Qualche ricordo di Romolo Musilli, ma anche del fratello Bernardino (o
Dino) per il 10° anniversario della sua scomparsa (15 dicembre
2018)
Romolo o Romoletto, così era anche
chiamato perché era il più piccolo della famiglia Musilli (era nato nel
1943), viveva con i suoi genitori Amalia Buonafina e Sabatino Musilli e
con gli altri fratelli: ossia, con Bernardino, il fratello più grande
(chiamato anche Dino e nato nel 1933), con Michele, con Claudio e con la
sorella Teresa; tutti e sette i componenti la famiglia abitavano nel
quartiere romano di Trastevere, in un piccolo appartamento a piano
terra, in via Agostino Bertani n°20.
Il fratello Bernardino ricorda che
nell’agosto del 1943, anche a seguito del gravissimo primo
bombardamento di Roma che avvenne il precedente 19 luglio (con circa
4.000 bombe sganciate sulla città che provocarono ca. 3.000 morti, di
cui 1.500 morti solo quartiere di San Lorenzo), tutta la famiglia
Musilli intraprese un lungo ed estenuante viaggio in treno sino a
Casalbuono (in provincia di Salerno, ma posto quasi al confine con la
Basilicata), paese di nascita di Amalia e di Dino; fu quindi un viaggio
durissimo specie per i bambini e per Amalia, incinta di Romolo, sia
perché si viaggiava in carri bestiame e sia perché quando si entrava in
una delle tante gallerie (la locomotiva era alimentata a legna)
all’interno del carro si rischiava il soffocamento. Si possono
immaginare quindi le difficoltà e le preoccupazioni legate ad un viaggio
del genere che doveva avere mamma Amalia, la quale dentro di sé aveva
Romoletto che sarebbe nato circa tre mesi dopo.
Dopo il ritorno della famiglia Musilli -
Buonafina a Roma, Dino ricorda il bombardamento anglo-americano del 3 e
del 7 marzo 1944, che colpì principalmente i quartieri Ostiense
(stazione ferroviaria e binari), Garbatella e Portuense, ma anche alcuni
palazzi vicino la stazione Trastevere; furono qualche centinaio le bombe
sganciate su Roma che provocarono oltre 400 morti. Romolo era nato circa
4 mesi prima e, come tutti gli altri neonati, il frastuono dei due
bombardamenti purtroppo li sentiva anche lui. A Trastevere l’obbiettivo
delle bombe alleate, che all’epoca mancavano di precisione, era quello
di distruggere il ponte della ferrovia attiguo alla stazione Trastevere,
ma, mentre il ponte non fu distrutto ed è ancora oggi perfettamente
funzionante, furono invece rasi al suolo o danneggiati alcuni palazzi
vicino al ponte. Quando a Trastevere suonavano le sirene, anche ad ogni
ora della notte, tutta la famiglia e Romoletto per primo, dovevano
rifugiarsi negli scantinati e/o sotto gli archi dei muri portanti,
oppure talvolta dovevano percorrere circa 100 metri da dove abitavano e
recarsi in un grande rifugio sotterraneo che arrivava quasi, come
proiezione verticale, sotto la piazzetta sul Gianicolo in prossimità
della chiesa di San Pietro in Montorio; ancora oggi in questa piazzetta
si vede una struttura con un’apertura finalizzata alla aereazione del
sottostante rifugio, la cui entrata vicino via Bertani è attualmente
chiusa con una porta posta all’interno di una officina.
Dopo i bombardamenti notturni, Bernardino
con altri bambini della sua età, quindi di circa 11-12 anni, andavano di
mattina nei palazzi bombardati, ad es. in via Ettore Rolli e, correndo
grandissimi rischi per muri e soffitti pericolanti, prelevavano pezzi di
legni, finestre, persiane, porte, ecc., in pratica tutto ciò che era
fatto di legno e poi con un traballante carrettino portavano il carico
nelle rispettive case. Successivamente, nella casa in via Bertani ed
anche in via Luigi Santini, con una sega a mano tagliavano tutto il
legno per ricavarne dei piccoli pezzi al fine che la mamma Amalia
potesse accendere un fuoco e cucinare. In genere, fatta la scorta di
legna per la famiglia, una cospicua parte naturalmente veniva venduta:
non c’era carbone o gas per accendere il fuoco e la fame in quegli anni,
specie dal 1943 in poi, era tanta per tutti. Tra l’altro, la tessera per
il pane non bastava mai e qualche altro genere alimentare si doveva
anche acquistare alla “borsa nera”.
Romolo era troppo piccolo all’epoca e
quindi non poteva ricordarsi delle gravi e tante difficoltà presenti in
quegli anni e che principalmente erano quelle di come sfamarsi.
Il 4 giugno 1944 Roma venne liberata
dalle truppe statunitensi guidate dal generale Clark e Bernardino
ricorda che, oltre alle tavolette di cioccolato donate ai bambini dai
militari americani, lui e la sua famiglia, ma anche altri ragazzini di
altre famiglie, si procuravano derrate alimentari anche in un altro
modo. Più precisamente, in via Dandolo, la strada che da Trastevere
porta a Monteverde Vecchio, salivano camion militari pieni di tutto e
poiché nella salita abbastanza ripida i camion andavano piano,
Bernardino ed altri ragazzini si arrampicavano talvolta su questi mezzi
e prendevano velocemente più scatoloni possibili passandoli al volo ad
altri ragazzini che stavano a terra, poi mettevano ciò che avevano
prelevato su un vecchio carrettino e portavano il tutto nelle rispettive
case, nelle cassette c’erano ad es. pisellini in polvere, latte in
polvere, wurstel, margarina, barattoli da 5 chili di margarina,
eccetera.
Mamma Amalia con i suoi 5 figli, tra cui
il piccolo Romoletto che nel novembre 1944 aveva solo un anno di età,
doveva provvedere a molte cose, a parte ovviamente il cibo e il latte in
polvere per Romolo. Ad esempio doveva sia dare le scarpe ai figli e
qualche volta le suole erano di cartone e sia fare i calzini: a tal
fine, comprava sacchi di iuta, li guastava e poi con i gomitoli faceva i
calzini con il ferro a maglia, mentre alcuni commercianti disonesti –
ricorda sempre Dino - vendevano i sacchi che però non erano di iuta, ma
i fili dei sacchi erano invece di carta simile alla juta.
Nel 1951 il figlio maggiore Bernardino,
che desiderava recarsi in Brasile, convinse uno dei tre zii che già
vivevano a São Paulo, a richiedere per lui un atto di richiamo come
emigrante, ma prima di partire doveva trovare un lavoro ed avere il
relativo contratto altrimenti non poteva entrare in quel paese.
Nel 1955, dopo circa 4 anni di permanenza
in Brasile, Bernardino fece a sua volta un atto di richiamo per tutta la
famiglia. Sua madre Amalia con i fratelli Michele, Claudio, Teresa e il
piccolo Romolo, ormai dodicenne, si imbarcarono il medesimo anno a
Napoli sul transatlantico “Augustus”, e dopo circa due settimane di
navigazione arrivarono in Brasile a Santos, località balneare vicino São
Paulo. Tra l’altro, durante il non breve periodo di navigazione, Romolo
divenne un po’ la mascotte della nave e venne anche insignito da parte
del Comandante dell’“Augustus”, il 30-9-1955, del Premio della nave
“Augustus”: “Premio Avanotto”.
Bernardino a São Paulo aveva affittato e
arredato con tutti suoi risparmi una bella villetta e sua madre Amalia
era molto contenta di stare in questa città, anche perché la mattina
presto andava al mercato, talvolta con Romolo e qui a differenza che a
Roma c’era di tutto e in grande abbondanza, ad es. c’erano molti tipi di
frutta, incluse ovviamente le banane (specie quelle piccole più
saporite) che si acquistava a dozzine (uan duzia o meia duzia),
come pure fagioli ed altri alimenti. C’era infatti molta abbondanza di
prodotti, a differenza che in Italia e si vendevano altri tipi frutti ed
altri prodotti non presenti in Italia e che un italiano che non era mai
andato all’estero non conosceva.
Dopo poco tempo però, a differenza della
mamma Amalia, i figli Michele, Teresa, Claudio e anche Romoletto non si
trovarono più bene in Brasile. Tra l’altro Michele aveva anche portato
una Vespa dall’Italia che però in dogana gli venne subito sequestrata.
Si fece il possibile per fargliela riavere, anche tramite il
proprietario della ditta di falegnameria dove lavorava Dino, il quale
aveva come cliente addirittura anche il Governatore dello Stato di São
Paulo e il proprietario, su sollecitazione di Dino, convinse il
Governatore a scrivere una lettera per il Commissario Generale della
dogana di Santos. Bernardino, fiducioso di far dissequestrare la Vespa,
si recò di persona con la lettera nell’ufficio del Commissario Generale
della dogana e ricorda che dopo essere entrato a testa bassa con timore
ed umiltà in un grandissimo ufficio di centinaia di metri quadrati,
vide, seduto dietro una scrivania lunga almeno 5 metri e con sopra una
quindicina di telefoni, il Commissario Generale. Il Commissario però,
dopo aver letto la lettera del Governatore dello Stato disse che non
poteva dare l’autorizzazione per il rilascio della Vespa, perché: “il
Governatore comanda in tutto lo Stato, ma in dogana comando solo io e
prendo gli ordini solo dal Presidente della Repubblica”.
Dopo questa delusione del mancato
dissequestro ed anche per il disagio del villino affittato da Bernardino
che si trovava in una strada non asfaltata che con la pioggia si
trasformava in un mare di fango, tutte le settimane, Michele e Teresa
andavano al Consolato d’Italia per cercare di tornare nel proprio paese.
Questo anche perché grazie all’aiuto degli americani specialmente con il
cosiddetto Piano Marshall, le cose in Italia stavano migliorando, a
differenza che in Brasile dove, oltre al fatto che c’era la dittatura,
le cose andavano molto male anche dal punto di vista economico;
addirittura il presidente del Brasile Getúlio Vargas si suicidò e
l’importante giornalista Carlos Lacerda che aveva denunciato i delitti
dei generali fu fatto oggetto di un gravissimo attentato.
Al Consolato d’Italia rispondevano sempre
che se non si acquistavano i costosi biglietti per il viaggio in nave
non si poteva tornare in Italia. Ma nel 1956 la fortuna aiutò Amalia e i
suoi figli, perché papà Sabatino, il quale era rimasto a Roma dove
lavorava come agente di custodia nel carcere di Regina Coeli (da diversi
anni non era più nei Carabinieri) si rivolse ad un Monsignore a cui
disse che sua moglie Amalia era ancora in Brasile e che sia lei che i
suoi figli soffrivano per il clima brasiliano non adatto a loro,
eccetera e che tutti desideravano ritornare in Italia. Il monsignore si
attivò subito e parlò del caso con un altro importante monsignore che si
chiamava Montini, il quale addirittura nel 1963 divenne Papa Paolo VI.
Dopo poco tempo al Consolato del Brasile arrivò un cablogramma dove
c’era scritto che la famiglia Musilli doveva rientrare in Italia con il
primo piroscafo. Per puro caso la nave era la stessa, l’Augustus con il
quale erano partiti circa 8 mesi prima e c’era anche lo stesso
comandante, il quale prese anche un po’ in giro Amalia con i suoi figli
chiedendole se in Brasile dopo soli 8 mesi già avevano fatto fortuna. Si
ricorda che questa nave percorse quasi sempre, tra il 1952 e il gennaio
1976, il tragitto Italia - Sud America, specie verso il Brasile e la
rotta verso gli Usa. Quindi, dopo aver fatto con la nave uno scalo a
Dakar in Senegal Amalia e i suoi figli rientrarono a Roma.
Bernardino trovò quasi subito lavoro in
una piccola falegnameria: era facile trovar lavoro in quegli anni del
cosiddetto “Miracolo economico italiano”. Ma dopo qualche mese si
licenziò, sia a causa di qualche problema nella sua paga (all’epoca il
salario degli operai era settimanale e non mensile) che gli veniva
elargita per l’attività lavorativa dal lunedì al sabato e mezza giornata
la domenica e sia perché Dino era intenzionato, come si dice, a mettersi
in proprio.
Allora, lo stesso anno, grazie
soprattutto ai risparmi del padre Sabatino (il quale era sempre molto
attento nella gestione del risparmio familiare), Bernardino aprì una
piccola bottega da falegname di circa 75 mq ubicata a Monteverde Vecchio
di fronte le mura Gianicolensi. Dino ricorda che Romolo lo aiutava nella
lavorazione del legno, peraltro tutta effettuata a mano e, dopo
l’acquisto di un carrettino, lo assisteva anche nel trasporto di tavole
e tavoloni. Questi pezzi di legno, anche grandi, venivano trasportati in
via Garibaldi da Rondinella che aveva tutte le macchine per la
lavorazione del legno con pagamento orario e poi il legno lavorato
veniva portato a bottega per la realizzazione di arredi. Nella piccola
bottega Romolo aiutava sempre il fratello maggiore, il quale ricorda che
Romolo imparò velocemente a lavorare il legno e che siccome era molto
intelligente ed aveva anche un gran buon gusto, dopo pochi anni diventò
esperto come il fratello. Dopo poco tempo al posto del carrettino,
usando i primi guadagni, acquistarono come mezzo di trasporto una Vespa:
Bernardino guidava e Romolo seduto dietro portava in spalla tavoloni
lunghi 4 metri con 5 cm di spessore.
Nel frattempo iniziò a spargersi la voce
che a Monteverde Vecchio c’era una piccola falegnameria di due fratelli,
i quali erano molto bravi ed avevano buon gusto, quindi alcuni clienti
ci mandavano altri clienti e così via. Dopo aver accumulato un piccolo
capitale la falegnameria potette acquistare alcune piccole macchine per
la lavorazione del legno, delle quali la più importante era una
combinata da 5 lavorazioni. Ovviamente con le macchine si riusciva ad
ottenere una buona produzione e, a parte la bravura dei due fratelli,
all’epoca era più facile ingrandirsi come ditta, sia per il citato boom
economico e sia perché l’IGE, così si chiamava l’Iva sino al 1972, era
in quegli anni solo tra il 3,75% e il 4%. Oltre all’acquisto dei piccoli
macchinari, Bernardino e Romolo assunsero 3 operai, tra cui l’eccellente
falegname Odorino Manzo, che subito divenne il capo degli operai e che
rimase con la ditta sino al suo pensionamento. Romolo invece lavorò a
tempo pieno in falegnameria sino al 1961, perché in quell’anno, a 18
anni, entrò nei Vigili del Fuoco. Ma anche dopo essere entrato nei
Vigili – ricorda sempre Dino – ogni tanto mandava due vigili della sua
squadra per far lavorare alcuni pezzi di legno alle macchine della
falegnameria o veniva lui stesso di persona, perché nell’officina dei
Vigili in quegli anni non c’erano macchine per la lavorazione del
legno. Occorre ricordare anche che Romolo, quando poteva e fuori
dall’orario di lavoro, continuò sempre a dare una mano nella
falegnameria del fratello.
La falegnameria era troppo piccola anche
perché l’attività produttiva stava aumentando e quindi Bernardino cercò
e riuscì a trovare agli inizi degli anni ’70 un locale molto più grande
di ben 500 mq ca., posto sotto un palazzo in via Giovanni Stanchi sempre
a Monteverde. In questa nuova sede, con i nuovi macchinari, con il
citato bravo capo operaio Odorino Manzo, grazie al fatto che la ditta
era nota per l’eccellente qualità dei lavori eseguiti e tramite la
conoscenza di molti architetti, si iniziarono ad eseguire molti lavori
importanti. Ad esempio, la falegnameria realizzò opere in legno nel
Palazzo Colonna, sede dell’abitazione romana dell’avvocato Gianni
Agnelli presidente della Fiat; effettuò lavori nell’attico di Olivetti
in via Passeggiata di Ripetta ed anche per l’Ingegner Triglia,
presidente della Banca Credem. Vennero eseguiti importanti lavori in
legno ad altissimo livello e di qualità anche, successivamente, a
partire dalla fine dagli anni ’70, per la Camera dei Deputati e il
Senato, dai primi anni 90’ anche per il Quirinale e per il Capo dello
Stato Scalfaro, inoltre, per la sede del Governo a Palazzo Chigi, per il
Csm, per diversi Ministeri (ad es. Giustizia, Tesoro, Finanze,
Istruzione, Beni Culturali) per l’Arma dei carabinieri e per molte altre
strutture ed enti dello Stato.
Sia Bernardino che Romolo vennero stimati
da tantissime persone, anche importanti, come ad esempio il Presidente
della Repubblica Scalfaro e da vari Ministri e fu lo stesso Scalfaro che
volle insignire entrambi i fratelli del titolo di Cavaliere della
Repubblica. In seguito nel giugno 2008 Romolo ricevette anche
l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana. Romolo, con la
sua consueta umiltà, non aveva comunicato a nessuno neanche questa
seconda sua onorificenza.
Tra l’altro Bernardino, oltre ad essere
stato citato due volte nel libro “Una vita nelle istituzioni” del
professor Silvio Traversa, che è stato anche Segretario generale della
Camera dei Deputati, ha ricevuto anche diversi libri con dedica e
lettere varie da parte di numerosi personaggi famosi, come ad es. il già
citato Presidente Scalfaro, Giorgio Pes, architetto del presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi, il grande scrittore Alberto Moravia, lo
scrittore, sceneggiatore e drammaturgo statunitense Gore Vidal, il
politico, scrittore e giornalista Massimo Teodori e di tante altre
personalità politiche industriali.
Bernardino ricorda spesso che Romolo,
anche a detta di tutti i suoi colleghi di lavoro, aveva un carisma
particolare, era una persona dolce, umile, buona, riservata e di
grandissima onestà, sempre molto seria ed attiva nel lavoro, non solo
nella lavorazione del legno ed infine era anche un uomo deciso quando ad
es. si trattava di far prevalere la soluzione più logica e/o giusta per
risolvere i più svariati problemi.
|