AL VIA IL "ROUND DELLO SVILUPPO" DEI RICCHI.

 

LA CONFERENZA DELLA WTO A DOHA

 

Se "un altro mondo è possibile", non era in Qatar che la sua costruzione potesse fare passi avanti. L'accordo raggiunto all'ultimo minuto a Doha alla Quarta Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che segna l'avvio di un nuovo round di trattative dopo la battuta d'arresto di Seattle ("Abbiamo cancellato la macchia di Seattle", ha dichiarato con sollievo il rappresentante Usa Robert Zoellick), è di sicuro una cattiva notizia per il movimento antiliberista. Cambiato il nome - quello che a Seattle si chiamava "Millennium round" è ora definito "round dello sviluppo" - non cambia la sostanza: l'obiettivo dei nuovi negoziati (che partiranno ufficialmente il prossimo gennaio per concludersi entro l'1 gennaio del 2005) rimane quello di estendere la liberalizzazione dei mercati, riscrivendo le regole del capitalismo mondiale a vantaggio delle multinazionali. Un nuovo fallimento dell'accordo, del resto, era decisamente impensabile dopo l'11 settembre: appena consumato l'attacco alle Torri gemelle - sottolineava in un suo articolo intitolato "Jihad del Commercio" l'analista statunitense Greg Palast - già Zoellick dichiarava che "la migliore maniera di affrontare il terrorismo era promuovere il "libero" commercio", e che gli Stati Uniti avrebbero considerato il mancato avvio del round negoziale una sconfitta inaccettabile.

 
Si è fatta però più agguerrita l'opposizione dei Paesi poveri allo strapotere di Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Canada, come dimostra la vittoria raggiunta sull'accordo relativo ai Trips (i diritti di proprietà intellettuale), che protegge gli interessi delle multinazionali in tema di brevetti. La versione approvata afferma infatti che "l'Accordo Trips non impedisce ai Paesi membri di prendere misure per proteggere la salute pubblica", riconoscendo ai Paesi in via di sviluppo, Brasile e Sudafrica in testa, la libertà di produrre farmaci a basso costo, in proprio ma anche ricorrendo a Paesi terzi, indipendentemente dai vincoli dei brevetti, quando è in gioco la salute dei propri cittadini. Una vicenda, questa, a cui di certo non è estranea la questione dell'antrace, che ha visto gli Usa e il Canada, al primo accenno di pericolo per la salute pubblica, mettere in discussione il brevetto vantato dalla Bayer sul farmaco Cyprus.

 

 

Un'alleanza tra imprese del Nord e oligarchie del Sud

 

Sull'altro tema scottante, quello sui sussidi concessi dall'Unione Europea alla propria agricoltura contro gli interessi del Gruppo di Cairns (gli esportatori agricoli del Sud che chiedono un miglior accesso ai mercati più ricchi), l'accordo è stato raggiunto sulla base di un impegno a ridurre "tutte le forme di aiuto all'esportazione, verso una loro eliminazione graduale", ma con la precisazione che tale impegno verrà portato avanti "senza pregiudicare l'esito dei negoziati", vale a dire senza che necessariamente l'accordo preveda l'eliminazione di tutti i sussidi agricoli. Al di là degli equilibrismi verbali, l'accordo non avrà comunque ricadute positive sui contadini del Sud del mondo, configurando anzi "una grande alleanza - secondo le parole del leader del Movimento dei Senza Terra del Brasile João Pedro Stedile - tra gli interessi delle grandi corporazioni del Nord e le oligarchie rurali esportatrici del Sud". L'apertura dei mercati di Europa e Giappone, che permetterebbe di moltiplicare le esportazioni di alimenti in Paesi come il Brasile, non fa che accelerare il processo di liberalizzazione in campo agricolo, togliendo ogni spazio ad un modello di agricoltura fortemente legata al territorio, su piccola scala e rispettosa dei diritti dei contadini e del diritto alla sovranità alimentare. Come sottolinea "Outras palavras" (Bollettino di attualizzazione del portale Porto Alegre 2002) del 12 novembre, "le società che hanno sottomesso la loro agricoltura alla logica dei mercati saranno incapaci di sviluppare politiche che rispettino l'agricoltore e la natura", senza contare che i vantaggi di tale modello ricadono solo sulle "grandi proprietà, che quasi non offrono posti di lavoro e producono con un uso massiccio di agrotossici": le uniche "capaci di esportare in grandi quantitativi ".


In cambio della (parziale) concessione sui sussidi, l'Ue ha ottenuto che venisse inserito nel documento finale un riferimento alle questioni ambientali, relativamente alle clausole di salvaguardia da inserire nei futuri accordi. Riferimento per nulla gradito all'India e a diversi altri Paesi in via di sviluppo, contrari alle clausole ambientali per il timore che possano essere utilizzate dai Paesi ricchi in funzione protezionista. Completamente ignorato, per lo stesso motivo, il tema dei diritti del lavoro, rispetto al quale il Pakistan ha potuto far pesare il suo ruolo strategico nella guerra in Afghanistan.

 

 

Trasparenza zero


Non fanno parte del nuovo ciclo di negoziati - come volevano i Paesi poveri e le Ong - i temi degli investimenti, delle politiche di concorrenza, della trasparenza negli appalti pubblici, delle regole di facilitazione del commercio: la decisione di avviare o meno le trattative su questi punti è stata rinviata alla prossima conferenza ministeriale nel 2003. Non è dunque andato in porto, per il momento, il tentativo di resuscitare quell'Accordo multilaterale sugli investimenti, già fallito nel 1998, che avrebbe conferito un enorme potere alle multinazionali (permettendo loro, tra l'altro, di portare in giudizio gli Stati e di richiedere indennizzi per qualunque misura potesse in qualche modo ridurre i loro margini di lucro, dalla protezione alle industrie locali a una nuova legislazione ambientale). E questo nonostante l'enorme pressione, come ha dichiarato la Coalizione di organizzazioni della società a civile a Doha, esercitata dagli Stati Uniti, dalla Ue e dal direttore generale della Omc Mike Moore "per estendere i tentacoli della Wto" a nuove aree dell'economia globale.


Nessun progresso è stato compiuto sul versante della trasparenza e della democrazia nelle regole della Wto. Forti sono state non a caso le critiche rivolte ai cosiddetti "facilitatori", i rappresentanti nominati unilateralmente dalla presidenza dell'Assemblea per raccogliere, nel corso dei lavori, le opinioni dei Paesi-membri sui temi indicati: talmente favorevoli - tutti, senza eccezione - all'avvio di un nuovo round negoziale, da venir ribattezzati dai delegati dei Paesi del Sud e dai rappresentanti di Ong come "amici della presidenza". Ne riporta un esempio Roberto Meregalli della Campagna Stop Millennium Round: "George Yeo, ministro del commercio di Singapore e facilitatore del gruppo Agricoltura ha dichiarato nella sua sessione che l'Unione Europea non potrà fare concessioni in questo settore ed ha chiesto ai ministri di tentare di adattarsi alla proposta europea. Molti Paesi in via di sviluppo hanno ribattuto che non è compito del facilitatore dir loro a cosa devono adattarsi".

Adista 81 novembre ‘01