Per un'economia leggera,

che si basta

 

Ridurre le emissioni nocive non significa

ridurre il consumo di risorse, le estinzioni delle specie,

i rifiuti o l'effetto serra. Solo un'economia leggera

è anche un’economia sostenibile.

 

di WOLFGANG SACHS

 

 

Ogni epoca ha il suo simbolo. Tanto più potente, quanto più riesce a rap­presentare nella medesima immagine le aspirazioni del momento, an­che le più contraddittorie. L'icona del nostro tempo è l'immagine del­la terra, ripresa dallo spazio. Quel che più risalta, nell'immagine, è il confi­ne circolare che separa la Terra illuminata dall'oscuro cosmo. Questa linea circoscrive il pianeta, ne mostra la finitezza e, per contrasto, evidenzia uno spazio terrestre unico e uniforme, non attraversato da linee di separazione di alcun genere. Il messaggio visivo è chiaro: quel che conta è il confine fisico del globo; i confini politici, al contrario, non contano nulla. Il globo è un sim­bolo della presenza di un confine fisico e insieme dell’assenza di confini po­litici. Non meraviglia che possa servire da logo per movimenti ambientalisti come per imprese transnazionali. È diventato un simbolo del nostro tempo, proprio perché rende visibili entrambi i versanti del conflitto, che dilania la nostra epoca come nessun'altra: mentre da un lato si delinea il confine eco-logico della terra, dall'altro preme la dinamica della globalizzazione econo­mica e dello sconfinamento di ogni legame sociale e culturale.

 

Mentre negli anni Settanta e Ottanta il movimento ambientalista aveva portato alla ribalta i problemi dei limiti ecologici, negli anni novanta predo­mina l'entusiasmo o il timore per l'estendersi di una concorrenza economi­ca sconfinata. Il Summit per l'ambiente delle Nazioni Unite, che si è tenuto a Rio de Janeiro nel 1992, può essere considerato il punto di svolta. Da quel momento, la coscienza ecologica ha cominciato a soffrire d'amnesie, di sme­moratezze d'ogni genere: l'ecologia scompare dai programmi politici anche delle forze progressiste; ogni risorsa e ogni talento è mobilitato per la com­petitività nell' arena sconfinata dell'economia digitale. Abbattere i confini costituisce, infine, l'obiettivo della Ue e del WTO.

 

I promotori di questo abbattimento di frontiere non hanno perlopiù alcun riguardo per le frontiere ecologiche del pianeta, per l'esaurimento delle ri­sorse minerarie e biologiche. Nel caso delle materie fossili, le limitazioni at­tualmente non riguardano i giacimenti, bensì la capacità di assorbimento nel­la biosfera dei gas che si liberano dalla loro combustione. L'effetto serra pro­voca cambiamenti climatici da cui possono derivare cattivi raccolti, alluvio­ni, uragani, siccità, estinzioni di specie viventi. Le risorse biologiche, al con­trario, sono direttamente minacciate nella loro disponibilità. Negli ultimi cin­quant' anni, ad esempio, sono andati persi, a livello globale, un terzo dei ter­reni coltivabili, un terzo delle foreste tropicali, un quarto delle risorse idriche disponibili un quarto del patrimonio ittico.. e non s'intravede un'inversio­ne di tendenza. Al contrario, il crescente impulso alla crescita e alla concor­renza nell'arena globale costringe i giocatori ad appropriarsi sempre più ra­pidamente di risorse naturali senza costo, per assicurarsi la sopravvivenza economica.

 

 

PER UN'ECONOMIA LEGGERA

 

In un Paese come la Germania, l'amnesia ecologica deriva anche dal fat­to che il cielo sopra la Ruhr è tornato ad essere azzurro. Un quarto di secolo di politica ambientale non è stato del tutto vano. Gli impianti di depurazio­ne, di desulfurazione, di filtrazione hanno contribuito a decongestionare la società industriale. Accorte tecnologie ambientali cominciano a produrre qualche effetto; il passaggio dall'economia delle ciminiere alla società dei servizi fa il resto, anche se in compenso crescono le ciminiere in Grecia, in Corea o in Brasile. L'obiettivo di questa politica ambientale era di ripulire il Paese e, in effetti, si è ridotto quell'inquinamento che disturba il naso, le orecchie, gli occhi.

D'altra parte, il miglioramento riguarda i nostri organi di senso più che la tutela dell'ambiente. La quale dipende piuttosto dalle tonnellate e tonnellate di materiale e di energia, che deve essere mobilitata nel Paese e nel mondo per assicurare che continui ininterrotta la fornitura di beni e di servizi. Ma attenzione: un prodotto industriale non rivela immediatamente il consumo di prodotti naturali che comporta. Nel prodotto stesso si materializza soltanto il dieci percento della natura complessivamente coinvolta; il novanta percento finisce nell'involucro, nel trasporto o negli scarti. Così, per ogni cittadino te­desco, vengono prelevate annualmente circa ottanta tonnellate di sostanze dalla natura e altrettante vi vengono nuovamente scaricate come rifiuti.

 

Un'economia più pulita non significa dunque necessariamente un'econo­mia sostenibile. Ridurre l'emissione di sostanze nocive non significa ridurre anche il consumo di risorse naturali, le estinzioni delle specie. il traffico, le montagne di rifiuti o l'effetto serra. Non un'economia pulita, ma un'econo­mia leggera, in termini di risorse impiegate, è la segreta utopia della sosteni­bilità. Un onnivoro più pulito è certo più gradevole di uno sporco, ma resta pur sempre uno strippone.

 

 

UN'ECONOMIA INTELLIGENTE

 

Fin dall'inizio dell'epoca dei combustibili fossili, il progresso tecnico ed economico s'è fondato ~ la natura non fosse da sottomettere. Gli ingegneri e gli imprenditori pensavano di poter contare sul­la sua generosità e sulla sua interminabile abbondanza. Sostenuti da questa convinzione hanno potuto dedicarsi alla ricerca di quelle tecnologie e di quei processi che consentivano di produrre sempre di più, con un impiego sempre minore di manodopera, senza preoccuparsi troppo dei costi che ne derivava-no per l'ambiente. Oggi le circostanze storiche sono radicalmente mutate: la natura è diventata un bene scarso, mentre il lavoro e l'intelligenza sono di­sponibili in abbondanza. Il XXI secolo dovrà dunque dare un indirizzo di­verso al progresso tecnico-economico. L'eccellenza sarà definita in base al­la capacità di rendere la creazione di valore sempre meno dipendente dall'u­tilizzo di risorse naturali. Il punto consiste nel riuscire a ridurre l'impiego di energia e di materiali per unità di prodotto, ossia, in altri termini, ad elevare la produttività delle risorse naturali. Come si può rispondere ad un bisogno impiegando intelligenza, anziché materiali?

 

Naturalmente, occorre innanzi tutto un adeguato sistema di informazioni per il corretto funzionamento del mercato. I prezzi attualmente riflettono i costi di produzione, ma non i costi dell'acqua, della terra o dell'aria. Senza tasse ecologiche il sistema dei prezzi non potrà rispecchiare la reale scarsità relativa delle risorse nei prossimi decenni. Con i prezzi corretti sarà molto più conveniente vendere, anziché acqua o petrolio, qualche tecnica per ri­sparmiarli. Allo stesso tempo, per i produttori potrebbe essere interessante dare in affitto per periodi di tempo prolungati beni durevoli come le auto­mobili, i frigoriferi o le televisioni, anziché venderli. in maniera tale da rea­lizzare un guadagno SUl valore della durevolezza e della riciclabilità. La Rank-Xerox, ad esempio, vende il servizio “poter copiare”, affittando le pro­prie macchine fotocopiatrici e vincolandosi, in tal modo, alla loro custodia, manutenzione e valorizzazione. In un'economia sostenibile i produttori di­ventano provider, e i consumatori diventano utenti.

 

 

LENTEZZA E VELOCITÀ DELLA LUCE

 

Secondo uno dei miti originari della civiltà informatica. il traffico virtua­le è destinato a sostituire il trasporto fisico. Ma accadrà esattamente il con­trario, se l'ingresso nella rete telematica non é accompagnato da una consa­pevole presa di distanza dagli ideali dell'epoca dei combustibili fossili. “Più veloce" e "più lontano" possono essere considerate come declinazioni del principio del "sempre più", che è l'emblema del progresso alimentato dai combustibili fossili. Si parte dal presupposto che la velocità più elevata sia sempre la migliore e che, in futuro, lo spazio non debba più costituire un ostacolo. Ma questi ideali hanno già perso gran parte della loro attrattiva, a fronte delle code e dello stress, e rischiano di diventare pericolose ideologie. se ce le portiamo dietro nel secolo dell'informatica.

 

Se così fosse, infatti, possiamo star sicuri che la miriade di contatti elet­tronici in tempo reale, la cui rete si stende dal vicino di casa fino agli estre­mi confini del globo, porterà prima o poi a un’esplosione dei traffici fisici. Nella comunicazione telematica l'effetto espansivo supererà di gran lunga l'effetto di risparmio. Sono in agguato valanghe di nuovi traffici se nel tra­sporto delle persone e dei beni non s'impone una estetica. che sappia ap­prezzare la misura delle medie distanze e delle velocità moderate.

 

Tanto più che la mobilità nel tempo e nello spazio comporta una mobili­tazione di risorse naturali: l'impiego di materiali cresce in proporzione li­neare con la distanza e in proporzione esponenziale con la velocità. L'ecologia dei mezzi, che si concentra sulla "efficienza" delle tecnologie im­piegate, dovrà essere accompagnata da un'ecologia dei fini, che modelli le aspettative su un'idea di "sufficienza" delle prestazioni. Il futuro è nel diri­gibile più che nel super-rapido.

L'idea di un'economia leggera richiede che, mentre i flussi d'informazio­ni si estendono a livello globale, i flussi di materiali rimangano a livello re­gionale. Lo stesso vale per la velocità. Forse l'utopia del XXI secolo avrà la sua espressione tecnologica nel design delle macchine piuttosto che nell’ag­gressività dei motori, secondo l'idea di vivere con stile in un mondo limitato.

 

 

RICCHEZZA DI TEMPO, NON DI BENI

 

Per decenni s'è dato per scontato che il benessere fosse funzione del red­dito. Il postulato implicito era che il salario fosse sempre meglio del tempo li­bero e che il consumo fosse in ogni caso più utile dell'ozio. Questo presup­posto è sopravvissuto nella società post-materialistica. Il tempo di lavoro schiaccia il tempo libero e il consumo eccessivo riduce la capacità di goder­ne. Sul finire del secolo, almeno per la classe media che rappresenta due ter­zi della società, il bene scarso è il tempo e non il denaro. Comincia a insi­nuarsi il sospetto che un guadagno di tempo possa addirittura compensare una perdita di reddito. Una riduzione del tempo di lavoro e un consumo più selet­tivo possono dare più qualità alla vita. Naturalmente, “lavorare di più - con­sumare di più" rispondeva ai canoni dell'economia di rapina della prima età industriale. Un'economia leggera richiede un'altra idea di benessere.

 

Non sono pochi ormai i pionieri dell'ozio che desiderano maggiore libertà e che percepiscono i normali orari di lavoro come una costrizione insopporta­bile. Anziché adeguare continuamente i propri bisogni a un reddito sempre maggiore, costoro preferiscono, viceversa, ritagliare il proprio orario di lavo­ro secondo le proprie esigenze di vita (che si tratti di imparare il francese, co­struirsi la casa o educare i figli). Questo consente di alleggerire le pressioni sull'ambiente, nonché quelle sulla disoccupazione. Forse nessuno vorrà con­sumare di meno per essere una persona migliore, ma per essere più libero sì. Infatti, è dimostrato: al di là di un certo numero, le cose non servono ad altro che a rubare tempo. Possedere molto può contrastare col vivere bene. E se una persona impara l'arte di trarre molto da poche cose scelte, allora per lei migliora il rapporto fra materia e conoscenza. secondo uno stile di vita che ri­sponde ai canoni di un'economia leggera, oltre che post-industriale.

 

 

UNA QUESTIONE DI OSPITALITA

 

L'immagine del pianeta azzurro mostra la terra, ma non gli uomini. Il che potrebbe alimentare l'illusione che vi sia unicamente un problema di limiti naturali. Invece, al di là di ogni ambientalismo, l'economia leggera rappre­senta anche l'unica risposta alla grande questione sociale del prossimo seco­lo: come potremo rendere la Terra ospitale per un'umanità doppia di quella attuale, senza compromettere il sostentamento delle generazioni future? Le economie ricche hanno ormai passato la misura, non solo della natura, ma anche dell'equità: è noto che il venti percento della popolazione mondiale si mangia l'ottanta percento delle risorse disponibili. Nella prospettiva della vi­cinanza globale. costruire un'economia leggera significa rispondere anche a un'altra sfida: quale livello di benessere si può considerare equo? Il Wuppertal Institut arriva a delineare un “fattore10”: sviluppo sostenibile si­gnifica ridurre il peso dell'economia tedesca sul resto del mondo dell'ottan­ta o novanta percento nei prossimi cinquant'anni, non solo in nome dell'am­biente, ma anche dell'equità. Come ebbe a dire una volta Johannes Rau, in un mondo limitato, l'equità richiede che s'impari, più che a dare, innanzi tut­to a prendere di meno.