GLOBALIZZAZIONE, IL PROGETTO EVERSIVO
DEI “POTERI FORTI” DEL PIANETA
Di Vinicio Albanesi
Andando in giro per il mondo, ci si rende conto di che
cosa sia la globalizzazione. Tutti ne parlano, non capendo che cosa sia
effettivamente. In realtà è più semplice ‑ e più terribile ‑ di
quanto si immagini. In Ecuador, in un recentissimo viaggio, ho constatato che
la moneta di quel Paese era scomparsa. Si chiamava sucre e le monete, il cui
taglio più grande era di 50.000 (corrispondente a 30 mila lire), portavano le
immagini degli eroi dell'indipendenza dei Paese. Hanno decretato che era
migliore il dollaro: 25 mila sucres per un dollaro. Vai dunque in giro per la
città con i centavos e i pezzi da 1 o 2 dollari, perché il salario medio di un
operaio non arriva a 80 dollari al mese - e un pacchetto di sigarette non vale
un dollaro. Se vai dalle parti della Macedonia e del Kosovo, allora la moneta
corrente è il marco tedesco. Così nel mondo intero: tutte le monete sì
rapportano a queste valute forti, che la fanno da padrone nel pianeta. Se dalle
monete risali all'economia reale, non è difficile capire che cosa sia la
globalizzazione. E un progetto che decide l'economia del mondo intero,
stabilendo prezzi, produzioni, commerci, sviluppi. I centri di potere sono
fuori dai Parlamenti degli Stati. La cosa che conta è il guadagno, che diventa
l'unico criterio di ogni azione. II pianeta diventa meno di un popolo. A tutto
campo, senza fusi orari e senza paura di nessuno.
Ci si chiede come mai sia potuto accadere questo. Si sono
concentrati i poteri: finanziario, di comunicazione, di ricerca, di scienza, di
commercio. Addirittura hanno inventato una nuova classe di addetti: li chiamano
"iperborghesi". II criterio è il massimo profitto sempre e comunque.
Non debbono rispondere a nessuno. Volti anonimi di un potere che stabilisce
quali foreste far scomparire, quali conoscenze scientifiche sviluppare, quali
produzioni, quali prezzi, quali prodotti alimentari mettere in commercio e a
quale costo. Tutto viene triturato in una macchina che sembra non esistere
perché non ha un volto definito. Assomiglia a una piovra dai mille tentacoli,
che ha chiarissimo il proprio obiettivo. Ho scoperto un dato che mi ha lasciato
di stucco. La produzione dei prodotti alimentati di base copre in teoria più
del 110 per cento dei bisogni nel mondo, eppure 30 milioni di persone
continuano a morire di fame ogni anno e più di 800 milioni sono
sottoalimentati. Nel 1960 il 20 per cento dei più ricchi del mondo aveva un
reddito 30 volte superiore al 20 per cento dei più poveri del mondo. Oggi quel
rapporto è diventato di 82 volte più alto. Dei 6 miliardi di abitanti del
pianeta, 500 milioni vivono nel benessere, gli altri vivono nel bisogno. Oltre
un miliardo di persone dispone di un reddito inferiore a un dollaro al giorno. Sembra
una cantilena triste, eppure è realtà vera. In un progetto di costruzione di
piccole case (del valore di 10 milioni di lire), in un villaggio dell'Ecuador,
hanno chiesto di quali risparmi disponessero persone di medio reddito
(impiegati, insegnanti, assistenti). Sono rimasto male nel conoscere la
consistenza di quei risparmi: 200 dollari; 350 dollari e così di seguito. Una
misera rispetto alle disponibilità degli occidentali meno ricchi. Così ho
intuito i motivi delle "contestazioni" recenti a Seattle, Washington,
Ginevra, Porto Alegre.
Forse qualcuno ha capito, prima degli altri, che non si
può rimanere in silenzio di fronte a un progetto così eversivo. Non esistono
più diritti e doveri; non esistono più tutele. Tutte le creature sono considerate
"consumatori" di un supermarket al quale possono accedere solo coloro
che hanno denaro. Saranno disponibili prodotti che altri hanno stabilito. Di
fronte alle resistenze ci penseranno i canali televisivi a convincere, con
bombardamenti che non lasciano scampo. Dal torpore delle nostre esistenze
occorre reagire. Ne vanno di mezzo i principi che hanno fondato per decenni le
nostre esistenze. Nulla di eccezionale, ma stanno per essere azzerati i criteri
di giustizia, di solidarietà, di equità, di attenzione. Non possiamo permettere
che qualcuno ci privi definitivamente delle regole di convivenza su cui abbiamo
fondato il nostro crescere e il nostro vivere: il rispetto della natura, la
sicurezza dei lavoratori, il no allo sfruttamento del lavoro minorile, la
garanzia dell'accesso all'acqua potabile (ne sono privi 1,2 miliardi di
abitanti), lo sviluppo dell'istruzione. la tutela della salute, il divieto
della manipolazione genetica, la garanzia dell'intoccabilità del genoma
umano...
Fino ad ora abbiamo vissuto in una specie di torpore.
Probabilmente dovuto a non conoscenza o più semplicemente ai vantaggi che ha
portato la globalizzazione. In fondo apparteniamo ai gestori ‑ anche se
inconsapevoli ‑ della globalizzazione E pensiamo che è vero che può avere
conseguenze negative ma, tutto sommato, è l'unica cosa possibile, perché
sostanzialmente buona. Forse, una volta tanto, dovremmo rimanere attaccati al
dubbio. Se non per noi, per chi ci seguirà.
da Jesus n.9/2000