Un mondo da sognare


di Tonio Dell'Olio

 

Il coordinatore nazionale di Pax Christi propone di tornare alla Bibbia per scoprire come Dio "veda" i problemi del pianeta. Un modello alternativo alla globalizzazione a senso unico, voluta dagli otto Grandi, forse si trova in un antico midrash.

 

Una mattina di qualche anno fa mi successe di andare a incontrare una scolaresca di quinta elementare per dare inizio a un percorso didattico di educazione alla mondialità. Disegnai un globo terrestre sulla lavagna e chiesi ai bambini di indicarmi dove si trovavano i Paesi più ricchi e dove quelli più poveri. Dalle risposte, si coglieva in maniera del tutto evidente come i Paesi poveri erano nell’emisfero Sud, mentre i più ricchi erano disposti al Nord.

 

A questo punto, chiesi quali fossero a loro avviso le ragioni per cui c’era un abisso di differenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Fu allora che inaspettatamente saltò su un bambino molto sveglio e disse: «Non è colpa nostra! Forse è Dio che ha distribuito male le ricchezze, dando al Nord ogni ben di dio e al Sud la miseria!». Quel bambino anticipava in qualche modo la ricerca e indicava già delle responsabilità: io in realtà non avevo richiesto di indicare le "colpe", quanto le ragioni della miseria.

 

Accettai comunque la provocazione, e chiesi di verificare se rispondesse a verità che le risorse erano distribuite in modo ineguale. Consultarono i libri di testo e conclusero che soprattutto le risorse più appetibili come il gas e il petrolio, nonché i minerali più preziosi, si trovano nel sottosuolo dei Paesi del Sud del mondo. Il bambino che era intervenuto all’inizio dovette cambiare la sua opinione: «Se Dio è stato ingiusto nel distribuire le ricchezze», disse, «lo è stato ai danni del Nord e non del Sud!».

 

A questo punto i conti non tornavano, perché erano i Paesi ricchi di materie prime a soffrire la fame e non quelli poveri. Quel bambino però mi aveva insegnato qualcosa: ogni riflessione dei credenti sull’economia, sui rapporti internazionali e sulla globalizzazione non può prescindere da Dio e dal suo modo di " pensare il mondo", dal suo progetto, dal suo sogno. Il punto di partenza dei credenti deve essere il "sogno di Dio" per l’uomo. Dobbiamo chiederci come il suo Amore ha pensato il mondo e l’umanità.

 

Nel racconto di Genesi1-2 ci troviamo di fronte a un progetto di interazione feconda tra l’uomo e il suo Creatore, tra l’uomo e le creature, tra l’uomo e il mondo. Innanzitutto è definita una relazione privilegiata con Dio che crea l’uomo a Sua immagine, elevandone la dignità al di sopra di ogni altro soggetto della creazione. In secondo luogo non è descritta una relazione di sottomissione o di sfruttamento, al contrario il motivo e la modalità dell’essere dell’uomo nel mondo sono di preservazione, di garanzia, di tenerezza, di accompagnamento fedele, di rispetto. Non è forse questa la radice ultima (o prima?) della passione con cui i cristiani devono partecipare del sogno di Dio, e non dormire sonni tranquilli fino a quando una sola persona che abita la terra vede calpestata o non riconosciuta la propria dignità? Noi che siamo creati a immagine del Creatore potremo sopportare che la somiglianza a Dio venga tradita, offuscata, degradata? In questo senso la visione dell’economia che fa perno sulla competizione non può ragionevolmente trovare l’appoggio o la simpatia dei cristiani.

 

Ma a riguardo della globalizzazione, forse l’episodio più pregnante e significativo è quello narrato in Genesi 11: la torre di Babele. Ci troviamo di fronte al tentativo degli uomini di costruire un modello perfetto di globalizzazione in cui si parla la stessa lingua. Potremmo dire che era in atto un processo di omologazione politica, culturale ed economica. Un pensiero unico, insomma. E il pensiero fisso di quella generazione era di costruire una torre che arrivasse fino al cielo, tanto che per salire fino in cima – come narra il Midrash della torre – occorreva un anno intero. Talmente fissi e importanti erano diventati quel pensiero e quel progetto che «agli occhi dei costruttori un mattone divenne allora più prezioso di un essere umano; se un uomo precipitava e moriva nessuno vi badava, ma se cadeva un mattone tutti piangevano perché per sostituirlo sarebbe occorso un anno» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, vol. I, Adelphi, 1995, pag. 170).


Dio interviene e li disperde su tutta la terra, confondendo le loro lingue. Non una punizione, ma una restituzione dell’umanità al sogno di Dio che risiede nella diversità e non nell’omologazione. L’intento di Dio è di disseminare l’umanità su tutta la terra, e non di raccoglierlo in un unico villaggio (pur globale che sia!). Davvero suggestiva e interessante l’interpretazione che dell’episodio fornisce l’anima poetica di Erri De Luca: «La specie umana si muove dalla valle di Scin’ar per brulicare nel pianeta e diventare così inestirpabile. Nessun diluvio, epidemia la spazzerà via, perché da qualche parte essa resisterà. Non bisognava salire fino al cielo per sopravvivere, non bisognava arroccarsi in una difesa, ma lanciarsi all’avventura del mondo. Dio segna qui che la specie umana è forte quanto più è varia e quanto più si mette alla prova. Ogni tentativo di darle un solo sangue, un solo cibo, una sola medicina va nella direzione sbagliata. E anche un solo Dio: perché deve piacergli l’infinita varietà con cui le creature, bestie comprese, lo chiamano vicino» (E. De Luca, Nocciolo d’oliva, Messaggero, 2002, pagg. 60-61).


Per queste ragioni fondamentali non può esservi modello o proposta di globalizzazione intesa come "riduzione a uno" che possa vedere il consenso di un cristiano che vuole stare nel sogno di Dio per l’umanità. Tanto più poi per una globalizzazione che ha divinizzato il mercato come a Babele si erano piegati al mattone. C’è da rabbrividire nel leggere le affermazioni contenute nel documento conclusivo del G8 dello scorso anno a Genova: «Includere i Paesi più poveri nell’economia globale è il modo più sicuro per rispondere alle loro aspirazioni fondamentali. Abbiamo concentrato le nostre discussioni sulla strategia per riuscire in questo intento». I poveri del mondo sono già inclusi in questa economia globale e sono funzionali a questa economia globale! Ne sono una parte vitale.

I miei bambini della quinta elementare andavano concludendo che la nostra ricchezza è radicata nella miseria del Sud del mondo. Noi possiamo stare così bene perché nel cosiddetto Terzo mondo si muore di fame! La dignità di quelle persone non ha speranza di essere promossa da coloro che stabiliscono regole e meccanismi che di fatto li condannano alla fame. Per tanto tempo anche nelle comunità cristiane ci si è illusi che le "gare di generosità" potessero servire a strappare alla miseria intere popolazioni. Oggi è sempre di più la gente che pensa che il Sud del mondo (un Sud che taglia sempre più trasversalmente anche larghe fasce del Nord) gioca la partita dell’economia contro la squadra dell’Occidente su un campo di calcio in pendenza. Inutile dire che la porta della squadra dei poveri è in fondo alla discesa, e che è destinata a perdere.

Una comunità che oggi vuole annunciare non può fare a meno nel contempo di denunciare l’ingiustizia e l’ipocrisia degli otto Grandi, che sono anche nei primi dieci posti della classifica dei maggiori costruttori ed esportatori di armi nel mondo, e arrivano ad affermare solennemente: «La nostra attenzione è rivolta ai Paesi in conflitto, affinché rinuncino alla violenza. Quando ciò si verificherà, confermiamo che intensificheremo i nostri sforzi per aiutarli ad adottare le misure necessarie per beneficiare della riduzione del debito» (dal Documento conclusivo del G8 di Genova - luglio 2001, par. 8).

Essi sono coloro che consumano la maggiore quantità di materie non rinnovabili e risorse, e che contribuiscono in modo determinante a rendere il clima invivibile e l’aria irrespirabile, compromettendo il futuro del pianeta e dei suoi abitanti. Eppure nello stesso documento dicono apertamente: «Concordiamo con fermezza sulla necessità di ridurre le emissioni di gas serra. Mentre al momento non siamo d’accordo sul Protocollo di Kyoto e sulla sua ratifica, siamo decisi a lavorare insieme intensamente per raggiungere il nostro obiettivo comune».

No, il sogno di Dio non è questo! I credenti nel Risorto sono chiamati ad essere sale e ad annunciare la vita che il Padre ha dato in abbondanza. Sale che, per poter rendere salato, deve sciogliersi fino a scomparire. Per questo ogni cristiano non ha altra strada che assumere la prospettiva delle vittime, lo sguardo dei poveri, come il Padre al cui orecchio giunge il grido del popolo e il sangue di Abele.

 

Tonio Dell’Olio