UN PAESE DEVASTATO

 

Il rischio, quando si prende un campione di sangue per fare il test della malaria, è che se lo mangino gli scarafaggi durante la notte ci spiega l'infermiera. «Le formiche sono un problema ancor peggiore. L’edificio ne è infestato». L’ospedale di Siavonga, sulle rive del lago Kariba nello Zambia meridionale, è in crisi. «Dobbiamo tenere pazienti affetti da tubercolosi nella stessa stanza delle partorienti», dice uno dei quattro medici cubani che mandano avanti a fatica l'ospedale.

 

I dottori sono costretti a prestare cure a pagamento, mentre i pazienti devono procurarsi da soli le medicine, le siringhe e gli aghi nuovi. E se non possono pagare? II dottore alza le spalle. «Lei che dice? Muoiono».

 

La gente sta morendo. In tutto lo Zambia migliaia di vite umane si spengono in silenzio. E non a causa di un cataclisma naturale, ma come diretto risultato delle politiche economiche imposte da pianificatori occidentali senza volto. Da più di vent'anni la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale prescrivono i programmi di aggiustamento strutturale ai paesi africani in bancarotta. Strette fra una fede quasi religiosa nel neoliberismo e gli interessi economici stabiliti dagli Stati Uniti, queste due istituzioni sono insensibili al disastro che stanno provocando. Quasi tutti i paesi del continente si sono ormai piegati alle loro regole. E sull'Africa volteggiano gli avvoltoi.

La Banca mondiale sostiene che il nuovo sistema sanitario dello Zambia è un modello per il resto dell'Africa. «E' vero che non ci sono file», dice Dickson Gere, giornalista freelance, ex redattore dello Zambia Post. «Ma è solo perché la gente muore a casa». Li chiamano "Bid", "brought in dead" (ricoverati morti).

 

All'ospedale universitario di Lusaka (University Teaching Hospital, Uth) sono purtroppo un fenomeno sempre più frequente, specie fra i bambini. «Se vuole vedere l’'effetto dell'aggiustamento strutturale sullo Zambia, vada all'Uth», mi dice Emily Sikazwe, direttrice di Women for Change, un'associazione di lotta alla povertà.

 

Sono andato all'Uth. E' il più grande ospedale di Lusaka, dove finiscono quelli che non possono permettersi cure private. In una corsia affollata vicino all'ingresso principale un uomo si contorce nel letto. «Sto morendo», geme, mentre sua moglie rimane, impotente, al suo fianco. Corpi emaciati rabbrividiscono sotto lenzuola rimediate. Famiglie che si accalcano attorno ai letti, molti dei quali sono materassi gettati sul pavimento, portando cibo ai malati per integrare le magre razioni ospedaliere di fagioli e farinata. In un altro reparto un predicatore arringa una donna morente, circondata dai familiari a testa china. Mentre il religioso brandisce la sua Bibbia, lei tenta disperatamente di muovere le labbra per rispondergli.

 

Malattia e morte

Nel reparto di pediatria l'odore ti si para davanti come un muro. Un odore di muffa e medicinali: l'odore della malattia e della morte. File di bambini sdraiati sui lettini, che lentamente muoiono di malattie come la tubercolosi, la malaria o la polmonite. Dall'altra parte dell'edificio c'è un reparto più pulito e ordinato, dove metà dei letti è vuota. E' il reparto a pagamento, in cui le famiglie, versando centomila kwacha (circa 74 mila lire), possono comprarsi una maggiore probabilità di sopravvivenza. Nel gergo della Banca mondiale questa si chiama "sanità rispondente alle necessità dei pazienti".

 

E non limitatevi ad andare all'Uth. Andate anche a Misisi, o in uno qualunque dei venti "comprensori" di baracche attorno a Lusaka. A Misisi, ad appena un chilometro di distanza dal centro di Lusaka, Masauso Phiri sta di fronte alla scatola di cemento senza finestre in cui abita. Un suo vicino, un vecchio, stava quasi per morire di fame. Fortunatamente si è salvato perché suo figlio è tornato dalla Copperbelt (regione delle miniere di rame). Non è un caso isolato. La gente muore di fame a Misisi. Ma lo fanno in silenzio, spegnendosi nelle loro case, perché si vergognano troppo per avventurarsi all'esterno. Le cose non sono sempre andate così.

 

Nessun futuro

Phiri, come molti dei suoi vicini, ha sentito parlare dell'aggiustamento strutturale. E' a causa di questi programmi del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale che ha perso il suo lavoro come guardia giurata. Ed è sempre per colpa loro che ha perso suo figlio, morto di polmonite a tre anni nel 1996. «So che l'aggiustamento strutturale dovrebbe servire a rimettere in sesto l'economia, ma a me sembra che ci faccia soffrire», dice. «I programmi non si mangiano». Guarda a terra. «Non ho speranza. Non ho soldi, e quindi non posso pensare al futuro. II mio destino è segnato».

 

A Misisi solo una persona su cinque lavora. I disoccupati fanno parte di un esercito di senza lavoro che è nato quando gli economisti della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale hanno deciso che il settore pubblico nello Zambia era "sovradimensionato" e che le aziende avrebbero beneficiato degli effetti della privatizzazione e dell'”apertura" dei mercati alla concorrenza internazionale. II governo dello Zambia si vanta di avere il più rapido piano di privatizzazione dell'Africa. Ma metà delle aziende statali vendute adesso sono in bancarotta. Più di 60 mila persone hanno perso il lavoro come diretto risultato del programma di liberalizzazione economica intrapreso dopo il 1991. Dato che ogni capofamiglia ha molte bocche da sfamare, si stima che attualmente 420 mila persone vivano nella più assoluta povertà.

 

Nella loro disperazione le persone si accaniscono le une contro le altre, e nelle baraccopoli attorno a Lusaka la criminalità aumenta vertiginosamente. Ho partecipato al funerale di una donna anziana, uccisa dai "banditi" a cui cercava di impedire l'ingresso in casa sua. Nell'oscurità, di fronte alla sua abitazione, amici di sesso maschile e parenti siedono attorno al fuoco in silenzioso raccoglimento. Passeranno la notte lì, al freddo, parlando e ricordando. Dentro la casa, le donne piangono. I ladri non hanno preso niente. La vecchia non possedeva nulla di valore.

 

Esnart Banda è seduta davanti a casa sua, a Misisi. Suo figlio è affetto da tubercolosi. «I programmi di aggiustamento strutturale generano povertà» dice Emily Sikazwe, di Worr Change. «E la povertà ha un volto di donna». Infatti, è soprattutto le spalle delle donne che va a pesare il fardello del sostentamento delle famiglie, e le bambine sono le prime a essere ritirate da scuola quando il padre perde il lavoro. Banda, una vedova con cinque figli, guadagna quotidianamente attorno ai duemila Kwacha (circa mille lire) vendendo verdure al mercato vicino a Misisi. Normalmente può permettersi di dare solo un pasto al giorno ai suoi figli anche se il più piccolo è malato di tubercolosi. I suoi figli rientrano in quel 40 per cento della popolazione infantile dello Zambia che soffre di malnutrizione cronica.

 

Vale la pena di soffermarsi sulle cifre. Nel 1980, sotto il vecchio governo "socialista" di Kenneth Kaunda, il tasso di mortalità infantile era di 97 decessi su mille nascite. Adesso è di 202 su mille, il che significa che nello Zambia un bambino su cinque muore prima di aver raggiunto i cinque anni. La speranza di vita è scesa dai 54 anni della metà degli anni Ottanta ai 45 di ora. Con la diffusione dell'Aids continuerà sicuramente a scendere. Nello stesso periodo la percentuale dì bambini iscritti alle scuole elementari è caduta dal 96 per cento al 77 per cento. Su una popolazione complessiva di nove milioni di abitanti, mezzo milione di bambini non frequenta la scuola.

 

I tagli alla spesa pubblica

Queste cifre non sono casuali. Sono il diretto risultato dei tagli alla spesa pubblica e dell'introduzione di tasse scolastiche. Per fare un esempio, se nel 1991 il governo dello Zambia spendeva circa 60 dollari (circa 110 mila lire) per ogni allievo di scuola elementare, ora ne spende solo 15. I tagli alla spesa pubblica - lo snellimento di un settore pubblico "sovradimensionato" - sono un asse portante dell'aggiustamento strutturale promosso dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale. «E se il Fondo monetario internazionale facesse fagotto e abbandonasse lo Zambia? Credete forse che la nostra situazione peggiorerebbe?», si chiede Emily Sikazwe. «Cosa direbbero se li portassimo davanti al Tribunale internazionale dell'Aja con l'accusa di genocidio?». Le chiedo come definirebbe in una parola l'impatto dell'aggiustamento strutturale sullo Zambia. «Devastante», risponde. Dall'altra parte del mondo, a Washington, gli architetti di questa calamità prodotta dall'uomo cenano comodamente, spendendo per un pasto più di quanto la moglie di Masauso Phiri guadagna in un anno vendendo ciambelle nella sua baraccopoli. Sebbene il 90 per cento dello staff della Banca mondiale lavori a Washington, quel 10 per cento che è così sfortunato da essere distaccato nel Terzo mondo riceve un abbondante risarcimento per la sua cattiva sorte. Questo include un'abitazione gratuita, ammobiliata e con aria condizionata, con tutte le bollette pagate, cinquemila dollari annui di "indennità di assegnazione" e assegni per gli studi (fino a 8.750 dollari) di tutti i figli in età scolastica. I salari sono esentasse, e hanno raggiunto una media di 86 mila dollari nel 1995 (circa 159 milioni di lire), che arrivano a un totale di 144 mila dollari (266 milioni) quando si sommano tutte le diverse facilitazioni.

 

Niente "aggiustamento strutturale" per questa élite di privilegiati.

 

Un genocidio nascosto

Nel frattempo, in Africa, un genocidio nascosto sta devastando un intero continente. «Non è giusto che una banca governi il mondo intero», dice Fred M'membe, direttore di The Post, quotidiano indipendente dello Zambia. «Non rappresenta altro che i paesi che la controllano. In pratica questo significa che gli Stati Uniti governano i nostri paesi». E aggiunge: «Prendete qualunque nazione africana oggi, e vedrete che i dati peggiorano. Si abbassano i livelli dell'istruzione e della salute, mentre le infrastrutture cadono letteralmente a pezzi».

 

In mezzo a questo caos quel poco che rimane della ricchezza dell'Africa viene saccheggiato. Ed è questo, a giudizio di molti la spinta che anima l'aggiustamento strutturale. «Dicono che se si applicano bene i programmi ci sarà poi un flusso di investimenti stranieri», dice M'membe. "Investitori" come Shoprite, la catena sudafricana di supermercati che sta colonizzando lo Zambia, grazie agli sgravi fiscali concessi dal governo. Shoprite ha rovinato l'economia di intere città, minando il commercio locale e facendo fallire i negozi a conduzione familiare.

 

Per giunta Shoprite non acquista le merci in loco. Prodotti esenti da tasse, perfino il mais e le patate, vengono importati dallo Zimbabwe e dal Sudafrica. E intanto il mais dello Zambia marcisce nei campi, perché i produttori locali non trovano un mercato. Sotto il precedente governo c'era un organismo di controllo agricolo, incaricato di raccogliere e distribuire i prodotti in tutto il paese. Con l'aggiustamento strutturale il settore privato è libero di fare ciò che vuole. Ma date le disastrose condizioni in cui si trova la rete stradale dello Zambia, i commercianti privati trovano più vantaggioso importare dagli Stati Uniti il mais sovvenzionato. Alcuni agricoltori sono così disperati che affidano i loro prodotti a distributori di Lusaka, che promettono loro di tornare coi proventi delle vendite. Ovviamente, non tornano mai. La maggioranza delle aziende privatizzate dello Zambia sono state vendute a compagnie straniere. Le Birrerie dello Zambia (Zambia Breweries), che producono la famosa birra Mosi, per esempio, sono adesso nelle mani delle Birrerie sudafricane (South African Breweries). Molte altre società originarie del paese sono semplicemente fallite o lottano per la sopravvivenza.

 

La Compagnia delle miniere di rame dello Zambia (Zambia Consolidated Copper Mines), che funziona come una sorta di governo in miniatura nella Copperbelt, la regione mineraria, è ancora sul mercato. Le multinazionali occidentali le ronzano attorno, mentre la società è in perdita. Se la compagnia fallisce una larga fetta della popolazione sarà direttamente colpita. «L’Africa può realizzare il suo sviluppo solo con la partecipazione della sua gente», sostiene Emily Sikazwe.

 

Uno sviluppo focalizzato sulla popolazione. E' una strategia sostenuta dalle Nazioni Unite dalle organizzazioni non governative (Ong) e perfino dalla Banca mondiale. Le Ong dello Zambia, unite in una Campagna contro la povertà, premono sulla Banca mondiale e sul Fondo monetario internazionale perché consentano la partecipazione degli africani alle decisioni fondamentali che riguardano la vita dei loro paesi.

 

Se gli economisti neoliberisti della Banca mondiale vorranno rispondere a questa richiesta dovranno lasciare i loro lussuosi uffici di Washington. Dovranno andare a Lusaka, a Nairobi e a Harare. Dovranno andare a Misisi, all'Uth, e dovranno ascoltare quel che gli dice la gente.

 

Mark Lynas del Mail & Guardian - Sudafrica Tratto da Internazionale 5/11/99

 

 

ritorna