Andrei Tarkovskij   (1932-1986)

Il cinema è l'unica forma d’arte che - proprio perché operante all’interno del concetto e dimensione di tempo - è in grado di riprodurre l’effettiva consistenza del tempo - l’essenza della realtà - fissandolo e conservandolo per sempre. (Andrei Tarkovskij)

"Il rullo compressore e il violino" (1960);

"L'Infanzia di Ivan" (1962);
tratto dal racconto "Ivan" di Vladimir Bogomolov, è stato il
suo primo film e venne premiato con il Leone d'Oro al Festival di Venezia nel 1962;

"Andrej Rublëv" (1966, anche se ultimato nel 1969);
il film sul monaco russo Andrej Rublëv, grande pittore di icone (1365 ca. - 1430 ca.) che ottenne il premio della critica internazionale al Festival di Cannes nel 1969;

"Solaris" (1972), dal romanzo di Stanislaw Lem;
E' molto bello il Preludio corale di Bach presente nel film:  Ich Ruf Zu Dir Herr Jesus Christ BWV639  -  File Mp3  (789 Kb - parziale)

 

"Lo specchio" (1974);

"Stalker" (1979);

"Nostalghia" (1983);

"Sacrificio" (1986).

 

Solaris

Romanzo di fantascienza di Stanisław Lem, il suo più celebre, tradotto in più di 30 lingue, pubblicato nel 1961, edito per la prima volta in Italia nel 1973 (casa editrice Nord): tale prima edizione italiana è molto rara.

  Stanisław Lem (Leopoli in Ucraina, 1921 - Cracovia, 2006), scrittore, medico e filosofo polacco ed è probabilmente il più importante autore contemporaneo di fantascienza non angloamericana; le sue opere sono state tradotte in più di 30 lingue ed hanno venduto oltre 30 milioni di copie nel mondo. È considerato uno dei maggiori scrittori polacchi.

Il romanzo Solaris ha ispirato la realizzazione dell'omonimo film nel 1972 del regista russo Andrej Tarkovskij e nel 2002 un altro film (con G.Clooney), peraltro meno suggestivo, del regista statunitense Steven Soderbergh. Il film di Tarkovskij vinse il Grand Prix Speciale della Giuria al 25° Festival di Cannes.

Splendida la sua colonna sonora con il famoso Preludio corale per organo in Fa minore di J.S.Bach "Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ” (Io ti invoco Signore Gesù Cristo), Bwv 639, del 1713, che fa parte della raccolta Preludi Corali I del “Das Orgelbüchlein”.

Il romanzo Solaris rappresenta pienamente quel genere di fantascienza filosofica oggetto della produzione letteraria di Lem, pur differenziandosi dalle altre opere per struttura e modalità di stesura. In tale libro il protagonista è Kelvin, uno psicologo che viene inviato in una stazione spaziale sospesa sopra l'oceano di Solaris, un pianeta oggetto di studio da decenni da parte degli scienziati terrestri. Sembra che questi stiano impazzendo, e Kelvin è mandato a vedere cosa succede.

Solaris è un pianeta diverso dagli altri; interamente ricoperto di un liquido plasmatico, sembra costituire un unico enorme essere vivente in grado di pensare. Per un qualche strano fenomeno, riesce, se arriva a contatto con un'altra conoscenza, a leggerla e materializzarne i pensieri. Scopo della missione spaziale attorno a Solaris è sia stabilire un contatto con il pianeta, sia cercare di capire "che cosa" sia realmente. In questo contesto l'autore inserisce nel romanzo una gran mole di dati (i presunti studi compiuti sul pianeta) arrivando alla conclusione che Solaris sfugge alle possibilità della conoscenza umana: per quanti dati si possano misurare ed ottenere dal pianeta, esso rimane un mistero inesplicabile. Anche se Kelvin ancora non lo sa, si è fatto un passo in avanti decisivo per quanto riguarda lo stabilire comunicazioni con il pianeta: esso riesce finalmente a percepire la presenza degli scienziati della stazione orbitante ed a leggerne i pensieri; in questo modo, per effetto del pianeta, all'interno della navicella si materializzano dal nulla delle persone che rappresentano tutte un desiderio inconscio di ciascuno scienziato. I problemi psicologici cui essi sono soggetti sono dovuti proprio a questo. Ogni "visitatore", seppur legato indissolubilmente alla persona che lo ha "evocato", dimostra nei propri atteggiamenti, espressione di emozioni reali, la peculiarità della propria esistenza e il suo "essere reale" nella somiglianza pressoché perfetta ad un normale essere umano, ma dissimile nella sostanza, per la struttura neutrinica della sua composizione, che lo rende, almeno in apparenza, immortale e indistruttibile. Kelvin, come conseguenza di questo straordinario fenomeno, sulla navicella ritrova la giovane moglie Harey, morta suicida qualche anno prima, e, dopo un iniziale rifiuto, si vede coinvolto emotivamente in questa situazione irreale. La vicinanza di una persona che possiede ricordi, emozioni ed una capacità di comprensione (fino anche ad una presa di coscienza del proprio stato e della propria esistenza), porta Kelvin, tra lucidità e follia, ad una ricerca esasperata di una risposta ai propri dubbi e alle proprie incertezze; un viaggio interiore che è il risultato di un lungo percorso che parte dall'iniziale tentativo di comprendere Solaris. (A cura di Wikipedia e di Pietro Musilli)

Solaris è un’opera che distrugge tutte le certezze del positivismo novecentesco, e, seppure alla fine l’enigma è risolto con un espediente scientifico, la risposta di Kelvin alle sollecitazioni di Solaris resta irrazionale, e l’incapacità di trovare il senso ultimo degli ospiti prodotti dal pianeta simboleggia il vano affannarsi dell’uomo nel cercare di conoscere l’inconoscibile. Simile all’oceano kantiano della metafisica, in cui l’uomo naufraga credendo di scorgere la terraferma ma facendosi ingannare dal suo desiderio di trovare una spiegazione là dove non vi possono essere, l’oceano di Solaris rappresenta l’ignoto, il limite ultimo dell’intelletto e della razionalità umana. Ma è anche simbolo di qualcosa di primordiale, che ricorda le origini dell’uomo e della vita stessa, come ben dimostra Gianfranco De Turris in  Solaris, o “dell’irrazionale”, postfazione all’edizione Mondadori del 2003. All’oceano, vasto, immenso, sterminato, si contrappone l’uomo, piccolo, finito, imperfetto, smanioso di sondare, di conoscere il segreto che nasconde il colosso, e alle cui sollecitazioni quest’ultimo risponde con indifferenza, quieta grandezza di chi tutto sa e non s’interessa più a nulla. Impossibile non cercare nel contrasto uomo/Solaris il contrasto uomo/Dio, impossibile non accostare all’immensa e vana mole di teorie, di scuole di pensiero e di studi su Solaris l’uguale plurisecolare affannarsi teologico sulla natura della Trinità, sulle prove ontologiche dell’esistenza di Dio, sul concetto dello Spirito Santo e altro ancora.

Un po’ come per le opere di Kafka, anche per Solaris ognuno dà una propria chiave interpretativa. Ne propongo una anch’io, anticipata nelle righe sopra (del resto, non diceva forse Heidegger che la realtà è un circolo ermeneutico, e che non c’è una sola interpretazione ma ogni interpretazione è valida?). Il concetto di fondo dell’opera di Lem è che entità metafisiche non possono dare prove tangibili, ontologiche, fisiche del loro esistere. Il fallimento ultimo delle migliaia di ricerche degli scienziati e planetologi nel risolvere l’enigma di Solaris si basa proprio su quest’errore, lo stesso errore che tutti i dottori della Chiesa e i teologi hanno compiuto in centinaia di anni di tentativi di trovare prove definitive dell’esistenza di Dio.

Nel medioevo, Anselmo d’Aosta giunse a definire le prove che dimostravano senza ombra di dubbio l’esistenza di Dio; ci sarebbe voluto solo Immanuel Kant per far crollare quelle certezze, giungendo ad affermare che l’uomo può conoscere fenomeni, ma non “noumeni”: può conoscere solo ciò che percepisce attraverso i sensi, ma Dio è noumeno, è inavvertibile. Cadeva così ogni speranza di giungere un giorno a chiudere l’eterna disputa tra fedeli ed atei con una prova definitiva in favore dei primi, e l’uomo credente tornò a chiudersi nella propria esperienza di fede mistica e solitaria, poiché solo in questo modo può tentare di raggiungere Dio. Solo Kelvin capisce tutto questo, o forse neanche lui lo capisce razionalmente ma lo accetta irrazionalmente.  L’unico contatto possibile con Solaris non è scientifico, ma metafisico: le apparizioni, le “entità F” che Solaris manda agli scienziati della stazione orbitante non hanno alcun fondamento scientifico, semplicemente non possono esistere. Non è con la fisicità delle apparizioni che Solaris cerca il contatto con l’Uomo, ma col modo di reagire tutto personale e interiore degli scienziati della stazione nei confronti di quelle apparizioni. Solo in questo modo appare spiegata, ed assume un significato profondissimo, la frase finale del romanzo: «… ma persistevo nella fede irremovibile che l’epoca dei miracoli crudeli non fosse ancora finita». E’ un fede, quella di Kelvin, non una certezza positivista, ed una fede in un miracolo, in qualcosa cioè di totalmente irrazionale, di assolutamente mistico. E’ l’attesa del manifestarsi della divinità, l’attesa del miracolo. La stessa attesa, possibile solo con uguale “fede irremovibile”, a cui chi crede è costretto a rassegnarsi in un mondo in cui miracoli tangibili, quelli biblici e quelli di Cristo, non si verificano da duemila anni ed insegnano che, se un Dio esiste, esso non tenterà  - o non tenterà più - un contatto fisico ma solo nello spirito degli uomini che continuano a credere. (A cura di www.fabbricantidiuniversi.it)

 

 

Trama del film "Solaris"
A cura di Achille Frezzato - Il Castoro cinema della Nuova Italia editrice, 1977

Il sociopsicologo Kris Kelvin ha il compito di raggiungere la stazione orbitante intorno al pianeta Solaris per far luce su ciò che vi è accaduto o che vi sta accadendo, e per documentarsi sull'attività dei tre scienziati che ancora la abitano. Deve redigere un rapporto sulla opportunità o meno di evacuare la stazione o di procedere negli esperimenti che si prefiggono un "contatto" con la gelatinosa superficie pensante del pianeta.
Trascorre l'ultima giornata "terrestre" nella casa di campagna della famiglia. Qui riceve la visita di Berton, un cosmonauta che aveva vissuto una straordinaria avventura durante un volo sull'oceano di Solaris e che gli consegna un breve filmato con la relazione del suo "caso" davanti ad un consesso di scienziati. Berton cerca di persuadere Kelvin ad impedire che si bombardi la superficie di Solaris con raggi X: non si sa che possa accadere alla psiche umana quando scoprirà le "forme" che si modellano sul pianeta.
Lascia alla fine Kelvin, senza essere riuscito a partecipargli le sue preoccupazioni. Sulla via del ritorno a casa, mentre percorre a forte velocità superstrade concepite con estrema razionalità, telefona al padre di Kelvin per svelargli ciò che aveva visto su Solaris: un gigantesco essere umano dalle sembianze del figlio, a quel tempo ancora non nato, di un astronauta disperso di cui egli era alla ricerca.
All'arrivo sulla stazione orbitale Kelvin scopre che il responsabile, il fisiologo Gibarjan, suo amico, si è ucciso, lasciando scoraggiati e privi di prospettive Snaut, l'esperto in cibernetica, e Sartorius, che però continua le sue ricerche. Kelvin presto scopre il segreto del pianeta. Sottoposto a una intensa radiazione di raggi X Solaris ha risposto con altre radiazioni: sondando il cervello degli abitanti della stazione e prelevandone certe enucleazioni psichiche, esso è giunto a dare forma ai desideri inconsci, alle ossessioni, i ricordi, i sensi di colpa, i feticismi. Snaut e Sartorius ospitano nelle loro stanze strani esseri, dei nanerottoli; Gibarjan ospitava una fulgida ragazza bionda; lo stesso Kelvin, il mattino seguente il suo arrivo, scopre al risveglio nella sua stanza Chari, la fidanzata di un tempo, suicidatasi dieci anni innanzi. Egli cerca di liberarsi dell' "ospite" e lo spedisce nel cosmo. Ma Chari ritorna. E Kelvin che, col passare del tempo sempre più le si affeziona, le mostra un film sulla sua fanciullezza, su alcuni momenti di vita con il padre e la madre.
A niente vale la scoperta di Sartorius, che la struttura cellulare degli "ospiti " non ha nulla di umano. Kelvin, impegnato nella missione affidatagli, capisce che questo compito lo separerà da Chari. Decide di rimanere sulla stazione per vivere con lei che col passare del tempo più si umanizza e, conscia di ostacolare l'opera di Kelvin, cerca di uccidersi ingerendo ossigeno liquido. Ma risorge.
Frattanto Sartorius, volendo stabilire un "contatto" con Solaris, ha messo a punto due soluzioni: o creare anticampi sul pianeta con 1'azione di un "annichilatore" che distruggerebbe la struttura del magma e degli "ospiti", oppure spedire sul pianeta un encefalogramma contenente i pensieri di un essere umano nel suo stato di veglia (poiché gli " ospiti" appaiono sempre e solo al termine del sonno, proprio durante tale stato l'oceano si era occupato degli abitanti della stazione). Si decide di inviare un encefalogramma di Kelvin. Mentre Sartorius dispone le apparecchiature per inoltrare il "messaggio", Kelvin è colpito da un inatteso esaurimento. Dopo alcuni giorni passati in agitato stato di incoscienza, si risveglia. Chari è sparita: si è fatta dissolvere dall'annichilatore. Snaut gli rivela che sulla superficie del pianeta si sono formate come delle isole e che gli ospiti sono d'un tratto spariti. Kelvin pensa alla lontananza della Terra e si vede presso la casa di campagna. Si avvicina e si getta in ginocchio davanti al padre apparso ad accoglierlo sulla soglia.

 
Commento  al  film "Solaris"
A cura di Achille Frezzato - Il Castoro cinema della Nuova Italia editrice, 1977

La "Science Fiction" e Solaris

La vicenda del film, come quella di numerose opere letterarie e cinematografiche, verte intorno al problema dell'"incontro". Rispettando il romanzo di Lem, Tarkovskij mostra come l'uomo possa incontrare nello spazio una intelligenza diversa, estranea, e come non riesca a trovare un linguaggio per comunicare. In Solaris l'uomo si imbatte nell'ignoto e si rivela psicologicamente impreparato ad accoglierlo: la psiche umana muta molto più lentamente di quanto si sviluppino le cognizioni tecnico-scientifiche. Si trova in una situazione difficile, .che scardina le sue certezze e le sospinge a soluzioni estreme. Di fronte all'imprevisto, che incrina la sua visione rigidamente egocentrica delle cose, l'uomo è costretto a riflettere sulla corrispondenza fra progresso tecnico-scientifico e maturazione etica e ad interrogarsi senza indugio sulla portata ed il significato dell'esplorazione umana nello spazio. Al centro del film -motivo drammatico dominante - è il problema della responsabilità morale e sociale che la scienza ed i suoi adepti hanno verso l'umanità.
Tarkovskij non condivide la scelta dell'astrobiologo Sartorius, che si batte per la conoscenza ad ogni costo, senza dubbi di sorta, ed è fanaticamente pronto a distruggere ciò che non comprende, con un impiego inumano e tecnocratico del sapere scientifico. È piuttosto schierato dalla parte del sociopsicologo Kris Kelvin, che respinge i metodi di Sartorius, nella convinzione che l'uomo non possa abbandonare la propria cultura secolare ne tacitare i propri sentimenti, annullare i propri ricordi, nascondere le proprie colpe, ma che debba anzi esserne consapevole e superarli. Avventurandosi nello spazio, deve liberarsi dei propri istinti egoistici. La storia di Solaris gli impone una valutazione più esatta della sua dimensione facendolo conscio che ogni attività umana non può limitarsi alla sfera del razionale, ma deve concentrarsi sui suoi riflessi, sulla totalità della persona e sulla globalità della società. Lo sviluppo tecnico-scientifico può allargare la conoscenza e non entrare in conflitto con la coscienza solo se procede nel rispetto di tutto e di tutti e soprattutto di ciò che è diverso. Nello spazio i personaggi sono costretti a scoprire se stessi. L'incontro con un mondo nuovo induce le loro menti ad avventurarsi nei labirinti della inquietudine e della conoscenza, lungo le infinite vie possibili, fra le infinite ipotesi che possono essere tutte vere.

 

Il romanzo di Stanislaw Lem e il film Solaris

Racconto angoscioso e appassionante, ossessivo nella sua lentezza, Solaris non concede nulla all'esteriorità spettacolare del genere fantascientifico. Tarkovskij - che qui gira a colori - tiene la macchina da presa fissa sui personaggi, nei locali in cui essi vivono e passano il loro tempo, non indugia nella descrizione di portentosi macchinari avveniristici. Gli ambienti non hanno nulla di asettico e impersonale; i personaggi hanno i tratti della quotidianità, lavorano con macchine sofisticate senza modificare il loro contegno di persone sicure e riservate o di esseri dubbiosi e incerti; sono circondati dalle più diverse presenze terrene (fotografie, oggetti, maschere, libri, quadri, ecc.).
Proiettati nel futuro, i personaggi mostrano un attaccamento quasi viscerale alle forme di una vita passata (simbolizzate dalla casa patema di Kelvin), che contrastano con le espressioni dell'era tecnologica, di un mondo di cemento e acciaio, di perfezionati congegni. Nella stazione orbitale domina il disordine. Costretto dall'attività del magma pensante del pianeta ad abbandonare le certezze della ragione, l'uomo non si sente più centro di riferimento: diventa un oggetto fra tanti oggetti, ha perso cognizione della propria identità, è sconvolto da dubbi sul significato della sua esistenza. Nella stazione orbitale Snaut, Sartorius e Kelvin - dopo l'apparizione concreta del loro passato sentito come vergogna e scandalo - sono sconcertati e reagiscono cercando con i mezzi della scienza di tacitare la fonte delle loro incertezze o rifugiandosi in lontane oasi di quiete.
Tarkovskij si è comportato con una certa libertà nei confronti del testo letterario. Il romanzo di Lem si apre con il viaggio di Kelvin alla volta di Solaris: non comprende ne l'ultima sua giornata sulla Terra, trascorsa in campagna con il padre (poco convinto della necessità della missione), ne, conseguentemente, il resoconto della visita dell'astronauta Berton. Non c'è dunque posto per la proiezione della riunione del comitato di scienziati esperti in questioni di " solaristica " ( della spaventosa esperienza di Berton, Kris Kelvin verrà a conoscenza leggendo uno dei libri indicati da Gibarjan in un appunto lasciato prima di morire). Gibarjan, nel romanzo, non indirizza a Kelvin alcun video-tape, ma solo un foglietto con l'invito a meditare su quanto era accaduto a Berton. Anzi, nel romanzo Gibarjan non compare affatto; nel film se ne vedono, oltre al cadavere, le ultime immagini prima del suicidio, se ne sente la voce (le une e l'altra registrate per Kelvin, a cui egli comunica il suo smarrimento per la presenza degli "ospiti" e la sua decisione di uccidersi, non potendo sopportare la cieca audacia della scienza di cui egli è un rappresentante). Secondo Gibarjan, solo la vergogna per le violenze perpetrate alla propria insania può trattenere l'uomo dal procedere ad altre aggressioni. Nel romanzo, e così nella pellicola, non si risparmiano dure parole contro la stoltezza e la iattanza dell'uomo, partito per lo spazio credendosi una creatura eccezionale e volendo non tanto conquistare il cosmo e assoggettare altri esseri, quanto allargare i confini della Terra e trasmettere ad altri i suoi valori. L'uomo cerca solo se stesso, non avendo bisogno di altri mondi, ma di uno specchio in cui si rifletta il ritratto idealizzato di se stesso e del suo mondo. Fruga nell'Universo senza conoscere se stesso: ha perso la percezione di sé come una parte del tutto.
Il romanzo e il film svolgono. una requisitoria convinta, ma non accesa, contro i metodi umani irrispettosi della natura altrui: per Lem e per Tarkovskij l'albagia umana non ha limiti, ma Lem non dispera del tutto delle facoltà di ripresa, di riconversione dell'uomo. Millenni di oscura caparbietà e di rovinosa superbia possono essere cancellati dalla più semplice delle soluzioni, ricca di inimmaginabili aperture sul futuro.
Dopo strani sogni e incubi, Kelvin decide di scendere sul pianeta, di avvicinarlo come una realtà conchiusa in se stessa, "altra" ma non avversa.
L'oceano risponde a questo suo coraggio, si avvicina alla sua mano con un'onda. Dapprima titubante e indecisa, essa avvolge la mano senza toccarla, lasciando cioè un'intercapedine fra sé e il guanto dello scienziato, ma non la abbandona quando egli la alza, pur mantenendosi in contatto con tutto il resto della massa fluida. Kelvin vive questo contatto nelle sue numerose ripetizioni, finché le onde dell'oceano, conosciutolo, non si modellano più sulle parti del suo corpo: ormai hanno stabilito una comunicazione e l'uomo sente pulsare in se la medesima forza misteriosa che sommuove l'immane superficie del pianeta e dalla quale è spinto a rimanere, quasi avvertendo una "rinascita " sul lontano corpo celeste.
Completamente diversa la fine del film. Dopo il reiterato invio della registrazione dell'encefalogramma diurno di Kelvin, gli "ospiti" spariscono. Sulla superficie di Solaris si abbozzano delle isole. Al termine di un colloquio con Snaut, Kelvin, ormai guarito, chiede che cosa deve fare (intanto sullo schermo si susseguono immagini dell'oceano, di nubi, di vapori) e manifesta l'ardente speranza che "l'epoca dei miracoli crudeli non sia finita". Snaut pensa che sia tempo per lui di far ritorno sulla Terra: la camera inquadra allora, accostandosi a poco a poco, una piccola pianticella in una scatola di metallo posta sulla finestra/oblò della stanza di Kelvin. L'immagine si oscura, la camera stacca su piante acquatiche, mosse dalla corrente, vi si avvicina. Per stacco appare un primo piano di Kelvin, di spalle, che si avvia verso lo stagno quasi gelato - sembra autunno - mentre la camera lo segue in carrello lasciando che nell'inquadratura appaia la sua figura intera. Egli si ferma in riva allo stagno, ne guarda la superficie immobile, volge la testa verso destra: si indovina un suo movimento in tale direzione in quanto nell'inquadratura seguente egli entra da sinistra, percorrendola completamente sino all'estremità opposta e uscendone. Ancora per stacco, un primo piano del personaggio che si volge verso la camera, la quale (altro stacco) riprende in primo piano un tronco semisommerso, prima di iniziare una lenta panoramica, da sinistra a destra, sullo stagno, mostrando ciò su cui si posa lo sguardo di Kelvin, nella sua passeggiata al cui termine vede la dimora paterna e vi si dirige. Incontro gli viene un cane. A questo punto Kelvin è ritratto dall'interno di una stanza, in cui piove acqua dal soffitto. Egli si avvicina alla finestra e si ferma in primo piano: vede il padre che - incurante dell'acqua calda che, filtrando dal soffitto, gli piove sulle spalle - mette in ordine libri. Anche lui lo vede. Dopo un primo piano di Kelvin appiccicato al vetro della finestra, appare la facciata della casa in un campo fra il medio ed il lungo. Sulla porta compare il padre al cui fianco è ora il cane. Kelvin entra nell'inquadratura da sinistra, sale alcuni gradini e si inginocchia davanti al padre.
Con un lungo movimento verso l'alto, Tarkovskij mostra come la dimora paterna si faccia sempre più piccola e si trovi al centro di una delle isole apparse sulla superficie di Solaris.
Non importa a questo punto chiarire se Kris Kelvin è tornato effettivamente sulla Terra o se l'oceano pensante di Solaris ha captato dal suo encefalogramma, e materializzato, questo suo cocente desiderio del focolare: rimane incontrovertibile la sua struggente ansia del ritorno, nella quale si manifesta non tanto il riconoscimento di una stolta cecità della scienza, quanto un complesso di colpa, la convinzione di aver violato la norma e di essersi macchiato di una infrazione contro l'autorità, contro la tradizione.
Durante i suoi sogni il protagonista del romanzo di Lem si sente "frugato" da una mano che dal nulla lo fa gradualmente emergere come se lo facesse rinascere alla vita introiettando in lui una smania di plasmare un altro sé, che, una volta formato, finisce assieme a lui dissolto in una massa brulicante di vermi: un istinto vitale si rivolge contro sé stesso e si dà la morte. Kelvin si scuote da questi incubi strazianti, riconosce in questa forza ambivalente ciò che agita l'oceano di Solaris e vuole rimediare alle sue colpe di uomo e di scienziato. L 'unico modo per farlo è quello di identificare in questa forma di vita la massa caotica originaria che contiene tutte le possibilità (tutte le promesse di vita e di morte): in essa ci si può dissolvere e perdere, ma anche immergersi, accettando una momentanea regressione per rinascere in una dimensione arricchita sia sul piano fisico che su quello spirituale, psichico.
Il Kelvin del film è convinto che la sua colpa può essere lavata solo dal perdono accordato da colui che lo ha messo in guardia verso le sue decisioni: il padre, nel quale è raffigurata l'autorità. Ingiustificato qualsiasi richiamo al film di Stanley Kubrick, 2001, odissea nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968), opera di maturata fiducia nell'esperienza cosmica dell'uomo, vissuta fino all'apparizione finale del "feto astrale", dopo un ritorno alle origini della vita che è cosmica forza, e luce accecante che l'uomo può fissare a occhi aperti perché egli ne fa parte. Un finale che può essere accostato alle ultime pagine del romanzo di Lem. Nulla di questa esaltazione si libera dalle immagini conclusive del film di Tarkovskij: l'uomo non è pronto ad avventurarsi nello spazio e ad uscire dai confini della consueta esistenza; non è maturo, vive ancora sotto tutela. Altri (l'autorità) deve prendersi cura di lui, ammonirlo per la sua sfrontatezza: Kelvin, in ginocchio ai piedi del padre, ammette di aver abusato della sua fiducia; ha sbagliato e ne invoca il perdono. Per Tarkovskij l'uomo deve essere cauto nel prendere le distanze dai tradizionali istituti sociali.
Alcuni hanno visto nell'oceano l'immagine di un potere dispotico, simbolo di una organizzazione sociale in cui l'individuo è assorbito dalla massa senza volto. Questa entità, alternativa alla "singolarità" umana, può forgiare gli uomini su un unico stampo, soffocarne lo spirito critico e la capacità di iniziativa. Può fondare un sistema chiuso che esclude esistenze indipendenti: unica forma di energia psichica ed intellettuale, vuole essere solo accettata. Quando qualcuno rivendica il diritto a scelte individuali, essa risponde ricordando ai temerari le loro debolezze e costringendoli a vivere in presenza dei loro rimorsi. Secondo questa interpretazione, l'oceano sarebbe qualcosa di assoluto: è il potere che esiste "ab eterno", in quanto necessario ad arginare la stoltezza umana (gli uomini sono continuamente divorati dalla brama di sapere; non riconoscendo nel potere un padre severo ma premuroso, partono per avventure impossibili nelle quali sperperano il meglio delle loro energie, solo per ritornare affranti al punto di partenza, e sollecitare una meritata punizione).
Sono considerazioni, queste, che vengono enunciate con qualche forzatura da Solaris. Per esse, Tarkovskij si confermerebbe uomo che vive nel suo tempo e non trascura di studiare quelle manifestazioni degli ordinamenti sociali nelle quali possono prodursi stravolgimenti, scelte unilaterali generatrici di " mostri".

 

Andrej  Rublëv  (o Rublyov o Андрей Рублёв)  (1969)

Regista: Andrej Tarkovskij (1932-1986)
Scritto da: Andrei Konchalovsky e Andrei Tarkovsky
Durata: 205 minuti (ma nella ex Unione Sovietica - URSS: 145 minuti)
Principali attori e attrici:
Anatoli Solonitsyn (Andrei Rublyov)
Ivan Lapikov (Kirill)
Nikolai Grinko (Daniil Cherny)
Nikolai Sergeyev (Feofan Grek)
Irma Raush (Idiot girl) (Durochka)
Nikolai Burlyayev (Boriska)
Yuri Nazarov (Grand Prince/his brother)
Yuri Nikulin (Monk Patrikey)
Rolan Bykov (The jester)

 

A cura di: Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli.

In una Russia messa a ferro e fuoco dalle invasioni asiatiche e sconvolta dalle lotte di potere tra piccoli potentati, il monaco Rublev (1360 ca.-1430), pittore di icone, passa attraverso 9 capitoli (Il volo, Il buffone, Teofane il Greco, La passione secondo Andrej, La festa, Il giudizio universale, La scorreria, Il silenzio, La campana) che compongono un vasto affresco del Medioevo russo. Nel primo è assente, in altri fa da spettatore o "passeggero", nell'ultimo una delle più alte pagine filmiche di epica del lavoro umano è in disparte, testimone silenzioso. E uno dei grandi film degli anni '60 (bloccato per 6 anni dalla censura sovietica e distribuito in Italia solo nel 1975) il capolavoro di Tarkovskij è il più maturo risultato, in campo cinematografico, della cultura del dissenso nell'URSS. Epilogo a colori, 10 minuti di documentario sulla pittura di Rublev: l'autore scompare, rimane l'opera.

 

A cura di: Fernaldo Di Giammatteo.

Questo film fu anzitutto un “caso” politico-culturale. Realizzato in un triennio (1965-67), fu invitato, prima ancora della presentazione in Unione Sovietica, al festival di Cannes del 1967. Vi giunse soltanto nel 1969: le “resistenze”, mai ufficialmente chiarite, del Goskino ne impedirono più volte l'esportazione. A Cannes, ottenne il premio della FIPRESCI. Tre anni dopo, gennaio 1972, fu proiettato a Mosca. Interpretare le “resistenze” burocratiche degli organi amministrativi del cinema sovietico è impresa inutile. Va solo detto che anche un altro film di Tarkovskij (Zerkalo, Lo specchio, t.l., 1974, che il regista girò dopo il fantascientifico Solaris, Solaris, 1972) incappò nella censura ed ebbe in patria una circolazione ridotta (e nessuna diffusione all'estero). Andrej Rublëv è un florilegio di episodi legati alla vita e ai tempi del pittore (1370-1430, approssimativamente). Nel prologo si descrive un tentativo di volo umano con un pallone di aria calda. L'uomo, che si era levato in alto, perde la vita. Il primo episodio (1400, quando Rublëv ha trenta anni) vede il monaco pittore in cammino sotto la pioggia con due confratelli anch'essi pittori (Kirill e DanjI il nero). Si rifugiano in un'isba e assistono ai lazzi di un buffone che satireggia il potere. Il secondo (1405) presenta il dibattito fra Kirill e il famoso Teofane il Greco, pittore di icone. Sulla piazza antistante la chiesa, infuria la bestialità di alcuni armat contro un gruppo di ribelli. Teofane sembra bene impressionato dalla intelligenza di Kirill. Senonché, qualche tempo dopo, il principe decide di scegliere come collaboratore di Teofane non Kirill ma Rublëv. Kirill, umiliato e furente, abbandona il convento. Il terzo episodio (1406) mostra Teofane e Rublëv che discutono, in un bosco, sul modo migliore di dipingere la Passione di Cristo. Nel quinto (1408) si svolge una festa notturna sulle rive di un fiume (gradualmente il ritmo e la tensione interna del film emergono e lasciano nello spettatore tracce sempre più profonde). Rublëv si avvicina di nascosto allo spiazzo dove si celebra il rito pagano della primavera. Scoperto e legato a un palo, è “tentato” da una ragazza nuda. Il sesto (estate 1408) vede Rublëv e DanjI lavorare intorno a un Giudizio Universale, mentre fuori della chiesa accadono orrendi fatti di sangue. Rublëv rifiuta gli ordini del metropolita, non accetta le indicazioni delle Scritture: non è questo che occorre agli uomini immersi nelle tenebre della disperazione. Una giovane sordomuta dai grandi occhi chiari entra nella chiesa.

Con il settimo episodio (1408, sempre) si apre la seconda parte. I Tartari conquistano la città di Vladimir e spaventosamente infieriscono sugli abitanti. Sono con loro i russi che si sono ribellati al principe. Rublëv è rifugiato nella cattedrale, ma anche lì piombano gli invasori. Andrej, per salvare la sordomuta, uccide un russo. Poi sogna il maestro Teofane e gli dice che non dipingerà più e non pronuncerà più parola, per espiare il delitto. L'ottavo episodio (1412) vede Rublëv nel monastero dove è tornato (e dove giunge Kirill, pentito per la fuga). Arrivano i Tartari. La sordomuta, che aveva seguito Andrej, abbandona tutti e se ne va con loro. Il nono episodio (1423) conduce il crescendo, che si è sviluppato di tappa in tappa (ma fuori da una continuità narrativa, in effetti inesistente), al suo culmine. Il principe cerca dappertutto qualcuno che sappia fondere campane. Si fa avanti il piccolo Boris sostenendo di aver appreso il segreto della fusione dal padre in punto di morte. Rublëv in silenzio lo osserva. Il ragazzo, spavaldo, riesce a fondere (in una sequenza di emozionante vigore e di sottile risonanza simbolica) la campana. Il popolo ascolta commosso i primi rintocchi. Boriška confessa a Rublëv che il padre era morto prima di rivelargli il segreto. Rublëv comprende, come per una illuminazione. Riprenderà a dipingere, e girerà con Boriška per la Russia, recando al popolo la consolazione dell'arte. La vediamo, questa arte, nell'epilogo che “esplode”, a colori, sullo schermo, dopo quasi tre ore di un denso e contrastato bianco e nero: sono le opere (gli affreschi e le icone), splendenti di ori e di ieratiche immagini, che il pittore ha lasciato alla sua patria. Si ode un tuono e si scorgono alcuni cavalli pascolare sotto la pioggia.

Con questo film complesso e maestoso (in cui sono visibili le tracce dell'insegnamento figurativo dell'ultimo Ejzenštejn e, soprattutto, delle grandi pagine liriche dedicate da Dovzenko all'anima contadina del suo paese), Andrej Tarkovskij (Zavroze, 4 aprile 1932) è andato assai oltre la gracile esperienza del patetico film di guerra (Ivanovo detstvo, L'infanzia di Ivan, 1962) con cui esordì. Ha voluto parlare “dell'impossibilità di creare trascurando i desideri e le speranze del popolo; dell'aspirazione dell'artista a esprimere il suo animo, il suo carattere; della dipendenza del carattere dell'artista dalla situazione storica”. Lo ha fatto con una tale ricchezza di riferimenti (storici, antropologici, ambientali, figurativi) e di simboli (ogni elemento naturale, ogni animale, ogni personaggio, ogni concetto del dialogo ha un valore simbolico) da sfiorare più volte l'ineffabilità del mistero.

 

 

Sottofondo musicale:   Bach - Preludio corale BWV 639: "Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ"
(fa, tra l'altro, parte della colonna sonora del film di fantascienza "Solaris" diretto da
Andrei Tarkovsky)