Scritti del 1848

 

 

 

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Pio IX

Romani, e quanti

Romani, e quanti siete Figli e Sudditi Pontifici, ascoltate ancora una volta la voce di un Padre che vi ama e che desidera vedervi amati e stimati da tutto il mondo.

Roma è la Sede della Religione, ove sempre ebbero stanza i Ministri della medesima, che sotto diverse forme costituiscono quella mirabile varietà della quale è bella la Chiesa di Gesù Cristo. Noi v’invitiamo tutti e vi inculchiamo di rispettarla, e di non provocare giammai il terribile anatema di un Dio sdegnato, che fulminerebbe le sue sante vendette contro gli assalitori degli Unti suoi. Risparmiate uno scandalo del quale il mondo intero resterebbe meravigliato, e la maggior parte dei sudditi afflitta e dolente. Risparmiate il colmo all’amarezza, ond’è già travagliato il Pontefice per fatti di simil genere testé accaduti altrove. Ché se anche fra gli uomini, che in qualunque Istituto appartengono alla Chiesa di Dio, ve ne fossero di quelli che meritassero, per la loro condotta, la disistima e la diffidenza, è sempre aperta la strada alle rappresentanze legali: quando esse siano giuste, Noi, come Sommo Pontefice, saremo pronti ad accoglierle per provvedervi.

Siamo persuasi che queste parole basteranno a far tornare in senno tutti coloro i quali (speriamo siano pochi) avessero formato qualche pravo disegno, la cui esecuzione, mentre servirebbe al Nostro cuore di acuto dolore, chiamerebbe sul loro capo i flagelli che Dio sempre scagliò sopra gl’ingrati. Ché se queste Nostre voci, per somma sventura, non bastassero a trattenere i traviati, Noi intendiamo di far prova della fedeltà della Civica, e di tutte le forze che sono da Noi destinate a mantenere l’ordine pubblico. Noi siamo pieni di fiducia di vedere il buon effetto di queste Nostre disposizioni, e di veder sostituita in tutto lo Stato all’agitazione la calma, e i pratici sentimenti di Religione, che deve professare un popolo eminentemente cattolico, sul quale hanno diritto di prendere norma le altre nazioni.

Non vogliamo amareggiare il Nostro spirito e il cuore di tutti i buoni con la previsione delle risoluzioni che saremmo costretti a prendere per non soffrire lo spettacolo dei flagelli con i quali Iddio suole richiamare i popoli dagli errori; e invece speriamo che la Benedizione Apostolica, che spargiamo sopra tutti, allontanerà ogni funesto presagio.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 14 marzo 1848, anno secondo del Nostro Pontificato.

 

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Pio IX

Nelle istituzioni

Nelle istituzioni di cui finora dotammo i Nostri sudditi fu Nostra intenzione di riprodurre alcune istituzioni antiche, le quali furono lungamente lo specchio della sapienza degli augusti Nostri Predecessori, e poi col volgere dei tempi voleansi adattare alle mutate condizioni, per rappresentare quel maestoso edifizio che erano state dapprincipio.

Per questa via procedendo eravamo venuti a stabilire una Rappresentanza consultiva di tutte le Provincie, la quale dovesse aiutare il Nostro Governo nei lavori legislativi e nell’amministrazione dello Stato: e aspettavamo che la bontà dei risultamenti avesse lodato l’esperimento che primi Noi facevamo in Italia. Ma poiché i Nostri Vicini hanno giudicato maturi i loro popoli a ricevere il benefizio di una Rappresentanza non meramente consultiva, ma deliberativa, Noi non vogliamo fare minore stima dei popoli Nostri, né fidar meno nella loro gratitudine non già verso la Nostra umile Persona, per la quale nulla vogliamo, ma verso la Chiesa e quest’Apostolica Sede, di cui Iddio Ci ha commessi gl’inviolabili e supremi diritti, e la cui presenza fu e sarà sempre a loro di tanti beni cagione.

Ebbero in antico i nostri Comuni il privilegio di governarsi ciascuno con leggi scelte da loro medesimi sotto la sanzione Sovrana. Ora non consentono certamente le condizioni della nuova civiltà che si rinnovi sotto le medesime forme un ordinamento pel quale la differenza delle leggi e delle consuetudini separava sovente l’un Comune dal consorzio dell’altro. Ma Noi intendiamo di affidare questa prerogativa a due Consigli di probi e prudenti cittadini, nell’uno da Noi nominati, e nell’altro deputati da ogni parte dello Stato mediante una forma di elezioni opportunamente stabilita: i quali e rappresentino gl’interessi particolari di ciascun luogo dei Nostri Domini, e saviamente li contemperino con quell’altro interesse grandissimo di ogni Comune e di ogni Provincia, che è l’interesse generale dello Stato. Siccome poi nel Nostro Sacro Principato non può essere disgiunto dall’interesse temporale della interna prosperità l’altro più grave della politica indipendenza del Capo della Chiesa, pel quale stette altresì l’indipendenza di questa parte d’Italia; così non solamente riserbiamo a Noi e ai Successori Nostri la suprema sanzione e la promulgazione di tutte le leggi che saranno dai predetti Consigli deliberate, e il pieno esercizio dell’autorità Sovrana nelle parti di cui col presente atto non è disposto, ma intendiamo altresì di mantenere intera l’autorità Nostra nelle cose che sono naturalmente congiunte con la religione e la morale cattolica. E ciò dobbiamo per sicurezza a tutta la Cristianità, che nello Stato della Chiesa in questa nuova forma costituito, nessuna diminuzione patiscano la libertà e i diritti della Chiesa medesima e della Santa Sede, né veruno esempio sia mai per violare la santità di questa Religione, che Noi abbiamo obbligo e missione di predicare a tutto l’universo come unico simbolo di alleanza di Dio con gli uomini, come unico pegno di quella benedizione celeste per cui vivono gli Stati, e fioriscono le Nazioni.

Implorato pertanto il Divino aiuto, e udito l’unanime parere dei nostri Ven. Fratelli Cardinali di S. R. C. espressamente a tal uopo adunati in Concistoro, abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

STATUTO FONDAMENTALE PEL GOVERNO TEMPORALE DEGLI STATI DI SANTA CHIESA

Disposizioni generali

Art. I. Il S. Collegio dei Cardinali, elettori del Sommo Pontefice, è Senato inseparabile dal medesimo.

II. Sono istituiti due Consigli deliberanti per la formazione delle leggi, cioè l’alto Consiglio ed il Consiglio dei Deputati.

III. Sebbene ogni giustizia emani dal Sovrano, e sia in suo nome amministrata, l’ordine giudiziario è nondimeno indipendente nell’applicazione delle leggi ai casi speciali, salvo sempre nello stesso Sovrano il diritto di far grazia. I giudici dei tribunali collegiali sono inamovibili quando vi avranno esercitate le loro funzioni per tre anni dalla promulgazione del presente statuto. Possono però essere traslocati ad altro tribunale eguale o superiore.

IV. Non saranno istituiti tribunali o commissioni straordinarie. Ognuno in materia tanto civile quanto criminale sarà giudicato dal tribunale espressamente determinato dalla legge: innanzi alla quale tutti sono eguali.

V. La Guardia Civica si ha come istituzione dello Stato: e rimarrà costituita sulle basi della legge del 5 luglio 1847, e del regolamento del 30 dello stesso mese.

VI. Niun impedimento alla libertà personale può essere posto se non nei casi e colle forme prescritte dalle leggi. E perciò niuno può essere arrestato se non in forza d’un atto emanato dall’autorità competente. È eccettuato il caso di delitto flagrante, o quasi flagrante, nel quale l’arrestato dentro 24 ore è consegnato all’autorità competente.

Le misure di polizia e preventive sono pure regolate da una legge.

VII. Il debito pubblico è garantito, come pure le altre obbligazioni assunte dallo Stato.

VIII. Tutte le proprietà, sia dei privati, sia dei corpi morali, sia delle altre pie o pubbliche istituzioni contribuiscono indistintamente ed egualmente agli aggravii dello Stato, chiunque ne sia il possessore.

Quando il Sommo Pontefice dà la sanzione alle leggi sopra i tributi, l’accompagna con una speciale Apostolica deroga alla immunità ecclesiastica.

IX. Il diritto di proprietà in egual modo in tutti è inviolabile.

X. La proprietà letteraria è riconosciuta.

Sono eccettuate soltanto le espropriazioni per causa di pubblica utilità riconosciuta, e previo l’equivalente compenso a norma delle leggi.

XI. L’attuale preventiva censura governativa o politica per la stampa è abolita, e saranno a questa sostituite misure repressive da determinarsi con apposita legge.

Nulla è innovato quanto alla censura ecclesiastica stabilita dalle canoniche disposizioni, fino a che il Sommo Pontefice nella sua Apostolica autorità non provvegga con altri regolamenti.

Il permesso della censura ecclesiastica in niun caso toglie o diminuisce la responsabilità politica e civile di coloro, i quali a forma delle leggi son garanti delle pubblicazioni per mezzo della stampa.

XII. I pubblici spettacoli sono regolati con misure preventive stabilite dalle leggi. Le composizioni teatrali prima di essere rappresentate sono perciò soggette alla censura.

XIII. L’amministrazione comunale e provinciale sarà presso dei rispettivi cittadini: con apposite leggi, verrà regolata in modo da assicurare alle comuni e province le più convenienti libertà compatibili con la conservazione dei loro patrimoni e coll’interesse dei contribuenti.

Dell’alto Consiglio e del Consiglio dei Deputati

XIV. Il Sommo Pontefice convoca, proroga, e chiude le sessioni d’ambedue i Consigli. Scioglie quello dei Deputati, convocandolo nuovamente nel termine di tre mesi per mezzo di nuove elezioni. La durata ordinaria della sessione annuale non oltrepassa i tre mesi.

XV. Nessuno dei Consigli può adunarsi mentre l’altro è sciolto o prorogato, fuori del caso preveduto dall’art. XLVI.

XVI. I due Consigli ogni anno sono convocati e chiusi in pari tempo. L’atto dell’apertura è fatto da un Cardinale specialmente delegato dal Pontefice, ed a quest’unico oggetto si riuniscono insieme ambidue i Consigli. Nel resto i Consigli si adunano sempre separatamente. Agiscono validamente quando sia presente la metà degl’individui dei quali ciascheduno è composto. Le risoluzioni sono prese a maggiorità di suffragi.

XVII. Le sessioni dell’uno e dell’altro Consiglio sono pubbliche. Ciascun Consiglio però si forma in Comitato segreto sulla domanda di dieci membri.

Gli atti dei Consigli sono pubblicati a cura di essi.

XVIII. Ambidue i Consigli quando saranno costituiti redigeranno il rispettivo regolamento sul modo da tenersi nel trattare gli affari.

XIX. I membri dell’alto Consiglio sono nominati a vita dal Sommo Pontefice. Il loro numero non è limitato. È necessaria in essi l’età d’anni 50 ed il pieno esercizio dei diritti civili e politici.

XX. Sono desunti dalle seguenti categorie:

1. i prelati, ed altri ecclesiastici costituiti in dignità;

2. i ministri, il presidente del Consiglio dei Deputati, il Senatore di Roma e di Bologna;

3. le persone che hanno occupato o occupano un distinto grado nell’ordine governativo, amministrativo, e militare;

4. i presidenti dei tribunali di appello, i consiglieri di Stato, gli avvocati concistoriali; tutti dopo l’esercizio di sei anni;

5. i possidenti con una rendita di scudi 4.000 annui sopra capitali imponibili, e posseduta da sei anni innanzi;

6. e finalmente le persone benemerite dello Stato per distinti servigi, o per averlo illustrato con opere insigni nelle scienze o nelle arti.

XXI. Al principio d’ogni sessione il Sommo Pontefice fra i membri dell’alto Consiglio nomina tanto il Presidente, quanto i due Vicepresidenti, qualora non gli piaccia di nominare un Cardinale alla presidenza.

XXII. L’altro Consiglio si compone dei deputati scelti dagli elettori, sulla base approssimativa di un deputato per ogni 50.000 anime.

XXIII. Sono elettori:

1. i Gonfalonieri, Priori ed anziani delle città, e comuni: i sindaci degli appodiati;

2. quelli che nel censo sono iscritti possessori di un capitale di scudi 500;

3. quelli che per altri titoli pagano al Governo una tassa diretta di scudi dodici annui;

4. i membri dei collegi, delle facoltà, ed i professori titolari delle università dello Stato;

5. i membri del Consiglio di disciplina, degli avvocati e procuratori presso i tribunali collegiali;

6. i laureati ad honorem nelle università dello Stato;

7. i membri delle camere di commercio;

8. i capi di fabbriche o stabilimenti industriali;

9. i capi o rappresentanti di società, corpi morali, istituzioni pie o pubbliche, le quali sono intestate nel Censo come al n. 2, ovvero pagano la tassa di cui al n. 3.

XXIV. Sono eleggibili:

1. quei che nel censo sono iscritti possessori di un capitale di scudi tremila;

2. quelli che per altri titoli pagano al Governo una tassa fissa di scudi cento annui;

3. i membri dei collegi, delle facoltà, ed i professori titolari delle università di Roma e Bologna; i membri dei collegi di disciplina, degli avvocati e procuratori presso i tribunali di appello;

4. gli altri enunciati nei nn. 1, 4, 5, 6, 7, 8, dell’art. precedente, quando siano iscritti per la metà del capitale notato nel n. 1, ovvero paghino la metà della tassa di cui al n. 2 del presente articolo.

XXV. Negli elettori si richiede l’età di anni 25: negli eleggibili quella di anni trenta: negli uni e negli altri il pieno esercizio dei diritti civili e politici; e perciò la professione della Religione Cattolica, la quale è condizione necessaria pel godimento dei diritti politici nello Stato.

XXVI. Niuno quantunque abbia più domicili, e per più titoli sia compreso fra gli elettori, potrà dare il voto doppio. Potrà però la medesima persona essere eletta in due o più distretti, nel qual caso l’eletto avrà l’opzione.

XXVII. I collegi elettorali radunati per convocazione fatta dal Sommo Pontefice procedono alla elezione dei deputati nei modi e forme che saranno prescritte dalla legge elettorale.

XXVIII. Al principio d’ogni sessione il Consiglio dei deputati elegge fra i suoi membri il presidente e vice presidenti.

XXIX. I membri d’ambedue i Consigli esercitano le loro funzioni gratuitamente.

XXX. I membri d’ambedue i Consigli sono inviolabili per le opinioni e voti che proferiscono nell’esercizio delle loro attribuzioni.

Non possono essere arrestati per debiti durante il periodo delle sessioni, ed un mese innanzi ed altro dopo.

Non possono pure essere arrestati per giudizi criminali durante la sessione, se non previo l’assenso del Consiglio al quale appartengono, eccettuato il caso di delitto flagrante o quasi flagrante.

XXXI. Oltre il caso in cui venga sciolto il Consiglio dei Deputati, cessa l’ufficio di deputato:

1. con la morte naturale o civile, e con la sospensione dei diritti civici;

2. con la rinuncia;

3. con il lasso di quattro anni;

4. con la nomina all’alto Consiglio;

5. con avere accettato un impiego con stipendio dal Governo, o con una promozione in quello che aveva.

Ogni volta che si verifica un caso di vacanza sarà immediatamente convocato il collegio elettorale, dal quale quel deputato era stato eletto. Il caso del n. 3 e 5 non è d’impedimento alla rielezione.

XXXII. Se, durante l’officio, il deputato perde una delle qualifiche di eligibilità che di loro natura non sieno temporanee, il Consiglio, verificato il fatto, dichiara vacante l’officio. Si procederà alla nuova elezione a forma dell’articolo precedente.

L’alto Consiglio nello stesso caso pe’ suoi membri ne fa rapporto al Sommo Pontefice, cui è riservato di prendere la conveniente determinazione.

Attribuzioni dei due Consigli

XXXIII. Tutte le leggi in materie civili, amministrative, governative sono proposte, discusse e votate nei due Consigli; comprese le imposizioni di tributi, e le interpretazioni e declaratorie che abbiano forza di legge.

XXXIV. Non hanno forza le leggi concernenti le materie di cui all’articolo precedente, se non dopo di essere state liberamente discusse ed accettate da ambidue i Consigli, e munite della sanzione del Sommo Pontefice.

Non possono quindi essere riscossi i tributi, se non sono approvati da una legge.

XXXV. La proposta delle leggi è fatta dai ministri: può pure essere fatta da ognuno dei due Consigli dietro richiesta di dieci dei suoi membri. Ma le proposizioni fatte dai ministri saranno sempre prima delle altre discusse, e votate.

XXXVI. I Consigli non possono mai proporre alcuna legge:

1. che riguardi affari ecclesiastici o misti;

2. che sia contraria ai canoni o discipline della Chiesa;

3. che tenda a variare o modificare il presente statuto.

XXXVII. Negli affari misti possono in via consultiva essere interpellati i Consigli.

XXXVIII. È vietata nei due Consigli ogni discussione che riguardi le relazioni diplomatico-religiose della S. Sede all’estero.

XXXIX. I trattati di commercio, e quelle soltanto fra le clausole di altri trattati, che riguardassero le finanze dello Stato, prima di essere ratificati sono portati ai Consigli, i quali li discutono e votano a forma dell’articolo XXXIII.

XL. Le proposte di legge possono dal ministero essere trasmesse indistintamente all’uno o all’altro Consiglio.

XLI. Saranno però sempre presentati prima alla deliberazione e voto del Consiglio dei deputati i progetti di legge riguardanti:

1. il preventivo e consuntivo di ogni anno;

2. quelle tendenti a creare, liquidare, dimettere debiti dello Stato;

3. quelle sulle imposte, appalti ed altre concessioni o alienazioni qualsivogliano dei redditi e proprietà dello Stato.

XLII. L’imposta diretta è consentita per un anno: le imposte indirette possono essere stabilite per più anni.

XLIII. Ogni proposta di legge dopo di essere stata esaminata nelle sezioni sarà discussa e votata dal Consiglio, al quale fu trasmessa. Quando sia approvata, è trasmessa all’altro Consiglio, che in egual modo la esamina, la discute, e la vota.

XLIV. Se le proposte di legge saranno rigettate da uno dei due Consigli, o se il Sommo Pontefice non dà la sanzione dopo il voto dei due Consigli, in tali casi la proposta non potrà essere riprodotta nel corso di quella sessione.

XLV. La verifica dei poteri, e la questione sulla validità delle elezioni dei singoli membri del Consiglio dei Deputati, spetta al medesimo.

XLVI. Il Consiglio dei Deputati soltanto ha il diritto di porre in stato di accusa i ministri. Se essi sono laici, spetterà all’alto Consiglio il giudicarli, e per quest’unico oggetto potrà radunarsi come tribunale fuori del tempo e del caso di cui all’art. XV, eccettuato sempre il tempo di cui all’art. LVI. Se essi sono ecclesiastici, l’accusa sarà deferita al S. Collegio che procederà nelle forme canoniche.

XLVII. Ogni cittadino maggiore di età ha diritto di fare petizioni dirette al Consiglio de’ Deputati negli affari di cui all’art. XXXIII o per i fatti degli agenti del potere esecutivo riguardanti gli oggetti indicati. La petizione dovrà essere in iscritto e depositata all’officio o in persona o per mezzo di legittimo procuratore. Il Consiglio, sul rapporto d’una sezione, delibererà se e come averne ragione.

Coloro che fecero le petizioni possono essere tradotti innanzi al tribunale competente dalla parte che si crederà lesa dai fatti esposti.

XLVIII. I Consigli non ricevono deputazioni: non ascoltano fuori dei proprii membri altro che i commissari del Governo ed i ministri; corrispondono in iscritto unicamente fra loro e col ministero; inviano deputazioni al Sommo Pontefice nei casi e forme prevedute dal regolamento.

XLIX. Le somme occorrenti pel trattamento del Sommo pontefice; del S. Collegio dei Cardinali, per le Congregazioni ecclesiastiche, per sussidio o assegno a quella de Propaganda fide, pel ministero degli affari esteri, pel corpo diplomatico della S. Sede all’estero, pel mantenimento delle Guardie pontificie palatine, per le sagre funzioni, per l’ordinaria manutenzione e custodia dei Palazzi Apostolici, e di loro dipendenze, degli annessi musei e biblioteca, per gli assegnamenti, giubilazioni e pensioni degli addetti alla corte pontificia, sono determinate in annui scudi seicento mila sulle basi dello stato attuale, compreso un fondo di riserva per le spese eventuali. Detta somma sarà riportata in ogni annuo preventivo. Di pieno diritto si ha sempre per approvata e sanzionata tale partita, e sarà pagata al Maggiordomo del Sommo Pontefice o ad altra persona da esso destinata. Nel rendiconto o consuntivo annuo sarà portata la sola giustificazione di tale pagamento.

L. Rimangono inoltre a piena disposizione del Sommo Pontefice i canoni tributi e censi, ascendenti ad un’annua somma di scudi tredici mila circa, nonché i diritti dei quali si fa menzione in occasione della Camera dei tributi nella vigilia e festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.

LI. Le spese straordinarie di grandi riparazioni nei palazzi Apostolici, dipendenze, musei ed annessi, le quali non sono comprese nelle dette somme (quando abbiano luogo) saranno portate e discusse nei preventivi annuali, e nei consuntivi.

Del sacro Concistoro

LII. Quando ambidue i Consigli hanno ammessa la proposta di legge, sarà questa presentata al Sommo Pontefice, e proposta nel concistoro segreto. Il Pontefice udito il voto dei Cardinali, dà o niega la sanzione.

Dei Ministri

LIII. L’Autorità governativa provvede con ordinanze e regolamenti alla esecuzione delle leggi.

LIV. Le leggi e tutti gli atti governativi riguardanti gli oggetti di cui all’art. XXXIII sono firmati dai rispettivi Ministri, che ne sono responsabili. Una apposita legge determinerà i casi di tale responsabilità, le pene, le forme dell’accusa, e del giudizio.

LV. I Ministri hanno diritto d’intervenire ed essere uditi in ambidue i Consigli: vi hanno voto se ne sono membri: possono essere invitati ad intervenirvi per dare gli schiarimenti opportuni.

Del tempo della Sede vacante

LVI. Per la morte del Sommo Pontefice immediatamente e di pieno diritto restano sospese le sessioni d’ambidue i Consigli. Non potranno mai essi adunarsi durante la Sede vacante, né in quel tempo potrà procedersi o proseguirsi nella elezione dei deputati. Sono di diritto convocati ambedue i Consigli un mese dopo la elezione del Sommo Pontefice. Se però il Consiglio dei deputati fosse sciolto, e non fossero compiute le elezioni, sono di diritto convocati i collegi elettorali un mese dopo come sopra, e dopo un altro mese son convocati i Consigli.

LVII. I Consigli non potranno mai, anche prima di sospendere le sessioni, ricevere o dare petizioni dirette al Sacro Collegio o riguardanti il tempo della Sede vacante.

LVIII. Il Sacro Collegio, secondo le regole stabilite nelle costituzioni Apostoliche, conferma i Ministri o ne sostituisce altri. Fino a che non abbia luogo tale atto, i Ministri prosieguono nel loro offizio. Il Ministero per altro degli affari esteri passa immediatamente al Segretario del Sacro Collegio, salvo allo stesso S. Collegio il diritto di affidarlo ad altro soggetto.

LIX. Le spese del funere del Sommo Pontefice, quelle del Conclave, quelle per la creazione, coronazione e possesso del nuovo Pontefice sono a carico dello Stato. I Ministri, sotto la dipendenza del Cardinale Camerlengo, provvedono la somma occorrente, quantunque non contemplata nel preventivo di quell’anno, fermo l’obbligo di renderne conto, dimostrando d’averla impiegata per i titoli sopra enunciati.

LX. Se allorché muore il Sommo Pontefice il bilancio preventivo dell’anno non fosse ancora stato votato da ambidue i Consigli, i Ministri di pieno diritto sono autorizzati ad esigere i tributi e provvedere alle spese sulle basi dell’ultimo preventivo votato dai Consigli e sanzionato dal Pontefice.

Se però il preventivo allorché muore il Pontefice era già stato votato da ambidue i Consigli, in questo caso il Sacro Collegio userà del diritto di dare o negare la sanzione alla risoluzione dei Consigli.

LXI. I diritti di Sovranità temporale esercitati dal defunto Pontefice, durante la Sede vacante, risiedono nel Sacro collegio, il quale ne userà a norma delle costituzioni Apostoliche, e del presente Statuto.

Del Consiglio di Stato

LXII. Vi sarà un Consiglio di Stato composto di dieci Consiglieri, e di un corpo di Uditori non eccedente il numero di ventiquattro, tutti di nomina sovrana.

LXIII. Il Consiglio di Stato è incaricato, sotto la direzione del Governo, di redigere i progetti di legge, i regolamenti di amministrazione pubblica, e di dar parere sulle difficoltà in materia governativa. Con apposita legge può essere conferito al medesimo il contenzioso amministrativo.

Disposizioni transitorie

LXIV. Saranno quanto prima promulgate:

1. la legge elettorale, che farà parte integrante del presente Statuto;

2. la legge repressiva della stampa, di cui nella prima parte dell’art. XI.

LXV. Sarà proposto alla prima deliberazione dei Consigli il preventivo del 1849. Saranno pure proposte le seguenti leggi per averne ragione in questa o in altra prossima sessione: la legge sulle istituzioni municipali, provinciali; il Codice di polizia; la riforma della legislazione civile, criminale, e di procedura; la legge sulla responsabilità dei ministri, e sopra i pubblici funzionari.

LXVI. In quest’anno i Consigli si raduneranno al più tardi il primo lunedì di giugno.

LXVII. L’attuale Consulta di Stato cesserà venti giorni innanzi che sieno aperti i Consigli.

Intanto essa proseguirà nell’esame del preventivo ed altre materie amministrative, che le sono state o le saranno rimesse.

LXVIII. Il presente Statuto sarà messo in vigore all’apertura dei due Consigli.

Ma per quel che riguarda la elezione dei deputati avrà forza appena pubblicata la legge elettorale.

LXIX. Rimangono in vigore tutte le disposizioni legislative, che non sono contrarie al presente Statuto.

E similmente vogliamo e decretiamo che nessuna legge o consuetudine preesistente o diritto quesito o diritto dei terzi, o vizio di orrezione o surrezione possa allegarsi contro le disposizioni del presente Statuto; il quale intendiamo che debba essere quanto prima inserito in una Bolla Concistoriale, secondo l’antica forma a perpetua memoria.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 14 marzo 1848, anno secondo del Nostro Pontificato.

 

 

 

 

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Pio IX

Non semel

29 aprile 1848

Non è la prima volta, Venerabili Fratelli, che nel Vostro Consesso abbiamo condannato l’audacia di alcuni i quali non ebbero difficoltà di fare a Noi, e per conseguenza a questa Apostolica Sede, l’ingiuria di far credere che Noi Ci fossimo discostati dai santissimi istituti dei Nostri Predecessori, e che (orribile cosa a dirsi!) in più d’un capo Ci fossimo allontanati dalla dottrina della Chiesa . Però nemmeno adesso mancano coloro i quali parlano di Noi e Ci considerano i principali Autori dei pubblici movimenti che negli ultimi tempi non solo in altre parti d’Europa, ma anche in Italia sono accaduti. Principalmente dai Paesi Germanici dell’Impero Austriaco sappiamo che ivi si divulga che il Sommo Pontefice, per mezzo di esploratori mandati colà e per mezzo di altre arti, abbia eccitato i Popoli d’Italia a promuovere nuovi mutamenti nelle pubbliche cose. Sappiamo ancora che alcuni nemici della Religione Cattolica prendono da ciò argomento per accendere il fuoco della vendetta negli animi dei Germanici, e così allontanarli dall’unione con questa Santa Sede. Orbene, quantunque Noi non dubitiamo punto che i Popoli Cattolici della Germania e i preclarissimi Vescovi che li governano siano lontanissimi di animo dalla malvagità dei predetti, sappiamo però che è Nostro dovere impedire lo scandalo di cui potrebbero patire gl’incauti ed i semplici, e di ributtare la calunnia, la quale ridonda in contumelia non tanto della persona della Nostra umiltà, quanto del supremo Apostolato del quale siamo insigniti, e di questa Santa Sede. E poiché quei denigratori, non potendo presentare alcun documento delle macchinazioni che Ci appongono, si ingegnano di mettere in sospetto quelle cose che Noi abbiamo fatte nell’assumere il governo dei Nostri Domini Temporali Pontifici; così Noi, per togliere loro questo appiglio di calunniare, abbiamo pensato di spiegare oggi chiaramente ed apertamente nel Vostro Consesso tutta la ragione di quelle cose.

Voi non ignorate, Venerabili Fratelli, che fin dagli ultimi tempi di Pio VII Nostro Predecessore i principali Principi d’Europa si diedero cura di suggerire all’Apostolica Sede di adottare nell’amministrazione civile delle cose un metodo più spedito e più conforme ai desideri delle persone laiche. Poi, nel 1831, si fecero più solennemente manifesti i voti ed i consigli di questi Principi per mezzo di quel Memorandum che gl’Imperatori d’Austria e di Russia, e i Re dei Francesi, d’Inghilterra e di Prussia ritennero opportuno mandare a Roma per mezzo dei loro Ambasciatori. In quello scritto fra le altre cose si propose una Consulta di Stato per ciascuna provincia; poi si parla della istituzione o dell’ampliamento delle costituzioni Municipali, e della formazione di Consigli Provinciali, nonché di altre istituzioni da ordinare nelle Province a comune vantaggio, e di aprire ai Laici la possibilità di ottenere tutti gl’impieghi tanto nella pubblica amministrazione quanto nei Tribunali. Questi due ultimi articoli si proponevano principalmente come principi vitali del governo. In altri scritti degli Ambasciatori si parlò anche che si dovesse concedere a tutti, o a quasi tutti quelli degli Stati Pontifici che avevano mancato di fede al Sovrano, un più largo perdono.

Non v’è chi ignori che alcune di queste cose furono fatte da Gregorio XVI Nostro Predecessore, e che altre erano state promesse negli Editti del 1831 pubblicati per ordine suo. Però questi benefici del Nostro Predecessore non sembrava che rispondessero pienamente ai voti dei Principi, né che bastassero per ottenere la pubblica utilità e la tranquillità in tutto lo Stato temporale della Santa Sede.

Pertanto Noi, appena che per imperscrutabile giudizio di Dio succedemmo in luogo di Lui, non eccitati né dall’esortazione né dai consigli di alcuno, ma mossi dalla Nostra carità singolare verso il popolo suddito della Santa Chiesa, concedemmo un più largo perdono a coloro che avevano mancato alla fedeltà dovuta al Pontificio Governo; e poi Ci studiammo di dare alcune istituzioni che avevamo giudicato giovevoli alla prosperità del medesimo Popolo. Tutto quello che nel principio del Nostro Pontificato Noi facemmo è del tutto conforme alle cose che avevano desiderato i Principi d’Europa.

Dopo che con l’aiuto di Dio i Nostri consigli furono realizzati, sia i Nostri, sia i Popoli circonvicini mostrarono di andarne così lieti, e Ci diedero tali testimonianze di pubblica esultanza e di riverenze che dovemmo sforzarci onde anche in questa Nostra alma Città i popolari clamori, gli applausi, e le riunioni che con troppo impeto si manifestavano, fossero richiamati alla regola del dovere.

Inoltre a tutti sono note, Venerabili Fratelli, le parole della Nostra Allocuzione fatta a Voi nel Concistoro del 4 ottobre 1847, con le quali lodammo la paterna benignità e gl’impegni più premurosi dei Principi verso i loro Popoli, ed esortammo i popoli medesimi alla debita fedeltà ed all’ubbidienza verso i loro Sovrani.

Né successivamente abbiamo mai tralasciato, per quanto è in Noi, di avvisare tutti insistentemente e di esortarli affinché, aderenti fermamente alla dottrina cattolica, ed osservanti dei precetti di Dio e della Chiesa, vivessero in mutua concordia, tranquillità e carità verso tutti.

E fosse pur vero che alle Nostre voci paterne, ed alle esortazioni avesse risposto l’esito desiderato! Ma ognuno conosce le pubbliche accennate sommosse dei popoli d’Italia, nonché gli altri eventi che, o fuori d’Italia o in essa medesima, o prima o dopo accaddero. Ché se alcuno volesse ritenere che a questi eventi abbia aperto in qualche modo la strada ciò che dal principio del Nostro Pontificato benevolmente e benignamente abbiamo operato, egli certamente non lo potrà attribuire a quanto abbiamo compiuto, non avendo Noi operato altro che ciò che era sembrato utile alla prosperità del Nostro Stato non solo a Noi, ma anche ai suddetti Principi. Del resto, quanto a quei Nostri sudditi che hanno abusato dei Nostri medesimi benefici, Noi, dietro l’esempio del Principe dei Pastori, perdoniamo loro di cuore, e con tutto l’affetto li richiamiamo a miglior consiglio, e supplichiamo il Padre delle misericordie che allontani clemente dal loro capo i flagelli meritati dagl’ingrati.

Inoltre non potrebbero poi lamentarsi di Noi i sopraddetti Popoli della Germania se non Ci fu possibile frenare l’ardore dei Nostri sudditi che vollero applaudire alle imprese compiute contro di loro nell’alta Italia, e vollero con gli altri popoli d’Italia far causa comune, infiammati anch’essi, come gli altri, dell’amore verso la propria Nazione. Tanto è vero che molti altri Principi d’Europa, di gran lunga a Noi superiori nella forza militare, non poterono neppur essi resistere alla commozione dei loro Popoli.

In tale situazione Noi però ai Nostri Militi mandati ai confini dello Stato non volemmo che fosse ordinato altro che di difendere l’integrità e la sicurezza dei domini Pontifici.

Ma siccome ora alcuni desidererebbero che Noi unitamente agli altri Popoli e Principi d’Italia entrassimo in guerra contro i Germanici, abbiamo ritenuto Nostro dovere dichiarare chiaramente e palesemente in questo solenne Nostro Convegno che ciò è del tutto contrario alle Nostre intenzioni, in quanto Noi, benché indegni, facciamo in terra le veci di Colui che è Autore della pace e amatore della carità, e per dovere del Nostro Supremo Apostolato Noi con eguale paterno affetto amiamo ed abbracciamo tutti i popoli e tutte le nazioni. Ché, se nonostante ciò non mancassero fra i Nostri sudditi coloro che sono trasportati dall’esempio degli altri Italiani, in qual modo potremmo Noi frenare il loro ardore?

Qui poi, al cospetto di tutte le genti, non possiamo non rigettare i subdoli consigli, manifestati anche per mezzo dei giornali e dei libelli, di coloro che vorrebbero il Romano Pontefice Presidente di una certa nuova Repubblica da farsi, tutti insieme, dai popoli d’Italia. Anzi, in questa occasione, per la Nostra carità verso i popoli d’Italia li esortiamo caldamente e li ammoniamo a guardarsi da questi consigli astuti e perniciosi per la stessa Italia, e di stare fedeli ai loro Principi, dei quali hanno già sperimentata la benevolenza, e di non lasciarsi staccare dal debito ossequio verso di loro. Infatti operando altrimenti non solo mancherebbero al proprio dovere, ma incorrerebbero anche nel pericolo che l’Italia di giorno in giorno finisse divisa da discordie ed intestine fazioni. In quanto a Noi, però, di nuovo dichiariamo che il Romano Pontefice dirige ogni suo pensiero, ogni cura, ogni studio perché si accresca ogni giorno il regno di Cristo, che è la Chiesa; ma non perché si dilatino i confini del Civile Principato che Iddio volle dato a questa Santa Sede per la sua dignità e per difendere il libero esercizio del Supremo Apostolato. Errano dunque grandemente coloro i quali ritengono che il Nostro animo possa essere lusingato dall’ambizione di più largo temporale dominio, al punto che Noi Ci gettiamo in mezzo ai tumulti delle armi. Per certo al Nostro cuore paterno sarebbe carissimo se Ci fosse dato con l’opera Nostra, con le cure, con gl’impegni di far qualche cosa per estinguere i fomiti delle discordie, per conciliare gli animi che si guerreggiano e per ristabilire fra loro la pace.

Frattanto, mentre con grande consolazione del Nostro cuore sappiamo che in molti luoghi, non solo in Italia ma anche fuori, in tanto movimento di pubbliche cose i Nostri Figli cattolici non vennero meno al loro debito ossequio verso le cose sacre ed i sacri Ministri, Ci addoloriamo poi con tutto l’animo che questo rispetto non sia stato osservato dappertutto. Né Ci possiamo trattenere dal compiangere infine in questo Vostro Consesso il funestissimo uso invalso in questi giorni di pubblicare ogni genere di stampe, con le quali o si fa orrida guerra alla religione e all’onestà dei costumi, o si promuovono le civili sommosse e s’infiammano discordie, o si prendono di mira i beni della Chiesa, si combattono i più sacri diritti di Essa, o gli uomini più onesti si lacerano con le calunnie.

Queste cose, Venerabili Fratelli, oggi abbiamo creduto opportuno comunicarvi. Resta ora che tutti insieme, nell’umiltà del nostro cuore porgiamo continue e fervide preghiere a Dio Ottimo Massimo, affinché voglia difendere la Sua santa Chiesa, e propizio guardare Noi da Sionne, e difenderci, e chiamare tutti i Principi ed i popoli ai desiderati beni della pace.