Argentina, ecc. II rischio è relativamente forte perché ogni tanto qualche banca crolla. Ma, dice II Sole 24 Ore, chi ha investito oculatamente, si è garantito nel 1996 profitti medi del 40 per cento. Due anni prima, nel 1994, del 50 per cento.

6. Acquistate Roll Programs. II Roll Program è una sorta di Bot garantito dal Tesoro degli Stati Uniti. Sono periodici (anche più di uno al mese), coinvolgono cifre gigantesche (si parla sempre di miliardi di dollari), bisogna avere tanti soldi per parteciparvi (i vostri 5 miliardi non basterebbero per farvi

acquistare le quote minime), si vendono - ad esempio - in Svizzera. Vi garantiscono come minimo un 58 per cento di profitto sul vostro capitale investito in 366 giorni. Questi sistemi (ce ne sono altre varianti), messi in atto a partire dalla presidenza Reagan, hanno permesso agli Stati Uniti di prosciugare sia le eccedenze economiche di altre regioni sviluppate che le risorse del Terzo mondo.

 

In un decennio Africa e America Latina hanno contribuito alla crescita economica degli Usa con 240 miliardi di dollari.

Negli anni 1980-1989 le eccedenze economiche del Giappone, della Germania e dei quattro draghi dell'Asia orientale finite nel sistema bancario statunitense per finanziare il loro deficit pubblico, hanno rappresentato 931 miliardi di dollari (533, 396 e 103 miliardi, rispettivamente). D'altra parte, nel periodo 1982-1992 il saldo negativo dell'America Latina più l'Africa - cioè la quantità di denaro uscita da questi paesi dopo avere contabilizzato tutte le entrate (investimenti diretti, prestiti, doni, cooperazione, rimesse salariali ecc.) e le uscite (interessi sul debito estero, fuga di capitali e rimesse delle multinazionali)-, è stato di 240 miliardi di dollari, per la maggior parte confluiti sempre negli Stati Uniti.

240 miliardi di dollari dal Terzo mondo sono certamente tanti. Ma un paragone storico è illuminante: il Piano Marshall, che servì a ricostruire la struttura industriale dell'Europa occidentale distrutta dalla Seconda guerra mondiale, costò in tutto 13 miliardi di dollari dell'epoca, 60 miliardi di dollari di oggi. II che vuol dire che tra il 1982 e il 1992, il contributo latinoamericano / africano alla crescita economica statunitense è stato uguale a quattro Piani

Marshall.

Tiriamo le somme per il vostro investimento. Lugano è un'ottima destinazione (400 milioni annui). Palermo non è il caso, paga comunque meno della banca svizzera. Bot e Cct sono da sconsigliare. La fabbrica nel Nordest vi può dare un 750 milioni (ma con non pochi problemi sindacali e fiscali). I fondi di investimento possono farvi guadagnare fino a 2 miliardi (se va come nel '96); ma può essere molto rischioso. Infine, i Roll Programs: se riuscite ad entrare, vi daranno 2,9 miliardi. L'unico rischio è che crolli il tesoro Usa. E cioè gli Usa. Cioè tutto. Ergo, si può fare.

La scelta mi sembra ovvia. Aggiungo che questa operazione legale garantisce profitti superiori a buona parte dei mestieri legati al traffico di cocaina ed è assai meno rischiosa. E allora: comincia ad essere più chiaro perché nel 1996, a livello mondiale, solo 1,17 lire ogni 100 è stata dedicata a scopi produttivi.

E l'occupazione? Se la vostra fabbrica di scarpe a Treviso garantiva 50 posti di lavoro, il movimento finanziario non ne crea, o quasi. Ecco perché questa gestione capitalistica della crisi è la prima causa della disoccupazione. L'occupazione, checché se ne dica, non è una delle priorità del capitale; forse neppure per i governi.

Quanto ho appena detto si presenta come una conclusione assai "radicale". Ma è davvero una conclusione estremista? Sì, per il Sistema di pensiero unico. Un certo john Maynard Keynes, padre del liberalismo moderno, scrisse che “quando il capitale finanziario arriva ad acquistare una posizione così predominante, se si vuole salvare la democrazia economica e politica, c'è solo una strada da seguire: l'eutanasia del capitale finanziario”. Parlava della crisi del '29, stava mettendo le basi di ciò che poi si sarebbe rivelato al mondo col nome di New Deal (il programma economico del presidente Roosevelt).

In verità l'espressione “eutanasia del capitale finanziario” suona veramente estrema. Ce n'è comunque un'intera batteria di proposte meno radicali, anche se la stampa ha liberamente deciso di non parlarne affatto.

Mi preme ricordare che liberismo non è sinonimo di liberalismo. Ma chi glielo spiega ai tanti onorevoli e/o ministri più o meno progressisti sparsi in tutta l'Europa?

 

Rodrigo Andrea Rivas

 

Dio Ha cura del mondo, e tu? – CIMI Istituti Missionari Italiani – 1998

 

 

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