Scritti del 1849

 

 

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Pio IX

Da questa pacifica

Da questa pacifica stazione, ove piacque alla Divina Provvidenza di condurci, onde potessimo liberamente manifestare i Nostri sentimenti ed i Nostri voleri, stavamo attendendo che si facesse palese il rimorso dei Nostri figli traviati per i sacrilegii ed i misfatti commessi contro le persone a Noi addette, fra le quali alcune uccise, altre oltraggiate nei modi più barbari, nonché quelli consumati nella Nostra Residenza e contro la stessa Nostra Persona. Noi però non vedemmo che uno sterile invito di ritorno alla Nostra Capitale, senza che si facesse parola di condanna dei suddetti attentati, e senza la minima garanzia che Ci assicurasse dalle frodi e dalle violenze di quella stessa schiera di forsennati, che ancora tiranneggia con un barbaro dispotismo Roma e lo Stato della Chiesa. Stavamo pure aspettando che le Proteste e Ordinazioni da Noi emesse richiamassero ai doveri di fedeltà e di sudditanza coloro che l’una e l’altra disprezzano e conculcano nella Capitale stessa dei Nostri Stati.

Ma invece di ciò, un nuovo e più mostruoso atto di smascherata fellonia e di vera ribellione, da essi audacemente commesso, colmò la misura della nostra afflizione, ed eccitò insieme la giusta Nostra indignazione, siccome sarà per contristare la Chiesa Universale. Vogliamo parlare di quell’atto per ogni riguardo detestabile, col quale si pretese intimare la convocazione di una sedicente Assemblea Generale Nazionale dello Stato Romano, con un Decreto del 29 dicembre p. p. per stabilire nuove forme politiche da darsi agli Stati Pontifici. Aggiungendo così iniquità ad iniquità, gli autori e fautori della demagogica anarchia tentano di distruggere l’autorità temporale del Romano Pontefice sui Domini di Santa Chiesa, quantunque irrefragabilmente stabilita sui più antichi e solidi diritti, venerata, riconosciuta e difesa da tutte le nazioni, col supporre e far credere, che il di Lui Sovrano potere vada soggetto a controversia, o dipenda dal capriccio dei faziosi.

Risparmieremo alla Nostra Dignità l’umiliazione di trattenerci su quanto di mostruoso si racchiude in quell’atto, abominevole per l’assurdità della sua origine, non meno che per la illegalità delle forme e per l’empietà del suo scopo; ma appartiene bensì all’Apostolica Autorità, di cui, sebbene indegni, siamo investiti, ed alla responsabilità che Ci lega coi più sacri giuramenti al cospetto dell’Onnipotente, il protestare non solo, come facciamo, nel più energico ed efficace modo contro l’atto medesimo, ma il condannarlo eziandio alla faccia dell’Universo, quale enorme e sacrilego attentato commesso in pregiudizio della nostra Indipendenza e Sovranità, meritevole dei castighi comminati dalle leggi sì divine come umane. Noi siamo persuasi che al ricevere l’impudente invito sarete rimasti commossi da santo sdegno, ed avrete rigettata lungi da Voi una sì rea e vergognosa provocazione.

Ciò nonostante, perché niuno di voi possa dirsi illuso da fallaci seduzioni e da predicatori di sovversive dottrine, né ignaro di quanto si trama dai nemici di ogni ordine, d’ogni legge, d’ogni diritto, d’ogni vera libertà e della stessa vostra felicità, vogliamo oggi nuovamente innalzare e diffondere la Nostra voce in guisa che vi renda vieppiù certi dello stesso divieto con cui vi proibiamo, a qualunque ceto, o condizione apparteniate, di prendere alcuna parte nelle riunioni che si osassero fare per le nomine degli individui da inviarsi alla condannata assemblea. In pari tempo vi ricordiamo come questa Nostra assoluta proibizione venga sanzionata dai decreti dei Nostri Predecessori e dai Concili, e specialmente dal sacrosanto Concilio generale di Trento , nei quali la Chiesa ha fulminato replicate volte le sue Censure e principalmente la Scomunica Maggiore da incorrersi, senza bisogno di alcuna dichiarazione, da chiunque ardisce rendersi colpevole di qualsivoglia attentato contro la temporale Sovranità dei Sommi Romani Pontefici; così come dichiariamo esservi già disgraziatamente incorsi tutti coloro che hanno dato opera all’atto suddetto, ed ai precedenti, diretti a danno della medesima sovranità, od in qualunque altro modo, e sotto mentito pretesto hanno perturbato, violato ed usurpato la Nostra autorità.

Se però Ci sentiamo obbligati per dovere di coscienza a tutelare il sacro deposito del patrimonio della Sposa di Gesù Cristo alle Nostre cure affidato, coll’adoperare la spada di giusta severità a tal uopo dataci dallo stesso Divino Giudice, non possiamo però mai dimenticarci di tenere le veci di Colui che, anche nell’esercitare la Sua giustizia, non lascia di usare misericordia. Innalzando pertanto al cielo le Nostre mani, mentre di nuovo a Lui rimettiamo e raccomandiamo una tal causa giustissima, la quale, più che Nostra è Sua, e mentre di nuovo Ci dichiariamo pronti, coll’aiuto della potente Sua grazia, di sorbire sino alla feccia, per la difesa e la gloria della Cattolica Chiesa, il calice delle persecuzioni che Egli pel primo volle bere per la salute della medesima, non desisteremo dal supplicarlo e scongiurarlo, affinché voglia benignamente esaudire le fervide preghiere, che di giorno e di notte non cessiamo di innalzarGli per la conversione e la salvezza dei traviati.

Nessun giorno certamente più lieto e giocondo sorgerà per Noi di quello in cui Ci sarà dato di veder rientrare nell’ovile del Signore quei Nostri figli, dai quali oggi tante tribolazioni ed amarezze Ci provengono. La speranza di goder presto di un così felice giorno si convalida in Noi al riflesso che universali sono le preghiere che, unite alle Nostre, ascendono al trono della divina Misericordia dalle labbra e dal cuore dei fedeli di tutto l’Orbe Cattolico, e che la stimolano e la forzano continuamente a mutare il cuore dei peccatori, e a ricondurli nelle vie di verità e di giustizia.

Dato a Gaeta l’1 gennaio 1849.

 

 

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Pio IX

Ubi primum

Non appena fummo elevati, non per nostro merito, ma per arcano disegno della divina Provvidenza, alla sublime Cattedra del Principe degli Apostoli e prendemmo in mano il timone di tutta la Chiesa, fummo presi da grandissima consolazione, Venerabili Fratelli, nel rilevare come già sotto il Pontificato del Nostro Predecessore Gregorio XVI, di felice memoria, fosse divenuto ardente nel mondo cattolico il desiderio che finalmente venisse definito dalla Sede Apostolica, con solenne provvedimento, che la Santissima Madre di Dio e Madre nostra amabilissima, l’Immacolata Vergine Maria, era stata concepita senza peccato originale. Questo piissimo desiderio è chiaramente e indubbiamente testimoniato dalle suppliche inviate al Nostro Predecessore e a Noi: suppliche con le quali celebri Vescovi, insigni Capitoli di Canonici e Famiglie Religiose, tra le quali l’inclito Ordine dei Predicatori, gareggiarono nell’implorare con insistenza che si permettesse di annunciare pubblicamente e di aggiungere nella sacra Liturgia, particolarmente nel Prefazio della Messa della Concezione della beatissima Vergine, l’aggettivo "Immacolata". Sia il Nostro Predecessore, sia Noi esaudimmo molto volentieri queste aspirazioni. A ciò si aggiunge che moltissimi di voi, Venerabili Fratelli, non cessarono di inviare lettere al Nostro Predecessore e a Noi stessi, per implorare con rinnovate istanze e raddoppiato entusiasmo che definissimo come dottrina della Chiesa Cattolica che il concepimento della beatissima Vergine Maria fu del tutto immacolato ed assolutamente immune dal peccato originale. Né sono mancati, anche ai giorni nostri, uomini insigni per ingegno, virtù, pietà e dottrina, i quali con i loro dotti e poderosi scritti hanno illustrato questo argomento e questa piissima opinione; tanto che molti si stupiscono che la Chiesa e la Sede Apostolica non abbiano ancora decretato alla santissima Vergine quell’onore che la comune pietà dei fedeli così ardentemente desidera sia tributato alla Vergine dal solenne giudizio e dall’autorità della Chiesa e della medesima Sede Apostolica.

Senza dubbio questi voti sono tornati di sommo gradimento e gioia a Noi che, fin dalla Nostra più tenera età, nulla abbiamo avuto più a cuore che venerare con speciale pietà, devozione e intimo affetto la beatissima Vergine Maria, e mettere in pratica tutto ciò che era diretto a procurare la maggiore lode e gloria della stessa Vergine, e a promuoverne il culto. Perciò, fin dall’inizio del Nostro supremo Pontificato, con il maggior ardore possibile, abbiamo rivolto le Nostre sollecitudini e il Nostri pensieri ad una così importante questione, e non abbiamo trascurato di innalzare umili e devote preghiere a Dio, affinché voglia illuminare la Nostra mente con la luce della sua grazia celeste, onde possiamo conoscere ciò che in tale materia dobbiamo fare. Grande infatti è la Nostra fiducia in Maria, la beatissima Vergine che fece salire i suoi meriti sopra i cori angelici fino al trono di Dio; che schiacciò con la potenza del suo piede il capo dell’antico serpente; che, collocata fra Cristo e la Chiesa, tutta amorevole e piena di grazia, liberò il popolo cristiano dalle più gravi calamità, dalle insidie e dagli assalti di tutti i nemici, sottraendolo sempre alla morte. Voglia Ella anche ai nostri giorni, con lo splendido tratto del misericordioso affetto materno, con il suo patrocinio sempre efficace e potentissimo presso Dio, allontanare le presenti tristissime vicende piene di lutti, le gravissime tribolazioni, le angustie, le difficoltà e i flagelli della collera divina, che ci affliggono per i nostri peccati; voglia sedare e disperdere le agitatissime tempeste di mali, da cui, con profondo Nostro dolore, è dappertutto sbattuta la Chiesa, e cambiare così in gioia la Nostra amarezza. Voi infatti ben sapete, Venerabili Fratelli, che ogni fondamento della Nostra fiducia riposa nella santissima Vergine; dal momento che Dio ha posto in Maria la pienezza di ogni bene, sappiamo che ogni speranza, ogni grazia, ogni salvezza derivano da Lei, perché questa è la volontà di Colui che stabilì che tutto ricevessimo per mezzo di Maria.

Pertanto abbiamo scelto alcuni ecclesiastici di specchiata pietà ed affermati negli studi teologici, ed alcuni Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per virtù, religione, santità, senno e conoscenza delle cose divine, e abbiamo affidato loro l’incarico di fare, conforme alla loro prudenza e dottrina, un diligente, profondo e completo esame dell’argomento, comunicandoci successivamente con pari scrupolosità il loro parere. Così facendo, riteniamo di seguire le orme dei Nostri Predecessori e di imitare i loro esempi.

Abbiamo perciò pensato, Venerabili Fratelli, di scrivervi la presente Lettera per spronare la vostra esimia pietà e il vostro zelo pastorale, e per inculcarvi con ogni premura di volere, secondo il vostro prudente giudizio, indire e tenere pubbliche preghiere nelle vostre diocesi, onde il clementissimo Padre di ogni lume si degni di illuminarci con la luce del suo divino Spirito, perché in una cosa di tanta importanza possiamo prendere quella deliberazione che più risponda alla maggior gloria del suo Nome, alla lode della beatissima Vergine ed all’utilità della Chiesa militante. Desideriamo inoltre ardentemente che, con la maggiore sollecitudine possibile, vogliate farci conoscere quale sia la devozione che anima il vostro clero e il vostro popolo cristiano verso la Concezione della Vergine Immacolata, e con quale intensità mostri di volere che la questione sia definita dalla Sede Apostolica; ma soprattutto, Venerabili Fratelli, amiamo sapere quale sia in questa materia il vostro pensiero ed il vostro desiderio.

E poiché abbiamo già permesso al clero romano che, invece di quelle contenute nel comune Breviario, possa recitare le speciali ore canoniche in onore della Concezione della beatissima Vergine, recentemente composte e pubblicate, con la presente Lettera concediamo anche a voi, Venerabili Fratelli, se ciò sarà di vostro gradimento, che tutto il clero delle vostre diocesi possa recitare lecitamente e validamente le stesse ore canoniche della Concezione della santissima Vergine in uso presso il clero romano, senza che dobbiate perciò domandare il permesso a Noi o alla sacra Congregazione dei Riti.

Non dubitiamo affatto, Venerabili Fratelli, che per la vostra particolare pietà verso la santissima Vergine Maria sarete lieti di corrispondere con ogni premura ed ogni zelo a questi Nostri desideri, e che vi affretterete ad inviarci le opportune risposte, che vi abbiamo richiesto. Frattanto, come auspicio di ogni celeste favore e come particolare attestato della Nostra benevolenza verso di voi, ricevete l’Apostolica Benedizione, che con vivissimo affetto impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, a tutti i sacerdoti e ai fedeli affidati alle vostre cure.

Dato a Gaeta, il 2 febbraio 1849, anno terzo del Nostro Pontificato.

 

 

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Pio IX

La serie

La serie non interrotta degli attentati commessi contro il Dominio temporale degli Stati della Chiesa, preparati da molti per cecità, ed eseguiti da quelli che più maligni e più scaltri avevano da gran tempo predisposto la docile cecità dei primi; questa serie, avendo toccato l’ultimo grado di fellonia con un Decreto della sedicente Assemblea Costituente Romana in data 9 febbraio corrente, nel quale si dichiara il Papato decaduto di diritto e di fatto dal Governo temporale dello Stato Romano, erigendosi un così detto Governo di Democrazia pura col nome di Repubblica Romana, Ci mette nella necessità di avanzare nuovamente la Nostra voce contro un atto, il quale si presenta al cospetto del mondo col molteplice carattere della ingiustizia, della ingratitudine, della stoltezza, e dell’empietà; e contro il quale, circondati dal Sacro Collegio e alla vostra presenza, degni rappresentanti delle Potenze e Governi amici della Santa Sede, protestiamo nei modi più solenni, e ne dichiariamo la nullità, come abbiamo fatto degli atti precedenti; Voi foste, o Signori, testimonii degli avvenimenti non mai abbastanza deplorabili dei giorni 15 e 16 novembre dell’anno scorso, e insieme con Noi li deploraste e li condannaste. Voi confortaste il Nostro spirito in quei giorni funesti; Voi Ci seguiste in questa terra, ove Ci guidò la mano di Dio, la quale innalza, ed umilia, ma che però non abbandona mai quello che in Lui confida; Voi Ci fate anche in questo momento nobile corona, e perciò a Voi Ci rivolgiamo, affinché vogliate ripetere i Nostri sentimenti e le nostre Proteste alle vostre Corti ed ai vostri Governi.

Precipitati i Sudditi Pontifici, per opera sempre della stessa ardita fazione nemica funesta della umana Società, nell’abisso più profondo di ogni miseria, Noi come Principe temporale, e molto più come Capo e Pontefice della Cattolica Religione, esponiamo i pianti e le suppliche della massima parte dei nominati Sudditi Pontifici, i quali chiedono di vedere sciolte le catene che li opprimono. Domandiamo nel tempo stesso che sia mantenuto il Sacro diritto del temporale Dominio alla Santa Sede, del quale gode da tanti secoli il legittimo possesso universalmente riconosciuto; diritto che nell’ordine presente di Provvidenza si rende necessario e indispensabile pel libero esercizio dell’Apostolato Cattolico di questa Santa Sede.

L’interesse vivissimo che in tutto l’Orbe si è manifestato a favore della Nostra Causa, è una prova luminosa che questa è la Causa della Giustizia, e perciò non osiamo neppur dubitare che essa non venga accolta con tutta la simpatia e con tutto l’interesse dalle rispettabili Nazioni che rappresentate.

Gaeta, 14 febbraio 1849.

 

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Pio IX

Quibus, quantisque

20 aprile 1849

Da quali e quante calamitose procelle siano miseramente agitati e sconvolti, con sommo dolore del Nostro animo, il Nostro Stato Pontificio e quasi tutta l’Italia, nessuno certamente lo ignora, Venerabili Fratelli.

E voglia Dio che gli uomini, ammaestrati da queste luttuosissime vicende, comprendano finalmente che nulla è più dannoso per essi quanto il deviare dal sentiero della verità, della giustizia, dell’onestà e della Religione, appagarsi dei tristissimi consigli degli empi e lasciarsi ingannare e irretire dalle loro insidie, dalle frodi e dagli errori! Certamente tutto il mondo ben conosce ed attesta quali e quante siano state la cura e la sollecitudine del paterno ed amantissimo animo Nostro nel procurare la vera e solida utilità, tranquillità, prosperità dei popoli del Nostro Stato Pontificio, e quale sia stato il frutto di tanta Nostra indulgenza e di tanto amore. Con tali parole Noi condanniamo soltanto gli scaltrissimi artefici di così grandi mali, senza volere attribuire alcuna colpa alla massima parte dei popoli. Senonché siamo costretti a deplorare che molti, anche tra il popolo, siano stati così miseramente ingannati che, chiudendo le orecchie alle Nostre parole ed ai Nostri avvertimenti, le abbiano poi schiuse alle fallaci dottrine di alcuni maestri i quali, lasciando "il retto sentiero e calcando vie tenebrose" (Pr 2,13) miravano solo a indurre e a spingere in pieno nella frode e nell’errore gli animi e le menti specialmente degli inesperti, con magnifiche e mendaci promesse.

Tutti ben sanno con quali lodi sia stato ovunque celebrato quel memorabile ed amplissimo perdono da Noi concesso per la pace, per la tranquillità e per la felicità delle famiglie. E nessuno ignora che parecchi a cui fu largito quel perdono non solo non mutarono affatto il loro pensiero, come Noi speravamo, ma anzi insistendo ogni giorno più acremente nei loro disegni e nelle loro macchinazioni, nulla mai tralasciarono che non ardissero, nulla che non tentassero, purché scuotessero e rovesciassero il civile Principato del Romano Pontefice e il suo governo, come già da gran tempo ordivano, e portassero insieme guerra acerbissima alla Nostra santissima Religione. A raggiungere poi più agevolmente tale scopo, non cercarono altro che di adunare dapprima le masse dei popoli, infiammarle e tenerle di continuo in grandi agitazioni, che si studiavano con ogni sforzo di fomentare ed accrescere quotidianamente col pretesto delle Nostre medesime concessioni. Quindi quelle larghezze da Noi spontaneamente e volontariamente concesse agli inizi del Nostro Pontificato non solo non valsero a produrre il desiderato frutto, ma neppure a metterne mai le radici, mentre gli espertissimi artefici di frodi abusavano delle stesse concessioni per suscitare nuovi torbidi. E in questo vostro consesso, Venerabili Fratelli, abbiamo creduto di toccare, benché leggermente, e di rammentare in modo sommario i fatti stessi, precisamente a questo fine: perché tutti gli uomini di buona volontà conoscano chiaro ed aperto che cosa mai pretendano i nemici di Dio e del genere umano, che cosa desiderino e che cosa mai sia stato sempre nell’animo loro fisso e determinato.

Per il Nostro singolare affetto verso i sudditi Ci doleva oltremodo e Ci affannava, Venerabili Fratelli, il vedere quei continui turbamenti popolari tanto avversi sia della pubblica quiete e dell’ordine, sia della tranquillità privata e della pace delle famiglie; né potevamo tollerare quelle frequenti collette pecuniarie che sotto vari titoli, non senza lieve molestia e dispendio dei cittadini, si andavano facendo. Pertanto, nel mese di aprile dell’anno 1847, con pubblico editto del Nostro Cardinale Segretario di Stato non tralasciammo di avvertire tutti di astenersi da simili popolari adunanze e largizioni, di attendere di nuovo ai proprii affari, di riporre in Noi ogni fiducia, di tenere per certo che le Nostre paterne cure e i Nostri pensieri erano unicamente rivolti a procurare il pubblico bene, come già avevamo dato prove con parecchi e luminosissimi argomenti. Ma questi Nostri salutari avvisi coi quali Noi Ci sforzavamo di frenare così grandi movimenti popolari e richiamare i sudditi stessi all’amore della quiete e della tranquillità, si opponevano assai ai pravi desideri ed alle macchinazioni di taluni.

Pertanto gl’instancabili autori delle turbolenze, i quali si erano già opposti ad altra ordinanza emanata per Nostro comando dallo stesso Cardinale Segretario di Stato, intesa a promuovere una retta ed utile educazione del popolo, appena ebbero conosciuto quei Nostri avvisi, non desistettero dal gridare loro contro dappertutto e dal sollevare sempre più con maggiore impegno le incaute masse dei popoli, e dall’insinuare ad esse con molta scaltrezza e a persuaderle a non volersi mai dare a quella tranquillità tanto da Noi desiderata, dappoiché dicevano che in essa si nascondeva il proposito che i popoli si addormentassero e così potessero più facilmente essere oppressi dal duro giogo della schiavitù. E da quel momento Ci furono mandate moltissime scritture, anche stampate, piene di acerbissime ingiurie, d’ogni sorta di oltraggi, di minacce, le quali Noi coprimmo di un eterno oblio e consegnammo alle fiamme.

Ora i perturbatori, al fine di accreditare in qualche maniera i falsi pericoli che andavano gridando sovrastare al popolo, non ebbero ribrezzo di spargere nel volgo voci e timori di una supposta congiura, da essi a bella posta inventata, e di farneticare, con la più vituperevole menzogna, che si fosse ordita siffatta congiura per funestare la città di Roma con la guerra civile, con stragi ed eccidi: affinché, tolte ed annullate le nuove istituzioni, venisse ristabilita l’antica forma di governo. Ma sotto il pretesto di questa falsissima congiura i nemici avevano il nefando disegno di scuotere ed eccitare il popolo al disprezzo, all’odio, al furore persino contro taluni personaggi specchiatissimi per virtù, insigni per Religione e distinti altresì per dignità ecclesiastica. Voi ben sapete che in questo bollore di cose venne proposta la Guardia Civica, e fu raccolta con tanta celerità che non fu affatto possibile provvedere alla sua retta istituzione e disciplina.

Quando per prima cosa giudicammo opportuno, a procurare vieppiù la prosperità della pubblica amministrazione, di dar vita alla Consulta di Stato, i nemici presero subito occasione da ciò per portare al Governo nuove ferite, e fare in maniera che tale istituzione, la quale poteva riuscire di grande vantaggio ai pubblici interessi dei popoli, ritornasse a loro danno e rovina. E poiché era già impunemente invalsa l’opinione loro che con quella istituzione si cambiavano l’indole e la natura del Governo Pontificio, e che l’autorità Nostra sottostava al giudizio dei Consultori, perciò in quello stesso giorno della inaugurazione di questa Consulta non tralasciammo di ammonire seriamente con gravi e severe parole parecchi turbolenti, da cui erano accompagnati i Consultori, e di manifestare loro chiaro ed aperto il vero fine di questa istituzione. Per altro i perturbatori non desistevano dal sollecitare e dallo spingere con sempre nuovo impeto la parte illusa del popolo, e per avere più facilmente maggior numero di proseliti con classica impudenza ed audacia andavano insinuando nel Nostro Stato, come pure presso le nazioni estere, essere Noi perfettamente d’accordo con le loro opinioni e i loro divisamenti.

Rammenterete, Venerabili Fratelli, come e con quali parole nella Nostra Allocuzione pronunciata nel Concistoro del 4 ottobre 1847 Noi non omettemmo di seriamente ammonire ed esortare tutti i popoli a guardarsi con la massima attenzione dalle arti di simili ingannatori. Frattanto i pervicaci autori delle insidie e delle agitazioni per tenere sempre vivi ed attivi turbolenze e timori, nel gennaio dello scorso anno atterrivano gli animi degli incauti col falso allarme di una guerra esterna, e spargevano nel volgo l’idea che la guerra stessa era fomentata e si sarebbe sostenuta per interne cospirazioni e per la maliziosa inerzia dei governanti. Per tranquillizzare gli animi e per ribattere le arti degli insidiatori, senza indugio il 10 febbraio dello stesso anno con quelle Nostre parole a tutti ben note, dichiarammo essere tali voci pienamente false ed assurde. Ed in quella occasione preannunziammo ai Nostri carissimi sudditi quel che ora con l’aiuto di Dio avverrà, che cioè innumerevoli figli sarebbero accorsi a difendere la casa del Padre comune dei fedeli, ossia lo Stato della Chiesa, ogniqualvolta si fossero sciolti quegli strettissimi legami di gratitudine dai quali dovevano essere fra loro intimamente collegati i Principi e i popoli italiani, e i popoli stessi avessero trascurato di rispettare la sapienza dei loro Principi e la santità dei loro diritti, e di conservarli e difenderli con tutte le forze.

Quantunque poi le Nostre parole dette dianzi ridonassero per breve tempo la calma a tutti coloro il cui volere era contrario alla continua agitazione, tuttavia a nulla valsero presso gli accanitissimi nemici della Chiesa e della umana società, che già avevano eccitato nuove turbe e nuovi tumulti. Incalzando le calunnie già da essi e dai loro simili scagliate contro Religiosi consacrati al divino ministero e benemeriti della Chiesa, con grande violenza sollevarono ed accesero contro di questi il furore popolare. Né ignorate, Venerabili Fratelli, che nulla valsero le Nostre parole indirizzate al popolo il 10 marzo dell’anno scorso, con le quali energicamente procuravamo di sottrarre quella Religiosa Famiglia all’esilio e alla dispersione.

Mentre avvenivano questi fatti in Italia, e quei notissimi sconvolgimenti di cose in Europa, Noi di nuovo il 30 marzo dell’anno stesso, alzando la Nostra voce apostolica, non tralasciammo di avvertire ed esortare reiteratamente tutti i popoli a rispettare la libertà della Chiesa Cattolica, a mantenere l’ordine della società civile, a difendere i diritti di ognuno, ad eseguire i precetti della nostra sacrosanta Religione, e specialmente a porre ogni studio per esercitare verso tutti la carità cristiana; altrimenti, se essi avessero trascurato di operare in questo senso, fossero certi che Iddio avrebbe mostrato che Egli solo è il dominatore dei popoli.

Ora ognuno di voi ben sa come in Italia sia stata introdotta la forma di Governo Costituzionale, e come sia venuto alla luce il giorno 14 marzo dello scorso anno lo Statuto da Noi concesso ai Nostri Sudditi. Ma siccome gl’implacabili nemici dell’ordine e della tranquillità altro non bramavano, se non fare ogni sforzo contro il Governo Pontificio, ed agitare senza tregua il popolo con continui e sospetti sommovimenti, così per mezzo di stampe, di circoli, di comitati e di altri artifizi d’ogni sorta non si stancavano mai di calunniare atrocemente il Governo, di tacciarlo d’inerte, d’ingannatore, di fraudolento, quantunque il Governo stesso con ogni cura e zelo si adoperasse perché il tanto desiderato Statuto venisse pubblicato con la maggior celerità possibile. E qui vogliamo manifestare al mondo intero che al tempo stesso quegli uomini, fermi nel loro proposito di sconvolgere lo Stato Pontificio e l’Italia tutta, Ci proposero di proclamare non una Costituzione, ma una Repubblica, come unico scampo e difesa della salvezza sia Nostra, sia dello Stato della Chiesa. Abbiamo ancora presente nella memoria quella notte, ed abbiamo ancora davanti agli occhi alcuni che, miseramente illusi ed affascinati dagli orditori di frodi, non dubitavano di patrocinare in ciò la loro causa e di proporci la proclamazione stessa della Repubblica. Il che, oltre ad innumerevoli e gravissimi altri argomenti, dimostra sempre più che le domande di nuove istituzioni ed il progresso tanto predicato da tali uomini mirano unicamente a tenere sempre vive le agitazioni, a eliminare ogni principio di giustizia, di virtù, di onestà, di religione; e ad introdurre, a propagare ed a far largamente dominare in ogni luogo, con gravissimo danno e rovina di tutta la società umana, l’orribile e fatalissimo sistema del Socialismo, o anche Comunismo, contrario principalmente al diritto ed alla stessa ragione naturale.

Ma sebbene questa nerissima cospirazione, o piuttosto questa lunga serie di cospirazioni apparisse chiara e manifesta, purtuttavia, così Dio permettendo, rimase ignota a molti di coloro ai quali per tanti motivi doveva stare molto a cuore la comune tranquillità. E quantunque gl’instancabili direttori delle agitazioni dessero gravissimo sospetto di sé, pure non mancarono uomini di buona volontà che porgessero loro la mano amica, forse confidando nella speranza di poterli ricondurre nel sentiero della moderazione e della giustizia.

Intanto un grido di guerra corse all’improvviso per tutta l’Italia, per cui una parte dei Nostri Sudditi, commossa e trasportata, volò alle armi, e resistendo alla Nostra volontà volle oltrepassare i confini del Nostro Stato. Voi sapete, Venerabili Fratelli, come Noi, adempiendo all’ufficio di Sommo Pontefice e di Sovrano, Ci opponemmo agli ingiusti desideri di coloro che volevano trascinarci ad intraprendere quella guerra, e che esigevano che Noi spingessimo alla battaglia, cioè a strage certa, una gioventù inesperta, raccolta in un baleno, mai istruita nell’arte e nella disciplina militare, sfornita di abili comandanti e di attrezzi di guerra. E questo si pretendeva da Noi che, sebbene immeritevolmente innalzati per imperscrutabile decreto della divina provvidenza al vertice della dignità Apostolica, sostenendo qui in terra l’ufficio di Vicario di Gesù Cristo, ricevemmo da Dio, autore di pace e di carità, la missione di amare con paterno affetto indistintamente tutti i popoli, tutte le genti e le Nazioni, e di procurare, per quanto sta in Noi, la loro salvezza, non già di spingerli alle stragi e alla morte. Che se ad ogni Principe è vietato senza giuste cause intraprendere una guerra, chi sarà mai così privo di consiglio e di senno, il quale chiaramente non vegga che l’orbe cattolico esige a buon diritto dal Romano Pontefice una giustizia di gran lunga maggiore e più gravi cause qualora si accinga ad intimare e a portare ad altrui una guerra?

Pertanto con la Nostra Allocuzione del 29 aprile dello scorso anno pronunciata davanti a voi, dichiarammo al mondo intero essere Noi affatto alieni da quella guerra e in quel medesimo tempo rifiutammo e rigettammo da Noi un’offerta certamente insidiosissima fattaci sia a voce, sia per iscritto: offerta non solo a Noi sommamente ingiuriosa, ma anche fatalissima all’Italia, di volere cioè presiedere al governo di una certa Repubblica Italiana. Ed invero per singolare divina misericordia procurammo di compiere il gravissimo incarico impostoci da Dio stesso di parlare, di ammonire, di esortare, e perciò confidiamo che non Ci si possa rimproverare quel detto d’Isaia "Guai a me perché tacqui". E Dio volesse che le Nostre paterne voci, i Nostri avvertimenti, le Nostre esortazioni fossero stati ascoltati da tutti i Nostri figli.

Rammenterete, Venerabili Fratelli, quali schiamazzi e tumulti si mossero dagli uomini della turbolentissima fazione dopo l’Allocuzione da Noi ora accennata, ed in qual modo Ci venne imposto un ministero civile del tutto contrario alle Nostre massime e ai Nostri divisamenti, ed ai diritti della Sede Apostolica. Noi certamente, fin da quel tempo, prevedemmo l’esito infelice della guerra d’Italia, mentre uno di quei Ministri non dubitava di asserire che la guerra medesima sarebbe durata, benché Nostro malgrado, e senza la Pontificia benedizione. Lo stesso Ministro altresì con sommo oltraggio della Sede Apostolica non ebbe ribrezzo di proporre che il civile principato del Romano Pontefice dovesse affatto separarsi dal potere spirituale del medesimo. Quegli stesso, non molto dopo, parlando di Noi osò affermare pubblicamente tali cose, con le quali bandiva in certo modo e segregava il Pontefice stesso dal consorzio degli uomini. Il giusto e misericordioso Signore volle umiliarci sotto la possente sua mano permettendo che, per lo spazio di più mesi, la verità da una parte, la menzogna dall’altra pugnassero tra loro con fierissima battaglia, alla quale pose termine la formazione di un altro Ministero, che poi cedette il posto ad altro, che accoppiava bellamente all’ingegno un particolare zelo per difendere l’ordine pubblico e mantenere le leggi. Ma la sfrenata licenza ed audacia delle prave passioni, levando ogni giorno più alto il capo, dilatavano la loro dominazione, ed i nemici di Dio e degli uomini, accesi dalla lunga e fiera sete di dominare, predare e distruggere, null’altro tanto anelavano quanto di rovesciare tutte le leggi divine ed umane, e saziare cosi le loro brame. Quindi le macchinazioni da tanto tempo preparate si manifestarono apertamente; si videro le vie macchiate di sangue umano, e furono commessi sacrilegi non mai abbastanza deplorabili, e violenze mai intese con indicibile ardimento fatteci nella Nostra stessa residenza al Quirinale. Quindi, oppressi da tante angustie, non potendo liberamente esercitare l’ufficio non solo di Sovrano, ma neppure di Pontefice, non senza somma amarezza del Nostro animo fummo costretti ad allontanarci dalla Nostra Sede. Passiamo ora sotto silenzio quei luttuosissimi fatti da Noi narrati nelle pubbliche proteste, perché non si esacerbi il Nostro comune dolore nel ricordarli. Appena poi i sediziosi conobbero quelle Nostre proteste, infuriando, e con maggiore audacia, e tutto a tutti minacciando, non risparmiarono alcuna sorta di frode, d’inganno, di violenza per gettare sempre più grande spavento nei buoni già abbastanza atterriti. E dopo che ebbero introdotto quella nuova forma di Governo da essi chiamata Giunta di Stato, e tolti di mezzo i due Consigli da Noi istituiti, si adoperarono con tutta lena per adunare una nuova assemblea da essi chiamata Costituente Romana. L’animo certamente rifugge e ripugna al rammentare quali e quante frodi usassero per riuscire in tale intento. Qui poi non possiamo dispensarci dal tributare le debite lodi alla maggior parte dei Magistrati dello Stato Pontificio, i quali memori del proprio onore e del proprio dovere vollero piuttosto ritirarsi dall’ufficio, anziché collaborare in alcun modo ad un’impresa che tendeva a spogliare il loro Sovrano ed il Padre amantissimo del suo legittimo civile principato. Si adunò finalmente quell’Assemblea, ed un certo avvocato romano, sin nell’esordio del suo primo discorso pronunciato ai congregati, dichiarò solennemente a tutti ciò che egli e tutti gli altri suoi compagni autori dell’orribile movimento sentissero, volessero e dove mirassero. "La legge del progresso morale, diceva egli, è imperiosa ed inesorabile", e insieme soggiungeva che egli e gli altri erano già da molto tempo decisi di abbattere dalle fondamenta il dominio temporale e il governo della Sede Apostolica, qualunque cosa da Noi si fosse fatta per secondare i loro desideri.

Tale dichiarazione abbiamo voluto rammentare in questo vostro consesso, affinché tutti intendano che tale perversa volontà non fu da Noi attribuita agli autori delle sedizioni solo per congettura e mossi da qualche sospetto, ma che in tutto il mondo fu palesemente e pubblicamente manifestata da quegli stessi che anche il solo pudore avrebbe dovuto trattenere dal proferire simile dichiarazione.

Siffatti uomini, dunque, non miravano ad avere istituzioni più libere, né riforme più utili alla pubblica amministrazione, non pròvvide misure di qualunque genere, ma volevano bensì invadere, scuotere, distruggere il dominio temporale della Sede Apostolica. E questo loro proposito, per quanto poterono, lo realizzarono con quel decreto emanato dalla cosiddetta, da loro, Costituente Romana il giorno 9 febbraio del corrente anno, con il quale dichiararono essere i Romani Pontefici decaduti di diritto e di fatto dal governo temporale: né sappiamo dire se sia stata più grave l’ingiustizia contro i diritti della Chiesa Romana e la libertà ad essi congiunta nell’adempiere l’ufficio Apostolico, o se furono maggiori il danno e la calamità per tutti i Sudditi pontifici. Per così deplorevoli fatti non fu certamente lieve la Nostra afflizione, Venerabili Fratelli, e ciò che soprattutto massimamente Ci addolora è che la città di Roma, centro dell’unità e della verità cattolica, maestra di virtù e di santità, per opera di empi, che ivi in folla ogni giorno accorrono, appaia, al cospetto di tutte le genti, dei popoli e delle nazioni, autrice di tanti mali. Ma in così grave affanno del Nostro cuore Ci è pur dolce il poter affermare che la massima parte tanto del popolo di Roma, quanto degli altri di tutto il Nostro Stato Pontificio, costantemente affezionata e devota a Noi e alla Santa Sede, ha avuto in orrore quelle nefande macchinazioni, benché sia stata spettatrice di tanti luttuosi avvenimenti. Egualmente fu a Noi di somma consolazione la sollecitudine dei Vescovi e del Clero del Nostro Stato che, adempiendo ai doveri del proprio ministero in mezzo ai pericoli e ad ogni sorta d’impedimenti, non tralasciarono, con la voce e con l’esempio, di tenere lontani i popoli da quegli ammutinamenti e dalle malvagie insinuazioni dei faziosi.

In così grande conflitto di cose ed in tanto disastro, nulla lasciammo intentato per provvedere all’ordine e alla pubblica tranquillità. Infatti, assai prima che avessero luogo quei tristissimi fatti del novembre procurammo con ogni impegno che si richiamassero in Roma i Reggimenti Svizzeri addetti al servizio della Santa Sede e stanziati nelle Nostre province; ciò però, contro il Nostro volere, non ebbe effetto per opera di coloro che nel mese di maggio avevano l’incarico di Ministri. Né questo soltanto, ma anche prima d’allora, come in seguito, al fine di difendere l’ordine pubblico specialmente in Roma, e di comprimere l’audacia del partito sovversivo, rivolgemmo le Nostre premure a procurarci soccorsi di altre truppe che, con il permesso di Dio, date le circostanze Ci vennero meno.

Finalmente dopo gli stessi luttuosissimi fatti di novembre non tralasciammo d’inculcare in ogni modo, con la Nostra lettera del 5 gennaio a tutte le Nostre truppe indigene che, memori della religione e dell’onore militare, mantenessero la fedeltà giurata al proprio Principe, e con zelo si adoperassero perché ovunque si conservassero la quiete pubblica e la dovuta obbedienza e devozione al legittimo Governo. Oltre a ciò demmo ordine che si trasferissero in Roma i Reggimenti Svizzeri, i quali non obbedirono al Nostro volere, specialmente perché il loro Generale tenne, in quest’affare, una condotta non retta e poco onorevole.

Frattanto i capi della fazione, spingendo la loro impresa con maggiore impeto ed audacia, non tralasciavano di scagliare orrende calunnie e contumelie d’ogni sorta contro la Nostra persona e contro coloro che Ci affiancavano; inoltre osavano, per somma nefandezza, abusare delle parole stesse e delle sentenze del Santo Vangelo per adescare sotto la veste di agnello (mentre non sono al di dentro se non lupi rapaci) l’inesperta moltitudine ai loro pravi disegni e complotti, e per avvelenare con false dottrine le menti degli incauti. I Sudditi poi, fedelmente attaccati e devoti a Noi ed al dominio temporale della Santa Sede, Ci richiedevano meritatamente ed a buon diritto di essere liberati da tante gravissime angustie, pericoli, calamità e rovine da cui erano oppressi per ogni dove. E poiché taluni di essi Ci ravvisano come cagione, sebbene innocente, di tante perturbazioni, così vogliamo che essi riflettano che Noi di fatto, appena innalzati al soglio pontificio, rivolgemmo le Nostre paterne cure e disegni, come sopra dichiarammo, precisamente a migliorare con ogni impegno la condizione dei popoli del Nostro Stato Pontificio; ma per opera d’uomini nemici e turbolenti è avvenuto che riuscissero inutili quei Nostri disegni, mentre all’opposto accadde, così permettendolo Iddio, che i faziosi medesimi siano potuti riuscire a mandare ad effetto quello che già da lungo tempo non avevano mai desistito di ordire e tentare con ogni e qualunque genere di malizia.

Pertanto qui di nuovo ripetiamo ciò che già altre volte manifestammo, cioè che nella così grave e luttuosa tempesta dalla quale quasi tutto il mondo è così orrendamente travagliato, si deve riconoscere la mano di Dio ed ascoltare la sua voce, che con tali flagelli suole punire i peccati e le iniquità degli uomini, affinché essi tornino frettolosi nelle vie della giustizia. Ascoltino dunque questa voce coloro che si dipartirono dalla verità, ed abbandonando l’intrapreso cammino si convertano al Signore; l’ascoltino pure coloro che nell’attuale tristissimo stato di cose sono assai più attenti ai loro comodi privati, che al bene della Chiesa e alla prosperità della Religione Cattolica, e ricordino che nulla giova all’uomo "il possedere il mondo intero, se poi abbia a perdere la sua anima"; e l’ascoltino ancora i pii figli della Chiesa, ed aspettando con pazienza il soccorso di Dio, e con sempre maggiore impegno mondando le loro coscienze da ogni macchia di peccato, procurino d’implorare le celesti misericordie, e di piacere sempre più agli occhi di Dio, e di servirlo continuamente.

Fra questi Nostri ardentissimi desideri non possiamo non avvertire specialmente e riprendere coloro che plaudono a quel decreto con cui il Romano Pontefice viene spogliato d’ogni onore e d’ogni dignità del suo Principato civile, ed asseriscono essere il decreto stesso di gran lunga giovevole a procurare la libertà e la felicità della Chiesa medesima. Qui poi, apertamente ed al cospetto di tutti, attestiamo che nel dire questo Noi non siamo mossi da alcuna cupidigia di dominio o da alcun desiderio di potere temporale, mentre la Nostra indole, il Nostro animo sono in verità alieni da qualsivoglia dominazione. Peraltro il Nostro dovere richiede che nel difendere il civile principato della Sede Apostolica difendiamo con tutte le forze i diritti ed i possedimenti della Santa Romana Chiesa, e la libertà della Sede stessa, che è intimamente congiunta con la libertà ed utilità di tutta la Chiesa. Invero coloro che, plaudendo al decreto predetto, asseriscono tante falsità ed assurdità, o ignorano o fingono d’ignorare essere avvenuto per singolarissima disposizione della divina provvidenza che, diviso l’Impero romano in più regni e stati diversi, il Romano Pontefice, cui da Cristo Signore vennero affidati la cura e il governo di tutta la Chiesa, avesse perciò appunto un civile principato, affinché nel reggere la Chiesa medesima e nel custodirne l’unità godesse di quella piena libertà che si richiede per l’esercizio del supremo ministero apostolico. Infatti nessuno ignora che i fedeli, i popoli, le nazioni ed i regni non presterebbero mai piena fiducia e rispetto al Romano Pontefice se lo vedessero soggetto al dominio di qualche Principe o Governo, e non già pienamente libero. Ed invero i fedeli, i popoli ed i regni non cesserebbero mai dal sospettare e temere assai che il Pontefice medesimo non conformasse i suoi atti al volere di quel Principe o Governo nel cui Stato si trovasse, e perciò, con questo pretesto, sovente non avrebbero scrupolo di opporsi agli stessi atti. In verità dicano i nemici stessi del civile principato della Sede Apostolica, che ora dominano in Roma, con quale mai fiducia e rispetto riceverebbero essi le esortazioni, gli ordini, le disposizioni del Sommo Pontefice sapendolo soggetto all’impero di qualsiasi Principe o Governo, specialmente poi se fra uno di questi e lo Stato Romano si fosse da lungo tempo in aperta guerra?

Intanto ognuno vede da quali e quanto gravi ferite nello stesso Stato Pontificio sia ora trafitta l’immacolata sposa di Cristo, da quali ceppi, da quale vilissima schiavitù venga sempre più oppressa, e da quante angustie sia travagliato il suo Capo visibile. E a chi mai è ignoto esserci perfino impedita la comunicazione con Roma, e con quel Clero a Noi carissimo, e con l’intero Episcopato, e con gli altri fedeli di tutto lo Stato Pontificio, tanto che non Ci è neppure concesso d’inviare e ricevere liberamente lettere, anche se si riferiscano ad affari ecclesiastici e spirituali? Chi non sa che la città di Roma, sede principale della Chiesa Cattolica è ora divenuta, ahi! una selva di bestie frementi, ridondante di uomini d’ogni nazione, i quali o apostati, o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo o del Socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in qualsivoglia altro modo si studiano con ogni sforzo d’insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere, e di corrompere il cuore e l’animo di tutti, affinché in Roma stessa, se fosse possibile, si guasti la santità della Religione Cattolica, e la irreformabile regola della Fede? Chi non sa, né ha udito essersi, nello Stato Pontificio, con temerario e sacrilego ardimento, occupati i beni, le rendite, le proprietà della Chiesa; spogliati i templi augustissimi dei loro ornamenti; convertite in usi profani le case religiose; le sacre vergini malmenate; sceltissimi ed integerrimi ecclesiastici e religiosi crudelmente perseguitati, imprigionati, uccisi; venerandi chiarissimi Vescovi, insigniti perfino della dignità cardinalizia, barbaramente strappati dal loro gregge e cacciati in carcere? E come questi tanti ed enormi misfatti contro la Chiesa, e i suoi diritti, e la sua libertà si commettono nello Stato Pontificio, così in altri luoghi ove dominano quegli uomini o i loro pari in quel tempo appunto in cui essi stessi dovunque proclamano la libertà, e danno ad intendere essere nei loro desideri che il supremo potere del Sommo Pontefice, sciolto da qualsivoglia vincolo, possegga e fruisca di una piena libertà.

Inoltre nessuno poi ignora in quale tristissima e deplorevole condizione si trovino i Nostri dilettissimi Sudditi per opera di quegli uomini medesimi che commettono tanti eccessi contro la Chiesa: dissipato, esausto il tesoro pubblico, interrotto e quasi estinti il commercio, gravissime contribuzioni di danaro imposte ai nobili e ad altri; derubati i beni dei privati da coloro che chiamansi capi del popolo e duci di sfrenate milizie; manomessa la libertà personale di tutti i buoni, e posta all’estremo pericolo la loro tranquillità; la vita stessa sottoposta al pugnale dei sicari, ed altri immensi e gravissimi mali e calamità, da cui senza tregua i cittadini sono grandemente travagliati, atterriti. Questi precisamente sono gli esordi di quella prosperità che i nemici del supremo Pontificato annunciano e promettono ai popoli dello Stato Pontificio!

In mezzo dunque al grave e incredibile dolore da cui eravamo intimamente penetrati per le tante calamità sia della Chiesa, sia dei Nostri sudditi, ben conoscendo che la ragione del Nostro dovere esigeva assolutamente che facessimo di tutto per rimuoverle ed allontanarle, fin dal 4 dicembre dello scorso anno non tralasciammo di domandare ed implorare dai Principi e dalle Nazioni aiuto e soccorso. E non possiamo trattenerci dal comunicarvi ora, Venerabili Fratelli, la particolare consolazione che provammo nell’apprendere che gli stessi Principi e popoli, e quelli pure non congiunti a Noi per vincolo di unità cattolica, attestarono e dichiararono con vive espressioni la spontanea propensione loro verso di Noi. Il che, mentre mirabilmente lenisce l’acerbissimo Nostro dolore e Ci conforta, maggiormente dimostra come Dio propizio assista sempre la sua santa Chiesa.

Nutriamo speranza che tutti si persuadano che dal disprezzo della santissima nostra Religione sono derivati quei mali gravissimi da cui, in tanta difficoltà di tempi, popoli e regni sono percossi, né che si possa ricercare sollievo e rimedio se non dalla divina dottrina di Cristo e dalla sua Santa Chiesa che, feconda madre e nutrice di ogni virtù e nemica dei vizi, mentre educa gli uomini ad ogni verità e giustizia e li unisce nella scambievole carità, attende e provvede mirabilmente al bene pubblico ed all’ordine della società civile.

Dopo avere invocato l’aiuto di tutti i Principi, chiedemmo tanto più volentieri soccorso all’Austria, confinante a settentrione col Nostro Stato, in quanto essa non solo prestò sempre la sua egregia opera in difesa del dominio temporale della Sede Apostolica, ma fa ora certamente sperare che, secondo gli ardentissimi Nostri desideri e giustissime domande, vengano eliminati da quell’Impero alcuni principi riprovati sempre dalla Sede Apostolica e perciò, a bene e vantaggio di quei fedeli, ivi la Chiesa recuperi la sua libertà. La qual cosa, che con sommo piacere vi annunciamo, siamo certi che arrecherà a voi non piccola consolazione.

Simile aiuto domandammo alla Francia, alla quale portiamo singolare affetto e benevolenza, poiché il clero e i fedeli di quella Nazione posero ogni studio nel lenire e sollevare le Nostre amarezze ed angustie con amplissime dimostrazioni di filiale devozione ed ossequio.

Chiedemmo ancora soccorso alla Spagna che, assai premurosa e sollecita delle Nostre afflizioni, eccitò per prima le altre Nazioni cattoliche a stringere tra loro una filiale alleanza per procurare di ricondurre alla sua Sede il Padre comune dei fedeli, il supremo pastore della Chiesa.

Finalmente chiedemmo siffatto aiuto al Regno delle Due Sicilie, dove siamo ospiti presso il Re, che, occupandosi con tutte le forze nel promuovere la vera e solida felicità dei suoi popoli, tanto rifulge per religione e pietà da servire di esempio ai suoi stessi sudditi. Sebbene poi non possiamo esprimere abbastanza a parole con quanta premura e sollecitudine quel Principe stesso ambisce con ogni maniera e con chiari argomenti di attestarci e confermarci continuamente l’esimia sua filiale devozione verso di Noi, purtuttavia gl’illustri suoi meriti verso di Noi non andranno giammai in oblio. Né possiamo altresì in alcun modo passare sotto silenzio le testimonianze di pietà, di amore e di ossequio che il clero ed il popolo dello stesso Regno, fin da quando vi entrammo, non cessarono mai di porgerci.

Pertanto speriamo che con l’aiuto di Dio quelle Potenze Cattoliche, avendo presente la causa della Chiesa e del suo Sommo Pontefice, Padre comune di tutti i fedeli, si affretteranno ad accorrere quanto prima a difendere, a rivendicare il civile principato della Sede Apostolica e a ridonare ai Nostri sudditi la pace e la tranquillità; confidiamo che saranno allontanati da Roma e da tutto lo Stato Pontificio i nemici della nostra santissima Religione e della civile Società.

Appena ciò avverrà, sarà Nostra cura con ogni vigilanza, sollecitudine e sforzo procurare che si rimuovano tutti quegli errori e gravissimi scandali che con tutti i buoni così altamente abbiamo dovuto lamentare. Dapprima sarà opportuno adoperarsi sommamente a rischiarare col lume della verità eterna gli animi e le inclinazioni miseramente illuse dalle fallacie, dalle insidie e dalle frodi degli empi, affinché gli uomini conoscano i funesti frutti degli errori e dei vizi, e siano eccitati ed animati a seguire le vie della virtù, della giustizia e della Religione. Infatti molto bene conoscete, Venerabili Fratelli, quelle orrende e mostruose opinioni che, scaturite dal fondo dell’abisso a rovina e a desolazione, già prevalsero e vanno furibonde con danno immenso della Religione e della Società. Le quali perverse e pestifere dottrine i nemici non si stancano mai di diffondere nel volgo, con le parole e con gli scritti, e nei pubblici spettacoli per accrescere e propagare ogni giorno di più la sfrenata licenza di ogni empietà, di ogni cupidigia e libidine. Di qua derivano quelle calamità e sventure e disastri che tanto funestarono, e funestano, il genere umano, e quasi il mondo intero. Non ignorate quale guerra si faccia anche nella stessa Italia alla Religione nostra santissima, e con quali frodi ed artifizi i terribili nemici della Religione e della Società si adoperino per allontanare gli animi, specialmente inesperti, dalla santità della fede e dalla sana dottrina, e sommergerli nei vorticosi flutti dell’incredulità, e sospingerli ai più gravi misfatti.

Per agevolare l’esito dei loro disegni, ed eccitare e promuovere le sedizioni e i tumulti sull’esempio degli eretici, disprezzata appieno la suprema autorità della Chiesa, ardiscono invocare, interpretare, mutare, stravolgere nel privato e perverso loro senso le parole, le testimonianze, i sentimenti delle divine scritture e, a colmo di empietà, non hanno orrore di abusare iniquamente dello stesso nome santissimo di Gesù Cristo. Né li trattiene il pudore dall’asserire pubblicamente che tanto la violazione di qualunque più sacro giuramento, quanto qualsivoglia azione scellerata e criminosa, ripugnante anche alla stessa eterna legge di natura, non solo non debba riprovarsi, ma addirittura essere appieno lecita e degna di ogni encomio, quando si faccia, come essi dicono, per amore della patria. Con così empio e stravolto modo di argomentare, da tali uomini si toglie ogni idea di onestà e di giustizia; si difende e si loda con somma impudenza la mano dello stesso ladrone e del sicario.

Alle altre innumerevoli frodi, delle quali i nemici della Chiesa cattolica di continuo si valgono per divellere e strappare dal seno di essa gl’incauti principalmente e gl’inesperti, si aggiungono le più atroci e turpi calunnie, che non arrossiscono d’inventare e lanciare contro la Nostra persona. Noi certamente, benché immeritevoli, facendo qui in terra le veci di Colui che "mentre era maledetto non malediceva, mentre soffriva non minacciava", sopportammo con ogni pazienza ed in silenzio i più amari oltraggi, e non tralasciammo mai di pregare per i Nostri calunniatori e persecutori. Ma essendo debitori ai dotti ed agl’ignoranti, e dovendo con ogni cura provvedere alla salvezza di tutti, al fine di prevenire specialmente lo scandalo dei deboli, non possiamo non rigettare da Noi, in questo vostro consesso, quella falsissima e fra tutte più nera calunnia divulgata contro di Noi da alcuni recentissimi giornali. In verità fummo colpiti da incredibile orrore quando leggemmo quella invenzione con cui i Nostri nemici si sforzano di arrecare grave ferita a Noi ed alla Sede Apostolica, tuttavia non possiamo in alcun modo pensare che simili impudentissime menzogne possano anche solo leggermente offendere quella suprema Cattedra di verità, e Noi che, senza alcun merito, Ci troviamo in essa collocati. E certamente per singolare celeste misericordia possiamo usare quelle parole del nostro divin Redentore: "Io ho parlato palesemente al mondo... e in segreto nulla ho detto". Qui, Venerabili Fratelli, stimiamo opportuno ripetere ed inculcare quanto segnatamente dichiarammo nella Nostra Allocuzione del 17 dicembre 1847, cioè che gli empi, per potere più facilmente danneggiare la vera e genuina dottrina della Religione Cattolica, e ingannare ed indurre altri in errore, non tralasciano di adoperare invenzioni, macchinazioni e sforzi d’ogni genere affinché in certo modo la stessa Santa Sede appaia partecipe e fautrice della loro stoltezza.

A tutti poi è palese quali tenebrosissime, non meno che dannosissime società e sette siano state fondate in vari tempi dai fabbricatori di menzogna, seguaci di perverse dottrine, per istillare più incisivamente negli animi i loro deliri, sistemi e trame, corrompere i cuori dei semplici ed aprire un’ampia via a commettere impunemente ogni sorta di scelleratezze. Le quali abominevoli sette di perdizione, perniciosissime non solo alla salute delle anime ma al bene altresì e alla quiete della società, sempre da Noi detestate e condannate già dai Nostri Predecessori, Noi pure nell’enciclica ai Vescovi dell’orbe cattolico data il 9 novembre 1846 condannammo, ed ora egualmente con la suprema autorità apostolica torniamo a condannare, a proibire, a proscrivere.

Non fu Nostro scopo in questa Nostra Allocuzione di enumerare tutti gli errori dai quali i popoli miseramente delusi vengono spinti a così gravi sciagure, o di additare tutte le macchinazioni con cui si cerca la rovina della Religione Cattolica, e di attaccare da ogni parte, e d’invadere la rocca di Sion. Quanto abbiamo fin qui con dolore rammentato dimostra a sufficienza che dalle invalse prave dottrine e dal disprezzo della giustizia e della Religione derivano quelle calamità e sciagure da cui le nazioni e le genti sono tanto travagliate. Ad eliminare dunque danni così gravi non si devono risparmiare cure, consigli, fatiche e veglie, perché, sradicate tante perverse dottrine, comprendano tutti che nell’esercizio della virtù, della giustizia, della Religione consiste la vera e solida felicità. Quindi Noi e voi e gli altri Venerabili Fratelli Vescovi di tutto l’orbe cattolico dobbiamo con ogni cura, sollecitudine e sforzo adoperarci perché i fedeli, allontanati dai pascoli avvelenati, e condotti ai salubri, e nutriti ogni giorno più con le parole della fede, conoscano, evitino le frodi e gl’inganni degli insidiatori e, ben comprendendo che il timore di Dio è la fonte di ogni bene, e i peccati e le iniquità attirano i flagelli di Dio, si studino con tutta diligenza di fuggire il male, ed operare il bene. Perciò in mezzo a tante angustie proviamo certamente non lieve letizia sapendo con quanta fermezza e costanza d’animo i Venerabili Fratelli Vescovi dell’orbe cattolico, strettamente fedeli a Noi ed alla Cattedra di Pietro, insieme con il clero a loro obbediente virilmente si adoperino a difendere la causa della Chiesa, ed a sostenere la sua libertà e con quale sacerdotale premura e diligenza diano ogni opera per confermare sempre più i buoni nella bontà, ricondurre i traviati nel sentiero della giustizia, e con la voce e con gli scritti ribattere e confondere gli ostinati nemici della Religione. E mentre siamo lieti di porgere ai Venerabili Fratelli medesimi le giuste e meritate lodi, li rincuoriamo affinché con l’aiuto divino proseguano con zelo sempre maggiore ad adempiere il proprio ministero, a combattere le battaglie del Signore, a sollevare la voce con sapienza e vigore per evangelizzare Gerusalemme e sanare le piaghe d’Israele. Conforme a ciò, non cessino dal ricorrere con fiducia al trono della grazia, dal raddoppiare sia pubbliche sia private preghiere e dall’inculcare con impegno ai fedeli che facciano penitenza, affinché possano ottenere dal Signore misericordia, e rinvenire la grazia nell’aiuto opportuno. Né desistano dall’esortare gli uomini d’ingegno e di sana dottrina, onde essi sotto la scorta dei propri pastori e dell’Apostolica Sede si sforzino a rischiarare le menti dei popoli, ed a dissipare le tenebre dei serpeggianti errori.

Qui pure scongiuriamo nel Signore i carissimi figli Nostri in Gesù Cristo i Principi e i Governanti, e a loro chiediamo che, attentamente e seriamente considerando i mali e i danni derivanti nella società da un torrente di tanti vizi ed errori, vogliano principalmente con ogni cura, ingegno e sollecitudine, che la virtù, la giustizia, la Religione ovunque trionfino ed abbiano sempre maggior incremento. E tutti i popoli, le genti, le nazioni e i loro reggitori pensino e meditino assiduamente ed attentamente che tutti i beni sono riposti nella pratica della giustizia, che tutti i mali scaturiscono dalla iniquità: poiché "la giustizia innalza le nazioni, invece il peccato rende miseri i popoli" (Pr 14,34).

Ma prima di porre fine al Nostro dire non possiamo fare a meno di attestare apertamente e pubblicamente il Nostro animo grato a tutti quei carissimi ed affettuosissimi figli che, grandemente solleciti delle Nostre calamità per un sentimento singolarissimo di affetto verso di Noi, vollero inviarci le loro oblazioni. Sebbene tali pie elargizioni Ci apportino notevole sollievo, tuttavia dobbiamo confessare che il cuor Nostro è assai angustiato temendo purtroppo che, nella tristissima condizione della cosa pubblica, essi, trasportati da uno slancio di amore, non vadano ad incontrare nei loro generosi sacrifizi un vero incomodo e danno.

Finalmente, Venerabili Fratelli, Noi rassegnandoci pienamente agl’impenetrabili decreti della sapienza di Dio, con i quali Egli opera la sua gloria, mentre nella umiltà del Nostro cuore rendiamo grazie infinite a Dio per averci fatti degni di soffrire le ingiurie pel nome di Gesù, ed esser fatti in parte conformi all’immagine della sua passione, siamo pronti nella fede, nella speranza, nella pazienza, nella mansuetudine a soffrire i più acerbi travagli e pene e a dare per la Chiesa perfino la Nostra vita, se col Nostro sangue Ci fosse dato di riparare alle calamità della Chiesa. Frattanto, Venerabili Fratelli, non tralasciamo di porgere umilmente giorno e notte fervorose preghiere al Signore Iddio, ricco di misericordia, e di scongiurarlo affinché, per i meriti dell’Unigenito suo Figlio tragga con la sua destra onnipotente la Chiesa sua Santa dalle tante tempeste onde è sbattuta, e col lume della divina sua grazia rischiari le menti di tutti i traviati e vinca i cuori dei prevaricatori nella sua infinita misericordia, affinché, banditi dappertutto gli errori e rimosse tutte le avversità, vedano e riconoscano tutti la luce della verità e della giustizia e corrano nella unità della fede e nella conoscenza di nostro Signor Gesù Cristo.

E non cessiamo mai di chiedere supplichevoli, da Quello stesso che forma la pace nei cieli e che è la nostra pace, che, tolti appieno tutti i mali da cui è straziato il Cristianesimo, si degni accordare ovunque la tanto sospirata pace e tranquillità. E perché più facilmente Iddio si pieghi alle nostre preghiere, avvaliamoci dei mediatori presso di Lui, e soprattutto ricorriamo alla Santissima Vergine Immacolata Maria, la quale è madre di Dio e nostra, e che, madre di misericordia, ciò che domanda ottiene e non può non essere esaudita. Imploriamo ancora i suffragi di San Pietro, Principe degli Apostoli, e del coapostolo Paolo e di tutti i Santi che, divenuti già amici di Dio, regnano con Lui nei cieli, acciocché il clementissimo Signore per i loro meriti e per le loro preghiere liberi i fedeli dai flagelli della sua collera e li protegga sempre e li allieti con l’abbondanza della sua divina benignità.

 

 

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Pio IX

Noscitis et Nobiscum

Voi conoscete, e vedete con Noi, o Venerabili Fratelli, con quanta malvagità siano invalsi e abbiano preso animo, non ha guari, certi dichiarati nemici della verità, della giustizia e di ogni onestà, i quali sia con frode e con insidie di ogni fatta, sia all’aperto e come flutti del mare inferito che spumano le proprie turpitudini (Jud. 13), si studiano di propagare da per tutto tra i popoli della Cattolica Italia una sfrenata licenza di pensare, di favellare e di osare ogni cosa, e si sforzano di indebolire nella stessa Italia la Religione Cattolica, e di atterrarla, se fosse possibile mai, fino dalle fondamenta. La trama di questo infernale divisamento si diede a conoscere in parecchi luoghi, ma soprattutto nell’alma Nostra città, sede del Nostro supremo Pontificato, nella quale, poiché fummo costretti a partirne, imperversarono più liberamente, sia pure per pochi mesi; e ove, messa con sacrilego attentato sottosopra ogni cosa divina ed umana, il loro furore giunse a tal segno, che conculcata l’autorità e impedita l’opera dello specchiatissimo Clero Romano e delle Autorità che per Nostro comando soprattendevano ivi alle cose sacre, più d’una volta gli stessi miseri infermi già presso a morire, sprovveduti di ogni conforto della Religione, furono astretti ad esalare lo spirito fra le lusinghe di sfacciata meretrice.

Ancorché dopo questi avvenimenti la stessa città di Roma, e le altre province del Pontificale dominio, la mercé di Dio, e per l’opera delle Nazioni Cattoliche siano state ridonate al civile Nostro reggimento, e i tumulti delle guerre cessati siano anche nell’altre regioni d’Italia; nulladimeno non cessarono, né cessano tuttavia, questi perversi nemici di Dio e degli uomini dal proseguire nell’indegno divisamento se non colla forza aperta, certo con astuti né sempre occulti artifici. Non vi ha dubbio, che a Noi che sosteniamo in questi difficilissimi tempi la suprema cura del gregge del Signore, e Ci addoloriamo profondamente dei pericoli in cui si ritrova l’Italia, riesce di singolare conforto il considerare lo zelo di che siete animati, o Venerabili Fratelli, e del quale Ci avete forniti molti argomenti, allorché infieriva il turbine della passata procella, e di cui Ci fornite ogni giorno più bellissime prove. Sennonché la gravità del pericolo C’incalza, perché Noi, secondo il debito del Pastorale ufficio, a voi, chiamati a parte della Nostra sollecitudine, porgiamo colle nostre esortazioni nuovo stimolo, sia a combattere costantemente con Noi le guerre del Signore, sia a provvedere e a metter mano con concordia di animi a quelle cose, in forza di cui con la Benedizione celeste si metta riparo a quei mali che la Religione nostra santissima avesse per isventura sofferti in Italia, e si appresti un qualche rimedio ai futuri pericoli.

Fra le molteplici astuzie, con cui i sopraddetti avversari della Chiesa usano svolgere gli animi degli Italiani dalla Religione Cattolica, vi è pur quella di asserire e di spargere sfacciatamente per ogni dove, la Religione Cattolica opporsi alla gloria, alla grandezza, alla prosperità dell’Italia, e quindi esser di mestieri che le riunioni protestantiche s’introducano, si stabiliscano e si propaghino, affinché essa ricuperar possa l’antico splendore, quello cioè dell’età pagana. Ora in questa loro bizzarra invenzione se spicchi più la detestabile malizia della furiosa empietà, ovvero l’impudenza della malvagità mentitrice, è cosa al tutto difficile a definirsi.

Per verità lo spirituale vantaggio di essere stati trasferiti dalla potestà delle tenebre nella luce di Dio, e giustificati per la grazia di Gesù Cristo, e fatti eredi in isperanza di vita eterna (Tit. I, 2), certo questo vantaggio delle anime che trae la sua origine dalla Religione Cattolica, è di così alto pregio, che qualsivoglia grandezza e felicità di questa terra al confronto non merita la più piccola estimazione. " E infatti, che giova all’uomo se acquisti l’intero universo, e poi perda se stesso? E qual cambio potrà mai dar l’uomo per ricuperar l’anima sua? ". Se non che non solamente è alieno dalla verità che l’Italia abbia incorse disavventure a motivo della vera Fede che professò, ché anzi essa deve alla Religione Cattolica se in sul declinare del Romano Impero non fu colta da quegli stessi infortuni nei quali gli Assiri, i Medi, i Persiani e i Macedoni, dopo lunghi anni di estesa dominazione, mutatesi alla perfine le sorti, erano precipitati. Di fatto non vi è alcun uomo prudente che ignori, siccome avvenne per l’ammirabile efficacia della Religione di Cristo, che l’Italia uscisse non solo dalle tante e sì folte tenebre in che giaceva sepolta, ma che tra le rovine di quell’antico Impero, e le scorrerie dei barbari imperversanti per tutta Europa, giungesse ella nulladimeno, a preferenza di tutte le nazioni del mondo, a un grado così eccelso di gloria, che a motivo dell’augusta Cattedra di San Pietro per ispecialissimo favore di Dio in essa collocata stendesse più largamente e stabilmente il dominio con una Religione celeste, di quello che avesse signoreggiato un tempo colla dominazione terrena.

E da questo singolare privilegio di possedere la Sede Apostolica, e dalla Religione Cattolica che approfondì ognor più le radici fra i popoli d’Italia, ebbero origine altri moltissimi e soprammodo insigni vantaggi. In verità, la Santissima Religione di Gesù Cristo, maestra della vera Sapienza, difenditrice degli uomini, e madre feconda di qualsivoglia virtù, distolse bensì gli animi degl’Italiani da quella luce passeggera di gloria, che i lor maggiori, soprastando essi nelle armi, avevano riposto nell’incessante tumulto delle guerre, nell’oppressione degli stranieri, e nell’assoggettare a durissimo servaggio quel maggior numero di uomini che per loro si potesse; ma rischiaratili a un tempo colla luce benefica della verità, a praticare la giustizia e la misericordia, e ad opere insigni di pietà verso Dio e di beneficenza verso gli uomini, li confortò. Di qui nelle precipue città dell’Italia, templi meravigliosi, ed altri monumenti dell’evo cristiano, edificati non già per mano di uomini gementi sotto intollerabile schiavitù, ma eretti dallo zelo di spontanea carità; e per tutto pii Istituti, quali per l’esercizio della Religione, quali per l’educazione della gioventù, quali per coltivare a dovere le lettere e le arti, quali per conforto degl’infermi, quali per sollievo dei bisognosi. E questa Religione adunque tutta divina, a cui l’Italia va debitrice per tanti capi della sua salute, felicità e grandezza; questa Religione adunque si è quella, che gridasi doversi bandire dall’Italia? Noi non possiamo raffrenare le lacrime, Venerabili Fratelli, mentre consideriamo esservi al presente parecchi Italiani cotanto perversi e miseramente ingannati, che plaudendo alle scellerate dottrine degli empi non hanno ribrezzo di cospirare con loro all’estrema rovina dell’Italia.

Non vi è ignoto certamente, o Venerabili Fratelli, come i principali artefici di questa perfida macchinazione abbiano per ultimo scopo di spingere i popoli, agitati dal vento di ree dottrine, al sovvertimento di ogni ordine di cose, e condurli poscia ad abbracciare gli scellerati sistemi del nuovo socialismo e comunismo. Sanno essi benissimo, e veggono comprovato dalla lunga esperienza di molti secoli, come non hanno a sperare alcuna alleanza colla Chiesa Cattolica, la quale nel custodire il deposito della divina rivelazione, né soffre che tolgasi alcunché dalle proposte verità della Fede, né permette che alcuna cosa di umana invenzione loro si aggiunga. Laonde hanno abbracciato il partito di condurre i popoli dell’Italia alle dottrine e ai conventicoli dei Protestanti, nei quali, ad inganno dei semplici, vanno dicendo non ritrovarsi altro se non una diversa forma della vera Religione di Gesù Cristo, e che in essi si può essere accettevoli a Dio non meno che nella Chiesa Cattolica. Intanto non ignorano già, che all’empia lor causa gioverà assaissimo quel principio, sì solenne tra le dottrine dei Protestanti, che tutti cioè hanno diritto d’interpretare a lor senno le Divine Scritture. Dalla quale folle dottrina essi confidano ottenere più agevolmente, sia di diffondere le ree loro massime, quasi a nome di Dio, appoggiandole a false interpretazioni dei sacri libri; sia di condurre gl’incauti, resi superbi dall’insano orgoglio di portar giudizio delle cose di Dio, a mettere in dubbio gli stessi primi principi dell’equo e dell’onesto.

Tolga Iddio, Venerabili Fratelli, che l’Italia, dalla quale, per la Sede dell’Apostolico Magistero stabilito in Roma, le nazioni straniere eran solite di attingere le pure e salutifere acque della vera dottrina, facciasi per l’avvenire lapide di offesa e pietra di scandalo; tolga Iddio che questa diletta parte della Vigna del Signore venga manomessa e distrutta da ogni vil bestia del campo; tolga Iddio che i popoli d’Italia resi furenti dai sorsi avvelenati del calice di Babilonia impugnino le parricide armi contro la Chiesa lor madre. Noi certo, e voi pure, per segreto giudizio di Dio riserbati a questi tempi sì perigliosi, dobbiamo guardarci dal temere le frodi e gli assalti di questi cospiratori contro la Fede dell’Italia; né dobbiam credere di poter vincerli colle sole nostre forze; imperciocché il nostro consigliere e il nostro braccio è Cristo Gesù, senza di cui non possiam nulla, e col quale possiamo ogni cosa (San Leone Magno, Ep. ad Rusticum Narbonensem). Per la qual cosa fate animo, o Venerabili Fratelli, e vegliate attentamente sopra del gregge a voi affidato, e studiatevi di difenderlo dalle insidie e dagli assalti dei lupi divoratori. Comunicatevi a vicenda i consigli, proseguite a riunirvi, come cominciaste già a fare; così che, conosciuti a fondo i principi dei mali, e le fonti dei pericoli propri a ciascun luogo, voi possiate sotto l’autorità e la guida di questa Santa Sede recar ad essi rimedio più prontamente; e per questa maniera, congiunti a Noi con perfettissima concordia di animi, voi rivolgiate con tutta la forza del vostro zelo pastorale ogni vostra cura e travaglio a questo fine, che tutti gli assalti, le arti, le insidie e gli sforzi dei nemici della Chiesa tornino vani ed inutili.

Ma ad ottenere questo scopo devesi procurare con ogni premura, che il popolo poco ammaestrato intorno alla dottrina Cristiana e la legge del Signore, e reso a così dire stupido dalla lunga licenza nei vizi che signoreggiano in molti, possa conoscer bene le insidie che gli si tendono e la laidezza degli errori che gli si propongono. Per la qual cosa, o Venerabili Fratelli, Noi richiediamo ardentemente dalla vostra pastorale sollecitudine, di non cessare giammai dal porre ogni studio perché tutti i fedeli commessi alle vostre cure siano, secondo la capacità di ciascuno, diligentemente ammaestrati intorno ai santissimi dogmi e ai precetti della nostra Religione, e perché siano ammoniti ed eccitati allo stesso tempo a conformare ad essi la loro vita e i loro costumi. Infiammate a questo fine lo zelo degli Ecclesiastici, di quelli soprattutto, cui è commessa la cura delle anime, affinché persuasi intimamente dell’altezza del Ministero confidato loro dall’Altissimo, e avendo sempre dinanzi agli occhi le prescrizioni del Concilio Tridentino (Sess. V cap. 2. - Sess. XXIV cap. 4 e 7 de Ref.), con sempre maggiore alacrità, siccome richiedono le circostanze particolari dei tempi, si adoperino nella istruzione del popolo cristiano, e cerchino d’insinuare nel cuore di tutti salutevoli ammonimenti, indicando loro con brevità e chiarezza sia i vizii che hanno a sfuggire, sia le virtù che debbono praticare affinché sfuggano le pene eterne e giungano in Cielo.

Sennonché devesi procurare in ispecial modo, che i fedeli abbiano impresso e scolpito profondamente nell’animo quel dogma della santissima nostra Religione, che versa intorno la necessità della Cattolica Fede per giungere a salvamento. ( Questo dogma manifestato da G. C. e inculcato dai Padri della Chiesa e dai Concili, ha luogo pure nelle formule di professione di Fede, sia in quella che è in uso presso i Latini, come in quella che è invalsa fra i Greci, e anche in quella che è usata dagli altri cattolici dell’Oriente). A questo fine gioverà grandemente, che nelle pubbliche preci i fedeli laici insieme col Clero rendano di tanto in tanto vivissime grazie al Signore per l’inestimabile favore della Fede Cattolica che per ispeciale sua misericordia ci compartì, e chiedano allo stesso Padre delle Misericordie che si degni di difendere la professione della medesima Fede nel nostro Paese e serbarla ivi nella sua integrità.

Pertanto voi porrete certo ogni studio perché tutti i fedeli ricevano per tempo da voi il Sacramento della Confermazione, pel quale per ispecial grazia di Dio vien conferita una particolare fortezza a professare costantemente la Fede Cattolica, in mezzo anche ai più temuti pericoli. Né ignorate nemmeno di quale giovamento sia allo stesso fine, che essi, mondatisi dalle sozzure delle colpe colla sincera detestazione dei peccati e col Sacramento della Penitenza, ricevano spesso divotamente il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, che è il vero cibo spirituale delle anime, e l’antidoto pel quale siam liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati mortali, e che è pure simbolo di quel corpo, il cui capo è Gesù Cristo, e al quale, stretti dai fortissimi vincoli della Fede, della Speranza e della Carità, a maniera di membra, volle che Noi appartenessimo, perché unico fosse il nostro sentimento, né ci fossero scismi fra di noi.

Noi non dubitiamo in verun modo che i Parroci e i loro coadiutori e gli altri Sacerdoti, i quali in certi determinati giorni, soprattutto quando corrono i dì delle consuete astinenze, sogliono destinarsi al ministero della Predicazione, siano per darvi mano nelle opere di cui abbinino testé favellato. Nulladimeno al loro concorso gioverà l’aggiungere talvolta gli aiuti straordinari degli Esercizi Spirituali e delle Sacre Missioni, le quali ove sieno affidate ad acconci operai, tornano la merce di Dio utilissime, sia per nutrire nei buoni la pietà; sia per eccitare alla penitenza i peccatori, quelli anche che fossero allacciati da ree, inveterate abitudini; sia ancora perché il popolo fedele cresca nel conoscimento di Dio, e porti frutti di buone operazioni, e premunito da più abbondevoli aiuti della grazia rifugga con più generosa costanza dalle perverse dottrine dei nemici della Chiesa.

Del rimanente in queste pie opere le vostre cure e quelle dei Sacerdoti che vi aiutano, mireranno fra le altre cose a ciò, che i fedeli concepiscano un orrore più sentito di quei delitti che si commettono con iscandalo altrui. Di fatto voi sapete quanto cresciuto sia in parecchi luoghi il numero di coloro che ardiscono di bestemmiare in palese i Santi del Cielo, e lo stesso Sacrosanto Nome di Dio, o ardiscono di vivere in pubblico concubinato, accompagnato alcune volte dall’incesto; o lavorano i dì festivi nelle aperte botteghe; o disprezzano anche in presenza di molti i comandamenti della Chiesa intorno i digiuni o la scelta dei cibi; e non hanno rossore di commettere altrettanti delitti. Per la qual cosa alle vostre fervide esortazioni raccordisi il popolo e consideri attentamente la immane gravità di questi peccati, e le pene severissime con cui saranno puniti gli autori di essi, non solo per la bruttezza che è propria di qualsivoglia delitto, ma sì ancora pel pericolo spirituale cui esposero con contagioso esempio i loro stessi fratelli. Infatti sta scritto: Guai al mondo per gli scandali... Guai all’uomo che diede scandalo ad altrui (Matth. XVIII, 7).

Tra i vari generi d’insidie, coi quali questi maliziosissimi nemici della Chiesa e della società umana si sforzano di trarre i popoli in inganno è certamente uno fra i precipui quello che loro somministra l’arte tipografica, tutto a seconda dei loro perversi disegni. Per la qual cosa si danno attorno in mille guise per ispargere e moltiplicare ogni giorno più cattivi libri, giornali e scritti volanti che riboccano di menzogne, di calunnie e di seduzioni. Anzi prevalendosi delle Società Bibliche, già condannate da questa Santa Sede — sopra questo argomento, oltre i precedenti Decreti vi è la Enciclica di Gregorio XVI che incomincia " Fra le principali macchinazioni", in data degli 8 di Maggio del 1846, i cui decreti Noi pure abbiamo inculcato nella Nostra Lettera Enciclica del 9 di novembre del 1846 — osano a dispetto delle leggi ecclesiastiche (Veggasi la Regola 4 fra quelle che scritte prima dai Padri trascelti nel Concilio di Trento, furono approvate poi da Pio VII nella Costituzione " Dominici gregis " dell’anno 1819; e l’aggiunta che le fu fatta dalla Congregazione dell’indice per l’autorità di Benedetto XIV il 17 Gennaio 1757: che sogliono premettersi all’indice dei libri proibiti) di spargere Sacre Bibbie traslate in lingua volgare, corrotte e con sacrilego ardimento pessimamente interpretate, e ardiscono raccomandarne ai fedeli la lettura sotto speciosi pretesti di religione. Per la qual cosa voi comprendete benissimo, o Venerabili Fratelli, con quanta vigilanza e sollecitudine dobbiamo adoperarci, sia perché i fedeli sfuggano a tutto potere qualsivoglia lettura di quel genere, sia perché si ricordino esser vero soprattutto delle Divine Scritture, che niun uomo, soverchiamente affidato a se stesso, può arrogarsi il diritto di torcerle ai propri sensi, non attenendosi a quelle interpretazioni, che ha approvate e approva tuttavia la Santa Madre Chiesa; cui solo fu commesso dal Redentore di custodire il deposito della Fede, e di portar giudizio del legittimo senso della parola inspirata (Veggasi il Tridentino; Sess, IV, nel Decr. De Editione et usu Sacrorum Librorum).

Ma ad allontanare la peste dei cattivi libri sarà cosa giovevolissima, o Venerabili Fratelli, che chiunque primeggia presso di voi per insigne e sana dottrina, avutane da voi l’approvazione, dia egli pure alla luce degli scritti di piccola mole, sia a difesa della Religione, sia a salutevole ammaestramento del popolo. E apparterrà pure al vostro zelo che questi brevi scritti, e altri ancora di dottrina parimente incorrotta e di provata utilità dettati da altre penne, vengano sparsi fra i fedeli, secondo che le circostanze dei luoghi e delle persone lo consiglieranno.

Se non che tutti coloro che si affaticano con voi nel propugnare la Fede mireranno soprattutto a ciò: di insinuare, di conservare, di scolpire profondamente nell’animo dei fedeli commessi alle vostre cure un grande amore, venerazione e rispetto per questa Sede Apostolica, del quale ossequio voi, o Venerabili Fratelli, porgete meraviglioso esempio. Rammentino adunque i Cristiani che San Pietro, il Principe degli Apostoli (Dagli Atti del Conc. Efesino, Act. III e da San Pietro Crisologo, Ep. ad Eutpchen), vive e presiede ne’ suoi successori, la cui sublime dignità non vien meno in un suo erede, per quanto indegno (San Leon. M., Serm. in Anniv. Assumpt. suae). Rammentino che Cristo Signor Nostro pose in questa Cattedra di Pietro l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa (Matth. XVI, 18); che consegnò a Pietro le chiavi del Regno dei cieli (ibid. V, 19); e che pregò appunto perché la fede di lui non si spegnesse, e che gli comandò di raffermare nella fede i suoi fratelli (Luc. XXII, 31, 32); e come perciò il Romano Pontefice abbia il Primato sopra tutta la terra, e sia il Padre e il Maestro di tutti i Cristiani (Dal Conc. Gen. Fior. nel defin. n. decr. dell’Unione).

Certamente il conservare e difendere la comunione e l’ossequio dei popoli verso il Romano Pontefice è il mezzo più breve e a così dire compendioso per conservarli costanti nella professione della cattolica Verità. Non può infatti accadere che alcuno si ribelli anche pochissimo dalla Cattolica Fede, senza che rigetti a un tempo l’autorità della Chiesa Romana, nella quale trovasi l’infallibile Magistero della stessa Fede fondato dal Divino Redentore, e nella quale perciò si è serbata per sempre la Tradizione che ci viene dagli Apostoli. Quindi gli eretici antichi e i protestanti dei giorni nostri, per quanto discordissimi fra di loro circa ogni altro punto di dottrina, si accordano mirabilmente in ciò, di muover guerra all’autorità della Sede Apostolica, che in nessun tempo, benché usassero di ogni arte e conato, non poterono indurre giammai in un solo dei loro errori. Per la qual cosa anche gli odierni nemici di Dio e dell’umana società non lasciano intentato qualsivoglia artificio, per affievolire e distruggere nel cuore degl’Italiani l’ossequio che portano a Noi e alla Santa Sede; certi che, venuti a capo di ciò, potranno allora soltanto contaminare l’Italia coll’empietà della loro dottrina e colla rea peste dei loro sistemi.

E per ciò che si attiene alle loro dottrine, già è noto a voi tutti, siccome, abusando dei nomi di libertà e di uguaglianza, mirino soprattutto a questo: di rendere familiari nel popolo le stolte e pericolose invenzioni del comunismo e del socialismo. È noto pure, siccome i maestri del comunismo e del socialismo, sebbene per diversa via e per vario modo, abbiano tutti per ultimo scopo, col mezzo di sofismi e di vane promesse di più felici condizioni, ingannare, agitare di continue scosse gli operai e le altre persone di basso stato, e adusarle a poco a poco a più gravi misfatti onde valersi poi dell’opera loro per invadere, manomettere, dilapidare le proprietà, in prima della Chiesa, e poscia di qualsivoglia altro legittimo posseditore: per violare infine tutti i diritti sia umani che divini; e per questa maniera distruggere il divin culto, e annullare ogni ordine della civile società. Ora in un pericolo sì spaventoso dell’Italia, è vostro debito, o Venerabili Fratelli, il mettervi in guardia e l’adoperare ogni sforzo, perché il popolo fedele ravvisi la perversità di questi fallaci sistemi e sappia che, se si lascerà da essi sedurre, quelle dottrine si volgeranno a sua rovina temporale ed eterna.

Siano adunque ammoniti i Fedeli commessi alla vostra cura, che è cosa appartenente alla natura della società umana, che tutti debbano prestare obbedienza all’autorità costituita in essa legittimamente; e che non si può toglier sillaba di quei comandamenti che sopra di questo particolare sono registrati nelle Divine Scritture. Ed infatti sta scritto: " Siate per riguardo a Dio soggetti ad ogni umana creatura, tanto al Re come superiore a tutti, quanto ai presidi come spediti da lui per far vendetta de’ malfattori e per onorare i buoni; imperocché tale è la volontà di Dio, che operando bene chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti; come liberi, e non quasi tenendo la libertà per velarne della malizia, ma come servi di Dio ". (I Petr. II, 13 seq.). E in un altro luogo "Ogni anima sia soggetta alle potestà superiori; imperocché non esiste potestà che non venga da Dio; e quelle che vi sono, sono da Dio ordinate. Per la qual cosa chi si oppone alla potestà resiste all’adorazione di Dio: e quelli che resistono, chiamano sopra di se la dannazione" (Rom. XII, 1, 2).

Sappiano inoltre, che è pur cosa tutta propria della naturale e immutabile condizione delle umane cose, che anche fra quelli che non sono nei primi posti della società, gli uni soverchino gli altri e per le doti dell’animo o per quelle del corpo, ovvero per ricchezze, ovvero per beni esteriori; e che non può farsi giammai che per qualunque pretesto di libertà e di uguaglianza sia lecito invadere o violare in qualsivoglia maniera gli altrui beni o diritti. Anche sopra questo particolare vi sono nelle Divine Scritture parecchi comandamenti di Dio chiari e inculcati in più luoghi, pei quali ci si vieta non solo il rapire l’altrui, ma fino il desiderarlo.

Oltre di ciò rammentino i poverelli e i miseri di qualsivoglia fatta, quanto essi debbano esser grati alla Religione Cattolica, nella quale palesemente e in tutta la sua purità predicasi la dottrina di Gesù Cristo, il quale protestò di avere le beneficenze conferite ai poverelli ad ai miseri come fatte a se stesso (Matth. XVIII, 15; XXV, 40, 45); e volle pure annunziarci che nel dì del Giudizio chiederà un conto particolare delle opere di misericordia, sia per rimunerare coi premi eterni coloro che le avessero praticate, sia per punire di fuoco eterno coloro che le avessero neglette (Matth. XXV, 34 seq.).

Orbene, dall’esatta custodia di questo pronunciamento del Redentore e di altri severissimi avvisi di Lui intorno alle ricchezze e ai pericoli che le accompagnano (Matth. XIX, 23 seq.— Luc. VI, 4; XVIII, 22 seq. — Ep. Tac. V, 1 seq.), ne è provenuto nella Chiesa Cattolica, che i poverelli e gli altri infelici si trovino presso di noi Cattolici in una condizione molto più mite che quella in che sono presso le altre nazioni. E più copiosi ancora sarebbero i sovvenimenti loro largheggiati, se parecchi istituti cui aveva dato essere la pietà dei nostri maggiori, negli ultimi sommovimenti della pubblica cosa, non fossero stati impoveriti, e anche distrutti. Del resto i nostri poverelli, dietro gl’insegnamenti di Gesù Cristo, si ricordino che non debbono rattristarsi della loro sorte: poiché lo stesso stato dell’indigenza dischiude loro una via più facile per procacciare la salute, ove essi sopportino di buon animo la povertà, e siano poveri di cose e anco di spirito. Conciossiaché ha detto Gesù Cristo: Beati i poveri di spirito; ché il regno dei cieli loro appartiene (Matth. V, 3).

Sappiano inoltre tutti i fedeli, che i re e i superiori tutti delle nazioni pagane si abusavano più spesso e più gravemente del loro potere che non fanno i superiori presso di noi; quindi riconoscano di essere debitori alla nostra santissima Religione, se i Principi dei tempi Cristiani timorosi, come ne li avverte la Religione, di quel severissimo giudizio che dovran dare di se quelli che comandano, e di quell’eterno supplizio pel quale i grandi sopporteranno grandi tormenti (Sap. VI, 6, 7), fan uso coi popoli loro soggetti di un reggimento più equo e più benigno.

Considerino infine i fedeli commessi alle vostre e alle Nostre cure, che la vera e perfetta uguaglianza degli uomini consiste nell’obbligo che corre ad ogni uomo di osservare la legge di Gesù Cristo; poiché quell’Iddio Onnipotente che creò il piccolo e il grande, e che ha cura egualmente di tutti (Ib. VI, 8), non darà esenzione a chicchessia, né avrà riguardo alla grandezza di alcuno (Ib.), e ha statuito il giorno nel quale giudicherà il mondo nell’equità (Act. XVII, 31) pel mezzo del Suo Unigenito Figliuolo Cristo Gesù, il quale è per venire coi suoi Angioli nella gloria del Padre suo e renderà a ciascuno secondo le operazioni ( Matth. XVI. 27).

Ché se gli stessi fedeli, messi in non cale i paterni ammonimenti dei loro Pastori, e i comandi testé accennati della legge di Gesù Cristo, si lasceranno travolgere dai già detti promovitori degli errori moderni, e vorranno cospirare con loro nei perversi sistemi del socialismo e del comunismo, sappiano e considerino attentamente, che si tesoreggeranno appresso il Divin Giudice tesori di vendetta pel giorno estremo; e che da quella cospirazione non è per derivare nel popolo una benché lieve felicità, ma uno spaventoso accrescimento di miserie e di calamità. Conciossiaché non è in potere degli uomini il fondare nuove società e comunanze contrarie alla natural condizione delle cose umane: per la qual cosa il frutto di queste cospirazioni, ove per isventura prendano piede, non può esser altro, se non che indebolito e crollato fino dalle fondamenta l’odierno stato delle pubbliche cose per via di continue vicendevoli aggressioni, rapine e orribili stragi di fratelli contro i fratelli, alcuni pochi alla fine, arricchitisi delle spoglie di molti, prendano a signoreggiare con la rovina di tutti.

Del rimanente per liberare i fedeli dalle insidie degli empi, e rinfiammarsi alle opere di vera virtù, voi sapete benissimo, quanto poderoso mezzo siano la vita e l’esempio di coloro che al ministero divino si consacrarono. Eppure, o mio Dio, in piccol numero, sì, ma non mancarono qua e là per l’Italia alcune persone Ecclesiastiche, le quali, lasciato il lor posto, passarono al campo nemico, e furono di non piccolo aiuto ai nemici della Chiesa per trarre in inganno i fedeli. Sennonché a voi, o Venerabili Fratelli, la costoro defezione fu di pungente stimolo per vegliare con ardore sempre più acceso alla disciplina del Clero. E qui desiderando Noi, come lo porta il nostro debito, provvedere anche all’avvenire, Noi non possiamo rattenerci dal raccomandarvi di bel nuovo quello che inculcammo nella prima nostra Enciclica ai Vescovi di tutto il mondo (9 novembre 1846), cioè di andare a rilento nell’imporre le mani (I Tim. V, 22), e nell’usare una diligenza ognor più squisita nella scelta della Milizia Ecclesiastica. Soprattutto riguardo a coloro che desiderano essere iniziati nei Sacri Ordini, è necessario condurre diligentissime ricerche, se essi siano commendevoli per dottrina, per bontà di costumi, e per assiduità nel divin culto, così che abbiasi una fondata speranza che a maniera di lampade ardenti nella magione di Dio, siano per arrecare un giorno sia coll’esempio della vita, sia colle sante operazioni, edificazione e vantaggio spirituale al vostro gregge.

Ma siccome dai Ministeri amministrati a dovere un grande splendore e utilità nella Santa Chiesa derivano, e siccome il Clero Regolare dà opera insieme con voi nel procurare la salute delle anime; così Noi vi commettiamo, in primo luogo, o Venerabili Fratelli, di far consapevoli a nome Nostro le Comunità religiose delle vostre Diocesi, che Noi deploriamo di cuore le particolari disgrazie, che parecchie di loro ebbero a sopportare in questi ultimi tempi calamitosi; ma che frattanto Ci fu di non leggero conforto la pazienza di animo e la costanza nella virtù e nello zelo della Religione, nelle quali moltissimi Religiosi si sono resi degni di commendazione; sebbene non siano mancati alcuni, che dimentichi della lor professione, con iscandalo dei buoni e dolore sì Nostro che dei loro fratelli, indegnissimamente prevaricarono. In secondo luogo poi vi commettiamo di esortare a nome Nostro i Presidi e Superiori delle stesse Comunità, perché secondo esige il loro dovere, non perdonino a qualsivoglia cura e industria perché la Disciplina Religiosa ove è in fiore rinvigorisca ognor più, e perché là ove ha sofferto alcun danno riviva al tutto e si rinnovelli. Gli stessi superiori ammoniscano, confortino, rimproverino all’uopo i religiosi loro alunni, perché considerando essi seriamente con quali voti si sono astretti, si adoprino con ogni premura in soddisfarli, e osservino con grande diligenza le regole dei loro Istituti, e portando continuamente nel loro corpo la mortificazione di Gesù Cristo si astengano da tutte quelle cose che sono aliene dalla lor vocazione, e si esercitino in quelle opere che o alla carità di Dio e del prossimo, o all’acquisto della perfezione appartengono. Si guardino in ispecial modo i sopraddetti Superiori di Ordini dall’ammettere alcuno nella Religione, se prima non avranno disaminato con ispecial accuratezza la sua indole, vita e costumi; oltre di che non ammettano alla professione religiosa se non quelli, che dato termine al loro noviziato, avranno fornite così chiare prove di vocazione, che si possa credere con fondamento che essi non si appigliano allo stato religioso mossi da alcun altro motivo, fuorché quello di vivere soltanto in Dio, e per procurare la propria e la salute altrui, secondo il peculiar fine di ciascun Ordine. Sopra del quale particolare oggetto Noi abbiamo fermo in animo che si osservino tutte quelle cose che a vantaggio degli Ordini Religiosi furono stabilite e prescritte nei decreti del 25 Gennaio dell’anno scorso dalla Nostra Congregazione sopra lo stato dei Regolari, e che furono approvate dalla Nostra Apostolica Autorità.

Dopo di che, richiamando il discorso alla sceltezza del Clero secolare, Noi vi raccomandiamo in primo luogo l’ammaestramento e l’educazione dei giovani Chierici; poiché è quasi impossibile che alcuno addivenga idoneo Ministro della Chiesa, se dai primi suoi anni non si è esercitato a dovere nell’adempimento dei suoi sacri doveri. Per la qual cosa proseguite, o Venerabili Fratelli, a porre ogni opera e studio perché gli aspiranti alla sacra Milizia siano accolti, per quanto è possibile, nei Seminari Ecclesiastici, e perché ivi, a modo di piantagioni novelle, crescenti attorno al Tabernacolo del Signore, si formino alla innocenza dei costumi, alla religione, alla modestia e allo spirito ecclesiastico, e imparino a un tempo le inferiori e le superiori discipline sotto la savia direzione di sceltissimi maestri, che professino dottrine aliene da qualsivoglia ombra di errore.

Nondimeno, siccome non è possibile che tutti i giovani Chierici compiano nei Seminari la carriera dei loro studi, per altra parte essendo cosa certissima che anche i giovinetti del clero secolare debbono essere a parte della vostra pastorale sollecitudine, così spetta a voi vegliare, o Venerabili Fratelli, sopra tutte le pubbliche e private scuole, e adoperarvi con ogni studio e industria perché la ragione degli studi sia in esse conforme in ogni sua parte al Cattolico insegnamento, e perché la gioventù ammaestrata convenientemente in esse nella vera virtù e nelle buone arti e discipline da professori idonei e di specchiata probità e religione, venga premunita degli opportuni aiuti, coi quali ravvisi le insidie che le sono tese dagli empi e possa riuscire di ornamento e di utilità a sé, e alla cristiana e civile repubblica.

E in quanto a questo, usando di una pienissima libertà, voi vi prenderete una special cura dei professori delle Sacre Discipline, e di tutte le altre cose che appartengono al dominio della Religione, o che la toccano da vicino. Siate vigilanti perché nelle scuole, soprattutto per ciò che riguarda la Religione, si faccia uso di libri immuni da qualsivoglia benché lieve sospetto di errore. Fate avvertiti i Pastori di anime, perché vi diano mano in tutto ciò che ha riguardo alle scuole dei fanciulli e dei giovinetti della prima età: perché siano destinati a tali scuole Maestri e Maestre di paragonatissima onestà, e perché nell’ammaestrare i fanciulli e le fanciulle nei rudimenti della Fede Cristiana si faccia uso di libri approvati da questa Santa Sede. Nel che non dubitiamo che i Parroci siano per essere loro di esempio; anzi, siam certi che i medesimi Parroci dietro le vostre esortazioni attenderanno con zelo ognor più crescente all’ammaestramento della fanciullezza nei rudimenti della Dottrina Cristiana, memori che un così fatto genere di istruzione è uno dei loro doveri principalissimi ( Tridentinum, Sess. . XXI V, c. 4 — Benedetto XIV, Const. "Etsi nimis", 7 Febbr. 1742). Gli stessi poi dovranno essere ammoniti ad avere innanzi agli occhi sia nelle loro istruzioni ai fanciulli, sia al rimanente del popolo, il Catechismo Romano, pubblicato per ordine del Concilio di Trento e di San Pio V immortal Nostro Predecessore, e cui poi altri Sommi Pontefici, ed in ispecial modo Clemente XIII di felice memoria raccomandarono di bel nuovo a tutti i reggitori di anime, come un acconcissimo aiuto per tener lontane le frodi delle dottrine perverse, e per dilatare e render stabile la vera e sana dottrina. (Nell’Enciclica a tutti i Vescovi in data del 14 Giugno 1764).

Non meravigliatevi, o Venerabili Fratelli, se Ci siamo trattenuti alquanto lungamente sopra questo argomento. Ed infatti non isfuggirà certo alla vostra prudenza, che in questi tempi pericolosi, sì voi che Noi, dobbiamo porre ogni studio, e fare ogni sforzo, e usare di una grande fortezza di animo e vigilanza, in tutto ciò che spetta alle scuole, e l’istruzione e l’allevamento dei fanciulli e dei giovani di ambedue i sessi. Imperocché vi è noto, che gli odierni nemici della Religione e dell’umana società, mossi da uno spirito al tutto diabolico, rivolgono tutte le loro mene a questo scopo di pervertire dal primo fiore degli anni le menti e i cuori dei giovani. Per la qual cosa non lasciano nulla d’intentato perché tutte le scuole e istituti, destinati all’educazione della giovinezza, vengano sottratti per ogni verso all’autorità della Chiesa e alla vigilanza dei Sacri Pastori.

Ma quanto a ciò Noi abbiamo fiducia che tutti i dilettissimi Nostri Figliuoli nel Signore i Sovrani dell’Italia verranno in vostro aiuto col potente lor braccio, sì che possiate soddisfare al vostro debito più pienamente, nelle cose già dette; né dubitiamo che essi vorranno prendere la difesa della Chiesa e di tutti gli spirituali e temporali suoi diritti. Certo non vi è cosa che si convenga meglio di questa alla religione e pietà avita, di cui si mostrano animati, e della quale sono di esempio ad altrui. Non isfugge per fermo alla loro avvedutezza che i primordi di tutti i mali che ci opprimono sì gravemente, si hanno a ripetere dai danni che la Religione e la Chiesa ebbero a sostenere già dal bel principio del Protestantesimo. Quei Principi conoscono assai bene, che dall’autorità dei Prelati Ecclesiastici soventi volte conculcata, e dalla ostinatezza crescente ogni giorno più nel violare a man salva i divini ed ecclesiastici comandamenti, ne risultò che diminuisse pure nei popoli l’ossequio verso la civile Potestà, e si schiudesse la via agli odierni nemici della pubblica tranquillità per macchinare ribellioni contro i Monarchi. Quei Principi comprendono a maraviglia, che dalla usurpazione, dal saccheggio e dalla pubblica vendita dei beni temporali appartenenti per legittimo diritto di proprietà alla Chiesa, ne nacque che illanguidisse nei popoli la riverenza verso le proprietà sacre per religiosa destinazione, e che quindi molti prestassero volentieri l’orecchio agli audacissimi difensori del socialismo e del comunismo, i quali van divisando anch’essi d’impadronirsi, e dividere e convertire in qualsivoglia altro modo ad uso altrui le umane proprietà. S’avveggono inoltre che quei legami con cui in addietro con molteplici artifizi si vollero legare i Pastori della Chiesa, anziché non usassero liberamente della sacra loro Autorità, quei legami stessi vennero a costringere a poco a poco la Potestà civile. Conoscono finalmente che non vi è rimedio alcuno più pronto né più efficace contro le calamità che ci affliggono, del far rivivere in tutta l’Italia l’antico splendore della Religione e Chiesa cattolica, nella quale non ha dubbio trovarsi acconcissimi rimedi per qualsivoglia condizione di uomini e bisogno che occorra.

E in verità (sono parole di Sant’Agostino) "la Chiesa Cattolica abbraccia non solamente lo stesso Dio, ma anche la dilezione e la carità del prossimo per guisa, che sovrabbonda in lei ogni sorta di medicamento confacentesi ai morbi, dei quali infermano le anime pei loro peccati. Ella fanciullescamente i fanciulli, fortemente i giovani, quietamente i vecchi, siccome porta l’età del corpo e dell’animo di ciascuno, esercita ed ammaestra. Ella assoggetta con pura e fedele obbedienza le mogli ai loro mariti, non perché sfoghino la libidine, ma perché generino figliuoli, e pel bene della domestica società; e vuole che il marito sia superiore alla moglie non perché irrida al sesso più debole, ma perché l’ami con sincera affezione. Ella sottopone i figli ai parenti con una cotale libera servitù, e vuole che questi sovrastino a quelli con amorevole impero. Ella lega i fratelli ai fratelli col vincolo della Religione, vincolo più stretto e durevole che quello del sangue; e ogni legame di parentela e ogni strettezza di affinità, serbati intatti i vincoli della natura e della volontà, stringe con vicendevole a amore. Ella insegna ai servi l’affezionarsi ai padroni non tanto per necessità di condizione quanto per la soavità del dovere; e colla considerazione di un Dio Signore universale di tutti, rende i padroni miti verso i loro servi e propensi più ai consigli che non ai castighi. Ella colla ricordanza dei primi Padri congiunge i cittadini ai cittadini, i popoli ai popoli, e gli uomini tutti, non tanto avvicinandoli della persona, quanto stringendoli di fraterno amore. Insegna ella ai monarchi di provvedere ai popoli, ammonisce i popoli a soggettarsi ai monarchi. Insegna ella sollecitamente cui debbasi onore, cui affetto, cui riverenza, cui timore, cui conforto, cui ammonimento, cui esortazione, cui insegnamento, cui rimprovero, cui supplizio, addimostrando come non debbasi a tutti ogni cosa, e a tutti debba usarsi carità, e a niuno debba farsi aggravio (Sant’Agostino, De Moribus Catholicæ Ecclesiæ; lib. I) ".

Pertanto Nostro e vostro debito si è, o Venerabili Fratelli, il non perdonare a qualsivoglia fatica, e non lasciandoci intimorire da qualsivoglia difficoltà, metterci con tutta la forza dello zelo pastorale a difendere nei popoli Italiani il culto della Cattolica Religione, e non solamente far fronte con alacrità ai conati degli empi che si studiano di distaccare l’Italia dal seno della Chiesa, ma sforzarci pure di ricondurre sul buon sentiero que’ degeneri figliuoli di essa, che si fossero lasciati già sedurre dalle loro arti.

Nondimeno, siccome ogni favore più scelto e ogni dono perfetto scende dall’alto, portiamoci con fiducia, o Venerabili Fratelli, al trono della Grazia, e non cessiamo dal porgere vive suppliche e scongiuri sia con private sia con pubbliche preghiere al celeste Padre dei lumi e delle misericordie, sì che pei meriti dell’Unigenito suo Figliuolo Gesù Cristo Signor Nostro, rivolgendo Egli il volto dalle nostre colpe, irraggi misericordiosamente le menti e i cuori di tutti coll’efficacia della sua grazia; e traendo a sé le volontà a Lui ribelli, renda gloriosa la Santa Chiesa per nuove vittorie e nuovi trionfi; per modo che il popolo che gli rende omaggio cresca per merito e per numero in tutta l’Italia, anzi per tutto il mondo. Invochiamo pure la Santissima Madre di Dio, l’Immacolata Vergine Maria, che col potentissimo suo patrocinio ottiene ciò che domanda, e le cui richieste non possono andar fallite; e invochiamo ancora il Principe degli Apostoli San Pietro, e il Santo Apostolo Paolo, e tutti i Santi del Cielo, perché il pietosissimo Iddio, alla loro intercessione, tenga lungi dai popoli fedeli i flagelli dell’ira sua, e conceda misericordiosamente a tutti coloro che sono insigniti del nome di Cristiani, di ripudiare colla sua grazia tutto ciò che si oppone a questo nome, e di operare tutto ciò che gli è conforme.

Infine, o Venerabili Fratelli, ricevete a pegno della nostra vivissima affezione la Benedizione Apostolica, che a voi tutti, e ai Laici fedeli commessi alla vostra vigilanza compartiamo con sincerissimo amore.

Dato a Napoli, dal sobborgo di Portici, li 8 Dicembre dell’anno 1849, IV del Nostro Pontificato.