La "Science Fiction" e Solaris
La vicenda del film, come quella di numerose opere letterarie e
cinematografiche, verte intorno al problema dell'"incontro".
Rispettando il romanzo di Lem, Tarkovskij mostra come l'uomo
possa incontrare nello spazio una intelligenza diversa,
estranea, e come non riesca a trovare un linguaggio per
comunicare. In Solaris l'uomo si imbatte nell'ignoto e si rivela
psicologicamente impreparato ad accoglierlo: la psiche umana
muta molto più lentamente di quanto si sviluppino le cognizioni
tecnico-scientifiche. Si trova in una situazione difficile, .che
scardina le sue certezze e le sospinge a soluzioni estreme. Di
fronte all'imprevisto, che incrina la sua visione rigidamente
egocentrica delle cose, l'uomo è costretto a riflettere sulla
corrispondenza fra progresso tecnico-scientifico e maturazione
etica e ad interrogarsi senza indugio sulla portata ed il
significato dell'esplorazione umana nello spazio. Al centro del
film -motivo drammatico dominante - è il problema della responsabilità morale e sociale che la scienza ed i suoi adepti hanno
verso l'umanità.
Tarkovskij non
condivide la scelta dell'astrobiologo Sartorius, che si batte per la conoscenza ad ogni
costo, senza dubbi di sorta, ed è fanaticamente pronto a distruggere ciò che non
comprende, con un impiego inumano e tecnocratico del sapere scientifico. È piuttosto
schierato dalla parte del sociopsicologo Kris Kelvin, che respinge i metodi di Sartorius,
nella convinzione che l'uomo non possa abbandonare la propria cultura secolare ne tacitare
i propri sentimenti, annullare i propri ricordi, nascondere le proprie colpe, ma che debba
anzi esserne consapevole e superarli. Avventurandosi nello spazio, deve liberarsi dei
propri istinti egoistici. La storia di Solaris gli impone una valutazione più esatta
della sua dimensione facendolo conscio che ogni attività umana non può limitarsi alla
sfera del razionale, ma deve concentrarsi sui suoi riflessi, sulla totalità della persona
e sulla globalità della società. Lo sviluppo tecnico-scientifico può allargare la
conoscenza e non entrare in conflitto con la coscienza solo se procede nel rispetto di
tutto e di tutti e soprattutto di ciò che è diverso. Nello spazio i personaggi sono
costretti a scoprire se stessi. L'incontro con un mondo nuovo induce le loro menti ad
avventurarsi nei labirinti della inquietudine e della conoscenza, lungo le infinite vie
possibili, fra le infinite ipotesi che possono essere tutte vere.
Il romanzo di
Stanislaw Lem e il film Solaris
Racconto
angoscioso e appassionante, ossessivo nella sua lentezza, Solaris non concede nulla
all'esteriorità spettacolare del genere fantascientifico. Tarkovskij - che qui gira a
colori - tiene la macchina da presa fissa sui personaggi, nei locali in cui essi vivono e
passano il loro tempo, non indugia nella descrizione di portentosi macchinari
avveniristici. Gli ambienti non hanno nulla di asettico e impersonale; i personaggi hanno
i tratti della quotidianità, lavorano con macchine sofisticate senza modificare il loro
contegno di persone sicure e riservate o di esseri dubbiosi e incerti; sono circondati
dalle più diverse presenze terrene (fotografie, oggetti, maschere, libri, quadri, ecc.).
Proiettati nel
futuro, i personaggi mostrano un attaccamento quasi viscerale alle forme di una vita
passata (simbolizzate dalla casa patema di Kelvin), che contrastano con le espressioni
dell'era tecnologica, di un mondo di cemento e acciaio, di perfezionati congegni. Nella
stazione orbitale domina il disordine. Costretto dall'attività del magma pensante del
pianeta ad abbandonare le certezze della ragione, l'uomo non si sente più centro di
riferimento: diventa un oggetto fra tanti oggetti, ha perso cognizione della propria
identità, è sconvolto da dubbi sul significato della sua esistenza. Nella stazione
orbitale Snaut, Sartorius e Kelvin - dopo l'apparizione concreta del loro passato sentito
come vergogna e scandalo - sono sconcertati e reagiscono cercando con i mezzi della
scienza di tacitare la fonte delle loro incertezze o rifugiandosi in lontane oasi di
quiete.
Tarkovskij si è
comportato con una certa libertà nei confronti del testo letterario. Il romanzo di Lem si
apre con il viaggio di Kelvin alla volta di Solaris: non comprende ne l'ultima sua
giornata sulla Terra, trascorsa in campagna con il padre (poco convinto della necessità
della missione), ne, conseguentemente, il resoconto della visita dell'astronauta Berton.
Non c'è dunque posto per la proiezione della riunione del comitato di scienziati esperti
in questioni di " solaristica " ( della spaventosa esperienza di Berton, Kris
Kelvin verrà a conoscenza leggendo uno dei libri indicati da Gibarjan in un appunto
lasciato prima di morire). Gibarjan, nel romanzo, non indirizza a Kelvin alcun video-tape,
ma solo un foglietto con l'invito a meditare su quanto era accaduto a Berton. Anzi, nel
romanzo Gibarjan non compare affatto; nel film se ne vedono, oltre al cadavere, le ultime
immagini prima del suicidio, se ne sente la voce (le une e l'altra registrate per Kelvin,
a cui egli comunica il suo smarrimento per la presenza degli "ospiti" e la sua
decisione di uccidersi, non potendo sopportare la cieca audacia della scienza di cui egli
è un rappresentante). Secondo Gibarjan, solo la vergogna per le violenze perpetrate alla
propria insania può trattenere l'uomo dal procedere ad altre aggressioni. Nel romanzo, e
così nella pellicola, non si risparmiano dure parole contro la stoltezza e la iattanza
dell'uomo, partito per lo spazio credendosi una creatura eccezionale e volendo non tanto
conquistare il cosmo e assoggettare altri esseri, quanto allargare i confini della Terra e
trasmettere ad altri i suoi valori. L'uomo cerca solo se stesso, non avendo bisogno di
altri mondi, ma di uno specchio in cui si rifletta il ritratto idealizzato di se stesso e
del suo mondo. Fruga nell'Universo senza conoscere se stesso: ha perso la percezione di
sé come una parte del tutto.
Il romanzo e il
film svolgono. una requisitoria convinta, ma non accesa, contro i metodi umani
irrispettosi della natura altrui: per Lem e per Tarkovskij l'albagia umana non ha limiti,
ma Lem non dispera del tutto delle facoltà di ripresa, di riconversione dell'uomo.
Millenni di oscura caparbietà e di rovinosa superbia possono essere cancellati dalla più
semplice delle soluzioni, ricca di inimmaginabili aperture sul futuro.
Dopo strani sogni
e incubi, Kelvin decide di scendere sul pianeta, di avvicinarlo come una realtà conchiusa
in se stessa, "altra" ma non avversa.
L'oceano risponde
a questo suo coraggio, si avvicina alla sua mano con un'onda. Dapprima titubante e
indecisa, essa avvolge la mano senza toccarla, lasciando cioè un'intercapedine fra sé e
il guanto dello scienziato, ma non la abbandona quando egli la alza, pur mantenendosi in
contatto con tutto il resto della massa fluida. Kelvin vive questo contatto nelle sue
numerose ripetizioni, finché le onde dell'oceano, conosciutolo, non si modellano più
sulle parti del suo corpo: ormai hanno stabilito una comunicazione e l'uomo sente pulsare
in se la medesima forza misteriosa che sommuove l'immane superficie del pianeta e dalla
quale è spinto a rimanere, quasi avvertendo una "rinascita " sul lontano corpo
celeste.
Completamente
diversa la fine del film. Dopo il reiterato invio della registrazione dell'encefalogramma
diurno di Kelvin, gli "ospiti" spariscono. Sulla superficie di Solaris si
abbozzano delle isole. Al termine di un colloquio con Snaut, Kelvin, ormai guarito, chiede
che cosa deve fare (intanto sullo schermo si susseguono immagini dell'oceano, di nubi, di
vapori) e manifesta l'ardente speranza che "l'epoca dei miracoli crudeli non sia
finita". Snaut pensa che sia tempo per lui di far ritorno sulla Terra: la camera
inquadra allora, accostandosi a poco a poco, una piccola pianticella in una scatola di
metallo posta sulla finestra/oblò della stanza di Kelvin. L'immagine si oscura, la camera
stacca su piante acquatiche, mosse dalla corrente, vi si avvicina. Per stacco appare un
primo piano di Kelvin, di spalle, che si avvia verso lo stagno quasi gelato - sembra
autunno - mentre la camera lo segue in carrello lasciando che nell'inquadratura appaia la
sua figura intera. Egli si ferma in riva allo stagno, ne guarda la superficie immobile,
volge la testa verso destra: si indovina un suo movimento in tale direzione in quanto
nell'inquadratura seguente egli entra da sinistra, percorrendola completamente sino
all'estremità opposta e uscendone. Ancora per stacco, un primo piano del personaggio che
si volge verso la camera, la quale (altro stacco) riprende in primo piano un tronco
semisommerso, prima di iniziare una lenta panoramica, da sinistra a destra, sullo stagno,
mostrando ciò su cui si posa lo sguardo di Kelvin, nella sua passeggiata al cui termine
vede la dimora paterna e vi si dirige. Incontro gli viene un cane. A questo punto Kelvin
è ritratto dall'interno di una stanza, in cui piove acqua dal soffitto. Egli si avvicina
alla finestra e si ferma in primo piano: vede il padre che - incurante dell'acqua calda
che, filtrando dal soffitto, gli piove sulle spalle - mette in ordine libri. Anche lui lo
vede. Dopo un primo piano di Kelvin appiccicato al vetro della finestra, appare la
facciata della casa in un campo fra il medio ed il lungo. Sulla porta compare il padre al
cui fianco è ora il cane. Kelvin entra nell'inquadratura da sinistra, sale alcuni gradini
e si inginocchia davanti al padre.
Con un lungo movimento verso l'alto, Tarkovskij mostra come la dimora paterna si faccia
sempre più piccola e si trovi al centro di una delle isole apparse sulla superficie di
Solaris.
Non importa a questo punto chiarire se Kris Kelvin è tornato effettivamente sulla Terra o
se l'oceano pensante di Solaris ha captato dal suo encefalogramma, e materializzato,
questo suo cocente desiderio del focolare: rimane incontrovertibile la sua struggente
ansia del ritorno, nella quale si manifesta non tanto il riconoscimento di una stolta
cecità della scienza, quanto un complesso di colpa, la convinzione di aver violato la
norma e di essersi macchiato di una infrazione contro l'autorità, contro la tradizione.
Durante i suoi
sogni il protagonista del romanzo di Lem si sente "frugato" da una mano che dal
nulla lo fa gradualmente emergere come se lo facesse rinascere alla vita introiettando in
lui una smania di plasmare un altro sé, che, una volta formato, finisce assieme a lui
dissolto in una massa brulicante di vermi: un istinto vitale si rivolge contro sé stesso
e si dà la morte. Kelvin si scuote da questi incubi strazianti, riconosce in questa forza
ambivalente ciò che agita l'oceano di Solaris e vuole rimediare alle sue colpe di uomo e
di scienziato. L 'unico modo per farlo è quello di identificare in questa forma di vita
la massa caotica originaria che contiene tutte le possibilità (tutte le promesse di vita
e di morte): in essa ci si può dissolvere e perdere, ma anche immergersi, accettando una
momentanea regressione per rinascere in una dimensione arricchita sia sul piano fisico che
su quello spirituale, psichico.
Il Kelvin del
film è convinto che la sua colpa può essere lavata solo dal perdono accordato da colui
che lo ha messo in guardia verso le sue decisioni: il padre, nel quale è raffigurata
l'autorità. Ingiustificato qualsiasi richiamo al film di Stanley Kubrick, 2001, odissea
nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968), opera di maturata fiducia nell'esperienza
cosmica dell'uomo, vissuta fino all'apparizione finale del "feto astrale", dopo
un ritorno alle origini della vita che è cosmica forza, e luce accecante che l'uomo può
fissare a occhi aperti perché egli ne fa parte. Un finale che può essere accostato alle
ultime pagine del romanzo di Lem. Nulla di questa esaltazione si libera dalle immagini
conclusive del film di Tarkovskij: l'uomo non è pronto ad avventurarsi nello spazio e ad
uscire dai confini della consueta esistenza; non è maturo, vive ancora sotto tutela.
Altri (l'autorità) deve prendersi cura di lui, ammonirlo per la sua sfrontatezza: Kelvin,
in ginocchio ai piedi del padre, ammette di aver abusato della sua fiducia; ha sbagliato e
ne invoca il perdono. Per Tarkovskij l'uomo deve essere cauto nel prendere le distanze dai
tradizionali istituti sociali.
Alcuni hanno
visto nell'oceano l'immagine di un potere dispotico, simbolo di una organizzazione sociale
in cui l'individuo è assorbito dalla massa senza volto. Questa entità, alternativa alla
"singolarità" umana, può forgiare gli uomini su un unico stampo, soffocarne lo
spirito critico e la capacità di iniziativa. Può fondare un sistema chiuso che esclude
esistenze indipendenti: unica forma di energia psichica ed intellettuale, vuole essere
solo accettata. Quando qualcuno rivendica il diritto a scelte individuali, essa risponde
ricordando ai temerari le loro debolezze e costringendoli a vivere in presenza dei loro
rimorsi. Secondo questa interpretazione, l'oceano sarebbe qualcosa di assoluto: è il
potere che esiste "ab eterno", in quanto necessario ad arginare la stoltezza
umana (gli uomini sono continuamente divorati dalla brama di sapere; non riconoscendo nel
potere un padre severo ma premuroso, partono per avventure impossibili nelle quali
sperperano il meglio delle loro energie, solo per ritornare affranti al punto di partenza,
e sollecitare una meritata punizione).
Sono
considerazioni, queste, che vengono enunciate con qualche forzatura da Solaris. Per esse,
Tarkovskij si confermerebbe uomo che vive nel suo tempo e non trascura di studiare quelle
manifestazioni degli ordinamenti sociali nelle quali possono prodursi stravolgimenti,
scelte unilaterali generatrici di " mostri". |