Imprese pirata all'arrembaggio della vita
Il copyright, i brevetti e i
marchi aziendali sono strumenti indispensabili per garantire la crescita
economica, anche se riguardano la biodiversità e il Genoma umano. Lo affermano
gli apologeti della globalizzazione. Lo contesta la fisica e ambientalista
indiana Vandana Shiva nel volume «Il mondo sotto brevetto»
BENEDETTO VECCHI
Alcuni anni fa una trasmissione televisiva italiana da prima
serata ebbe un particolare successo mettendo sotto i riflettori inventori di
marchingegni spesso futili. Ne usciva fuori un quadro di travet frustrati che
la sera, in qualche scantinato, si gettavano con passione su circuiti stampati,
tubi, bielle e cuscinetti a sfera per mettere a punto prototipi che avrebbero
alleviato le fatiche del vivere di noi poveri mortali, incuranti della fatica
delle loro compagne e mogli intente nel preparare la cena o a mandare avanti la
carretta. Così l'Italia si scoprì essere, oltre che terra di poeti, santi e
navigatori, anche nazione di inventori. La trasmissione faceva sua l'aura del
solitario artigiano o dello scienziato autodidatta che dedica il proprio tempo
libero alla produzione di quel manufatto a cui tutti avevano pensato, ma che
tutti avevano ritenuto impossibile da realizzare. Insomma, un'idea romantica
della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche. Senza
scomodare nessun classico, per rendersi conto che la realtà è ben diversa basta
leggere le pagine che la fisica e militante ambientalista Vandana Shiva ha scritto
per denunciare le strategie delle multinazionali farmaceutiche o
agro-alimentari (la distinzione tra i due settori è tanto labile da confermare
il sospetto che in relatà siano la stessa cosa) nel mettere sotto brevetto la
bio-diversità, cioè quei saperi antichi, usanze e costumi dei popoli indigeni
che costituiscono la terra di conquista per imprese famose come la Monsanto o
meno note come la W.R. Grace.
Il volume si intitola Il mondo sotto brevetto (Feltrinelli, pp. 140, €
9) ed ha le caratteristiche del
saggio propedeutico a un tema tanto sfuggente, quanto determinante nel
comprendere l'attuale capitalismo. Si tratta della proprietà intellettuale e di
una delle forme specifiche che assume, i brevetti.
Vandana Shiva è nota per il suo impegno a fianco dei
contadini indiani. Fisica di formazione ha anche conseguito una
specializzazione in economia come recita il suo biglietto da visita, ma forse
più importante è stato il suo ruolo all'interno di quella rete costituita da
piccoli agricoltori e contadini che, in India, da tempo «resiste» alle
strategie delle grosse corporation che hanno cercato, e cercano tutt'ora, di
spossessarli della loro autonomia per renderli parte integrante di una rete
produttiva da loro controllata ed eterodiretta. Un libro, quindi, che non dice
niente di innovativo, né di teoricamente arguto. Più semplicemente, e quindi
con indubbia efficacia, esamina un tema, quello della proprietà intellettuale,
evidenziando il fatto che la scienza, la tecnologia e la legislazione in difesa
della proprietà intellettuale sono fenomeni centrali nello sviluppo
capitalistico, contribuendo a determinare le «geometrie dell'imperialismo». O,
se si preferisce, i rapporti tra centro e periferia dell'economia mondiale,
come ci ricorda la controversia legale tra lo Stato del Sudafrica e alcune
multinazionali farmaceutiche dopo che Pretoria aveva deciso di ignorare i
brevetti per produrre e vendere a prezzi «popolari» farmaci anti-Aids.
Le teste d'uovo della globalizzazione difendono la proprietà
intellettuale perché: a) garantisce la crescita economica; b) copyright e
brevetti sono indispensabili perché il pagamento delle royalties consente gli
investimenti nella ricerca; c) la legislazione a tutela della proprietà
intellettuale rende infine possibile il trasferimento di tecnologia dal Nord al
Sud del mondo. Tre argomenti supportati dalle stime fatte da alcuni organismi
internazionali (dalla World
intellectual property organization all'Onu)
sulla quota di scambi commerciali (il 50 per cento nel 1994) che riguardano
brevetti, marchi di fabbrica, copyright, design industriale, disegni di
circuiti stampati, le forme cioè assunte dalla proprietà intellettuale nella
legislazione internazionale e nell'attività produttiva. Per quanto riguarda la
competizione economica, i brevetti hanno consentito ad alcune imprese di
stabilire un monopolio in un dato settore, cedendo in un secondo momento, e
dietro il pagamento di roylaties, la possibilità ad altri di sfruttare
«l'invenzione». Per quanto riguarda la ricerca scientifica, il grido di allarme
lanciato dall'ex-presidente Bil Clinton e da Tony Blair sulla necessità di
rendere pubblici i risultati della ricerca scientifica sul Genoma umano pena la
paralisi del progetto di ricerca, la dice lunga sul ruolo propulsivo dei diritti
delle proprietà intellettuale negli investimenti in «Ricerca e sviluppo». In
altri termini, il copyright e i brevetti imbrigliano l'innovazione
tecnico-scientifica. Questo, in sintesi, è ciò che sostiene Vandana Shiva ne Il mondo sotto brevetto.
Un libro dunque che fa il punto della situazione sul ruolo
della proprietà intellettuale nello sviluppo capitalistico, ma che registra
anche le novità, i punti di rottura, l'insorgenza politica della messa sotto
brevetto della biodiversità. Per Vandana Shiva, il punto di svolta è la
decisione della Corte Suprema degli Stati uniti di considerare il vivente alla
stessa stregua di un'invezione. Era accaduto che i ricercatori della DuPont
avevano trapiantato a un topo alcuni geni umani e di pollo in modo da causare il
cancro. Il piccolo roditore è diventato famoso per il nomigliolo di oncotopo,
ma quel che è rilevante è che il 12 aprile 1988 la massima istituzione
giuridica statunitense abbia deciso che i risultati di quella ricerca fossero
di competenza dello Us Patent Office, l'ufficio dei brevetti. La strada per la brevettabilità
del vivente era stata dunque aperta. Per la fisica e militante ambientalista
indiana, la vicenda dell'oncotopo, assieme alla controversia legale tra la
General Electric e il Patent
and Trademark Office
americano sulla brevettabilità o meno di un batterio, sono da considerare non
solo il punto di partenza della brevettabilità del vivente, ma anche della
«biopirateria» delle grandi multinazionali nei confronti dei saperi, delle
usanze della biodiversità che costituiscono la ricchezza di molti popoli
indigeni nel sud del mondo.
Ma affinché il mondo venga messo sotto brevetto c'è bisogno
di una decisione politica che lo permetta. Decisione politica presa, ricorda
Vandana Shiva, nell'Uruguay Round e nel vertice mondiale sullo sviluppo di Rio
de Janeiro nel 1992 e ratificata da tutti gli organismi sovranazionali, dal
Fondo monetario alla Banca mondiale al Wto. Il grimaldello per forzare le
legislazioni nazionali al fine di uniformarle è rappresentato, tanto per
cambiare, dai Trips (trade
related aspect of intellectual property rights), cioè dagli accordi relativi ai diritti sulla proprietà
intellettuale definiti dall'Organizzazione del commercio mondiale. E tuttavia,
in un movimento sincopato tra il presente e il passato, l'autrice introduce
degli intermezzi per spiegare come opera la brevettabilità del vivente. Per
quanto riguarda l'agricoltura accade che le sementi siano brevettate e
manipolate geneticamente in maniera tale che risultino sterili i frutti. I
contadini sono quindi costretti a ricomprare le sementi dalle stesse
multinazionali. Se poi vengono brevettati varietà di riso indiano o alcune
piante con proprietà medicinali, siamo di fronte, secondo quanto scrive Vandana
Shiva, a veri e propri atti di biopirateria. Ín altri termini, non si
spossessano i piccoli agricoltori solo con i brevetti sulle sementi, ma anche
appropriandosi del sapere e dell'esperienza tramandate nei secoli. Ed accade
che dopo quel «furto» c'è chi propone la «bioprospezione», cioè il pagamento di
un risarcimento una tantum sulla rapina perpetuata nei loro confronti.
Il linguaggio di Vandana Shiva è a volte apodittico, ma
questo nulla toglie al valore delle sue conclusioni politiche. Ad esempio,
quando sostiene che la «bioprospezione, di fatto, porta alla 'recinzione' del
patrimonio biologico e intellettuale collettivo, perché trasforma la
biodiversità e il patrimonio intellettuale delle comunità indigene in merce
protetta dai diritti di proprietà intellettuale» non trapela nessun
atteggiamento antiscientifico, come spesso le viene addebbitato, ma semmai un
invito agli scienziati a tutelare la biodiversità assieme agli «spossessati» (i
popoli indigeni). Se una critica si può fare a Il mondo sotto brevetto
riguarda il fatto che ciò che accade nel Sud non è molto diverso da ciò che
accade nel Nord del mondo. Così è accaduto, senza necessariamente citare la
realtà nota della produzione di software, che le università americane stanno
mettendo sotto copyright corsi di apprendimento a distanza o che vogliano
brevettare innovative procedure finanziarie. Oppure che il Wto inviti gli stati
membri dell'organizzazione a privatizzare le istituzioni culturali e ad
estendere il regime della proprietà intellettuale a quelle conoscenze che sono
state considerate da sempre di pubblico dominio.
In altri termini, la proprietà intellettuale è cosa troppo
concreta per lasciarla nelle mani dei giuristi. Il copyright, i brevetti, i
marchi aziendali sono infatti gli strumenti attraverso i quali sono definite le
feroci gerarchie sociali dell'economia mondiale tanto al Nord che nel Sud del
pianeta. Ed è quindi giusto che questa materia venga nuovamente presa nelle
mani di chi è espropriato del suo sapere, sia che si tratti di un contadino
indiano che di un programmatore della Silicon Valley, di uno studente bolognese
che di un ricercatore del Massachusetts Institute of Technology a Boston.
Il manifesto 2/11/2002