Intervista a Susan George
Globalizzazione amara
di
Annachiara Valle
Il
processo di "mondializzazione"? Un paravento dietro cui si nasconde
la fine della tutela dei diritti dei lavoratori. Eppure, secondo la studiosa
americana, in un mondo in cui l’uomo sembra ridotto al suo rendimento
economico, è ancora possibile inventare una democrazia internazionale che nasca
"dal basso".
Alterna
l’italiano con il francese. Ma anche quando parla la lingua più dolce non
smette il suo broncio duro e la sua grinta tutta maschile. Susan George ha
combattuto molte battaglie a fianco dei più deboli del mondo. Ha girato
continenti e Paesi per spiegare le ragioni del debito internazionale e per
suggerire soluzioni. Ha organizzato manifestazioni e dibattiti sulla
globalizzazione e la cooperazione allo sviluppo. La studiosa americana, economista
di fama e presidente dell’Osservatorio sulla mondializzazione, non nasconde la
sua preoccupazione per il futuro e per «le trappole che potrebbero celarsi
dietro le nuove regole imposte al mondo dalle multinazionali e dalle
istituzioni economiche».
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Di quali
trappole parla?
«Le
imprese multinazionali, i mezzi di comunicazione, le istituzioni impongono
modelli inadatti alle esigenze profonde dell’umanità. Questi modelli sono
intolleranti verso le culture diverse e hanno bisogno, per mantenersi, di costi
umani e ambientali insostenibili».
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Eppure
si parla di smantellamento delle regole, non di nuove imposizioni...
«È falso.
In realtà, a essere cancellate sono le norme che hanno guidato finora i singoli
Stati. Le nazioni rinunciano alle loro prerogative, vendono e privatizzano.
Alle loro regole ne vengono sostituite altre, in assenza di trasparenza, create
dalle istituzioni economiche internazionali e dalle multinazionali. Le leggi
non sono più pensate per migliorare la qualità della vita, ma per facilitare la
mobilità delle imprese, dei capitali, degli investimenti. La parola libertà
viene usata a sproposito perché l’unica libertà che si insegue è quella che può
far incrementare i profitti».
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Mi fa
degli esempi?
«Certo.
Basta guardarsi attorno per vedere che le nuove norme abbassano il livello di
sicurezza per i cittadini. Lo abbiamo constatato sul piano della sicurezza
alimentare e di quella sul lavoro. In Lombardia c’è chi propone di abbassare i
salari degli immigrati, per esempio. Si parla di privatizzazione e austerità,
si mettono i lavoratori in uno stato di precarietà assoluta, mentre le
multinazionali proliferano protette dalle loro lobby. Lo ripeto: non è vero che
non ci sono regole, bisogna però vedere da chi sono fatte e a favore di chi».
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Le
proteste di Seattle contro il Millennium round hanno però dimostrato che
la società civile non ci sta ad essere calpestata. Pensa che la società civile
abbia la forza per contrastare il dominio del mercato?
«Seattle è
stato uno sforzo, a mio avviso molto importante, di ridiventare protagonisti
dei processi di cambiamento. La società civile ha detto chiaramente che, se si
devono cambiare le regole internazionali, queste regole non possono essere
imposte dal mercato, ma devono tener presenti i bisogni delle persone. Il
mercato e il commercio sono affari che riguardano tutti. Credo che ci siano la
forza e la consapevolezza per costruire dal basso una democrazia internazionale
che sia al servizio delle popolazioni».
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Quali
strumenti ha la società civile per arrivare a questo?
«Lo
strumento delle alleanze, innanzitutto. Le organizzazioni non governative, le
associazioni, le stesse Chiese hanno una fortissima capacità di mobilitazione e
di pressione. Per questo credo che sia possibile imporre regole di democrazia a
livello internazionale e costruire la società dei diritti».
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Lei si
è occupata a lungo della questione del debito e ha sempre detto che si tratta
di un problema politico e non economico. Ci spiega perché?
«Il fatto
che così tanti Paesi siano indebitati dà un potere eccezionale alla Banca
mondiale e al Fondo monetario internazionale, che lavorano per conto dei
Governi del G7. Il debito permette di tenere a bada i Paesi del Sud meglio di
qualsiasi altro strumento. Solo così si spiega il fatto che non si riesca a trovare
una soluzione per la cancellazione. Quello che deve l’Africa, per esempio, è
una sciocchezza rapportato alle ricchezze del Nord, ma è una cifra impossibile
da pagare per quel continente. Il debito consente ai Governi del Nord di
gestire la politica dei Paesi poveri».
·
Il
vertice sociale dell’Onu tenutosi alla fine di giugno ha ribadito l’impegno
nella lotta alla povertà. Le Ong si sono dette però deluse per l’assenza di
proposte concrete di aiuto allo sviluppo. Come vede lo scenario futuro?
«Ho delle
perplessità, ma nonostante tutto sono ottimista. L’importante è andare avanti
insieme, costruire reti di solidarietà e dialogo, rafforzare le alleanze. Il
nemico è forte, ma Seattle ha dimostrato che la società civile compatta può
imporsi sui poteri forti dell’economia e della politica».
Annachiara
Valle
Jesus – agosto 2000
Susan George,
americana per nascita, vive a Parigi, città sede dell’Osservatorio sulla
mondializzazione, di cui è presidente. Ha alle spalle una lunga militanza in
organizzazioni internazionali: dal 1990 al ’96 ha fatto parte del Consiglio di
amministrazione di Greenpeace Internazionale, e recentemente ha promosso la
campagna contro il debito "Jubilee 2000". Tra le sue pubblicazioni,
ricordiamo Crediti senza frontiere. La religione della Banca mondiale
(EGA, 1994).