-
Le origini tra Scienza e Fede (Giovanni Pellegri)
In un Universo indifferente
quale spazio per il Dio creatore?
Da un'analisi superficiale potrebbe
sembrare che, in questo universo fatto d'atomi, molecole e leggi
fisiche, non vi sia tanto spazio per quel Dio creatore descritto nel
primo capitolo del Genesi. La Bibbia si sbaglia, affermano in molti,
e basandosi su un'interpretazione ingenua o puramente scientifica
del racconto del Genesi concludono che purtroppo la bella favola
descritta nel testo sacro non è più credibile nemmeno dai bambini.
L'universo e tutto ciò che contiene sono solamente il frutto di
fortuite combinazioni uscite da un gioco folle nel quale le leggi
fisiche, che governano la danza delle molecole hanno trovato
ciecamente la giusta combinazione dopo infiniti tentativi, oppure
dietro questa danza cieca vi è lo sguardo e la volontà del Gran
Regista dell'universo? Richard Dawkíns, noto divulgatore scientifico
e zoologo inglese, interpreta i dati scientifici affermando che non
ha nessun senso porsi la domanda del senso della nostra vita o della
nostra sofferenza perché "la vera funzione d'utilità della vita è la
sopravvivenza del DNA". Secondo il pensiero sviluppato da Dawkins e
presentato in alcuni libri con buon successo di pubblico, l'uomo
sorgerebbe quindi, come un frutto accidentale di un'evoluzione
molecolare iniziata miliardi d'anni fa e nella disperazione della
sua natura è inutile che ponga al cosmo la fondamentale domanda sul
senso della propria vita. Noi non saremmo altro che uno scherzo
della natura, una farsa senza nessuna finalità, né buona né cattiva,
solamente indifferente. Nel nostro universo dice Dawkins alcune
persone soffrono, altre sono fortunate e in tutto ciò non si troverà
mai alcun senso, alcuna ragione, alcuna giustizia. Secondo lo
zoologo inglese, la natura dell'universo dimostra l'assenza di un
progetto più grande, di una volontà divina e quindi anche l'uomo,
determinato dai suoi caratteri genetici, non può fare altro che
danzare alla musica del DNA.
"In principio Dio creò il Cielo e la
Terra"
Davanti a queste posizioni estreme
c'è chi ha reagito negando addirittura i dati scientifici,
l'evoluzione, la datazione delle rocce del nostro pianeta pur di
riaffermare che il nostro universo è stato creato da Dio come lo
insegna il Genesi. Il creazionismo come interpretazione dell'origine
dell'uomo e dell'universo ha ancora parecchi sostenitori soprattutto
negli Stati Uniti dove appaiono regolarmente pubblicazione o pagine
su Internet che cercano di dimostrare che, partendo da una lettura
pseudo scientifica della Bibbia, il racconto del Libro sacro
descrive realmente ciò che accadde sulla terra all'inizio dei tempi.
Le posizioni estreme, come quelle dei creazionisti o degli
scienziati alla Dawkins, sono in antitesi, ma in fondo, esprimono
entrambe un punto in comune: la pretesa che una sola disciplina
possa fornire tutti i dati necessari per comprendere realtà
complesse come quella dell'origine, esprimendo così una buona dose
d'ingenuità nell'impostazione del problema. Risulta oggi chiaro che
il primo capitolo del Genesi non spiega com'è nato e com'è
organizzato il cosmo, ma semmai quale senso ha il mondo, la storia e
la nostra vita. Ma se Dio non creò il mondo come descritto nel
Genesi, come interpretare il suo intervento creativo?
L'uomo non è solo un insieme di
molecole
È riduttivo pensare che si possa
parlare in modo esaustivo di creazione dell'universo senza tenere
conto dei dati forniti dalla scienza, come ugualmente è riduttivo
leggere la storia dell'universo fino alla comparsa dell'uomo in
termini puramente scientifici. Chi ancora oggi utilizza le analisi
scientifiche per dimostrare l'inconsistenza dei dati espressi nei
testi sacri, lo fa ritenendo ingenuamente che, la comprensione
dell'uomo nella sua totalità, possa avvenire unicamente con gli
strumenti scientifici. Proprio in situazioni analoghe nascono
attriti tra scienza e teologia, cioè quando una delle due discipline
sconfina nel campo dell'altra pensando che il metodo utilizzato per
l'analisi nel suo settore sia applicabile anche all'altro. La storia
ha insegnato quanto dannose siano state le invasioni della teologia
in ambito scientifico (basti pensare ai casi Copernico, Galileo,
Darwin). Altrettanto dannosi sono oggi i tentativi della scienza di
spiegare il senso della vita dell'uomo ignorando i dati forniti
dalla teologia e della filosofia. L'esperienza che facciamo noi ogni
giorno, di sofferenza o di gioia, non necessita nessuna spiegazione
scientifica. Il desiderio di felicità, espresso come un sentimento
nostalgico di qualcosa di più grande, è un fatto innegabile che
tutti abbiamo dentro. Wittgestein affermava che "anche se tutte le
domande della scienza ricevessero una risposta i problemi della
nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati". Mi sembra essere una
posizione corretta per impostare una sana ricerca scientifica che
possa esprimere tutta la ricchezza dei fondamentali traguardi
ottenuti dalla scienza, ma anche la coscienza di un limite oltre il
quale sarebbe ridicolo andare.
Le nuove tendenze: Dio ridotto a
tecnico dell'Universo
Oltre lo sconfinamento di una
disciplina nel campo di ricerca dell'altra vi sono atteggiamenti
che, cercando di far conciliare i risultati scientifici con quelli
della Rivelazione, snaturano, di fatto, i dati della scienza come
quelli della teologia. Il primo atteggiamento abbastanza diffuso sia
nel mondo scientifico sia in quello dei credenti è quello di far
coincidere ad un dato di natura strettamente scientifico, delle
risposte di tipo teologico. Per esempio c'è chi davanti alla teoria
del Big Bang ha cercato di sostenere che è proprio la scienza a
dimostrare l'esistenza di Dio: l'universo ha avuto un inizio storico
preciso traducibile con l'intervento creativo di Dio. In quest'ottica
la scienza è utilizzata per dimostrare fatti che, se intesi in
questo modo, non sono assolutamente determinanti per la fede. Dare a
delle domande che sono di competenza esclusivamente scientifica (il
Big Bang) delle risposte di tipo teologico, riduce la natura del Dio
creatore a tecnico, presente all'inizio dei tempi, per accendere la
miccia del Big Bang. I sostenitori di queste tesi si troveranno
sicuramente in uno scomodo impaccio qualora la scienza dimostrasse
che l'universo sia sempre esistito o qualora la scienza fornisca
nuove risposte al problema dell'origine dell'universo. È " il Dio
delle lacune" come lo chiama John Polkinghorne, fisico, matematico e
pastore della Chiesa anglicana. Viene estratto dal cassetto ogni
qualvolta la scienza non sa dare una risposta chiara (cosa c'era
prima del Big Bang? Com'è apparsa la vita sulla terra?), per poi
essere buttato nel cestino quando la scienza trova la risposta al
suo problema. È un dio che gli uomini di scienza dovrebbero lasciare
tranquillo perché anche la teologia ne fa volentieri a meno.
Il Dio delle costanti universali
Non lontana da questa concezione ne
troviamo un'altra: nel nostro mondo così impregnato di scienza, vi è
una tentazione nella quale è facile cadere. Quella di ricercare
tramite la scienza delle prove dell'esistenza di Dio, quasi come se
questo fosse un fatto misurabile dall'esperienza. Lo fanno i non
credenti per dimostrare che l'universo è retto unicamente da
spietate leggi fisiche che casualmente hanno permesso l'esistenza
dell'essere umano, ma lo fanno anche certi credenti quando affermano
che le stesse leggi fisiche sono perfette non per un caso fortuito
ma perché sono state create e volute da Dio. Si accolla a Dio quindi
il ruolo non di creatore ma d'organizzatore dell'universo. È lui ad
aver determinato i valori delle costanti fondamentali che reggono
l'universo, per farci vivere in un mondo ad evoluzione totalmente
prestabilita. Ma ci si può chiedere, come John Polkinghorne "se il
Dio dell'amore accetterebbe di creare un teatrino di marionette
cosmico totalmente deterministico!" Tra una supernova e un neutrino
si salva così un'idea di un dio, ridotto a calibratore delle
equazioni matematiche dell'universo.
La fede non necessita di nessuna
dimostrazione matematica
Dio non ha creato fisicamente il
mondo in sei giorni. È limitante vederlo come colui che ha acceso la
miccia dei Big Bang, ma è anche riduttivo pensarlo come un
intelligente matematico che ha saputo calcolare i valori delle
costanti fisiche dell'universo. Scienza e fede inconciliabili? No,
la scienza e la teologia hanno dei punti d'incontro perché entrambe
analizzano la realtà facendo uso della ragione: è ragionevole
guardare all'uomo per cogliere i rapporti stretti che possiede con
il mondo fisico, così com'è ugualmente ragionevole guardare allo
stesso uomo e inserirlo in un discorso d'appartenenza, non a delle
leggi fisiche, ma a qualcosa di più grande. In questo senso il
problema di rapporto tra scienza e teologia è un falso problema. Uno
scienziato può credere in Dio? Non meno di un poliziotto, un
pasticciere o un avvocato. Dio non è imprigionato dentro le
equazioni della teoria della relatività d'Einstein, ma è il
fondamento dell'universo. Non è Lui ad aver creato il mio corpo, ma
è invece Lui l'origine della mia persona. La scienza nel suo studio
dell'universo registra fatti e dà un'interpretazione del reale.
Davanti a questi risultati la teologia non può far altro che
prenderli seriamente in considerazione, cosciente che anche questi
dati contribuiscono a meglio comprendere non solo la struttura
dell'universo, ma anche la realtà fisica attraverso la quale la
rivelazione si è manifestata. Per l'uomo di fede Dio esiste
indipendentemente dal modello cosmologico applicato, perché la sua
esistenza non necessita di nessuna dimostrazione matematica. La
presenza dei Dio creatore resterà compatibile con qualsiasi teoria
cosmologica perché citando sempre John Polkinghorne "Dio è creatore
oggi come nel momento dei Big Bang".
[Dal
sito web:
www.caritas-ticino.ch/ri
]
|