Schede sanitarie


Polveri sospese

Costituiscono un indice importante di inquinamento atmosferico; rappresentano un rischio per la salute perché hanno effetto tossico- irritativo sulle vie respiratorie, ed inoltre potenziano l’azione irritativa di altri inquinanti come la SO2 e facilitano la penetrazione nei polmoni di sostanze adsorbite sulla loro superficie, come gli idrocarburi aromatici policiclici e i metalli pesanti. Le particelle di maggior interesse igienico-sanitario sono quelle con diametro tra 0,5 e 5 micron, ossia la frazione respirabile che giunge fino agli alveoli polmonari.

Lo standard di qualità dell’aria (DPCM 28/3/83) è di 150 mg/m3, il valore guida previsto dal DPR 203 del 24/5/88 è di 40-60 mg/m3, sempre come media annuale.

SO2

In ambiente umido e in contatto con certi aerosol, si può trasformare in SO3 e acido solforico. Gli ossidi di zolfo sono i massimi responsabili, insieme agli ossidi di azoto, delle piogge acide e dei conseguenti danni alla vegetazione. Gli ossidi di zolfo hanno effetto tossico- irritativo per le vie respiratorie e favoriscono la bronchite cronica, l’asma bronchiale e l’enfisema polmonare. Lo standard previsto è di 80 mg/m3 come concentrazione media nelle 24 ore, e 80 mg/m3 come mediana delle medie in un anno. Il DPR 203 prevede un valore guida di 40-60 mg/m3 e un valore medio delle 24 ore di 100-150 mg/m3. Il valore di 250 mg/m3 non deve essere superato per più di 7 g/anno.

Piombo

E’ un inquinante molto diffuso a causa del suo grande utilizzo, e non è necessario per lo svolgimento dei processi biologici. Una certa concentrazione si trova in tutte le persone e tende ad aumentare con l’età. Tra le principali fonti di inquinamento atmosferico si citano i fumi di scappamento delle auto che utilizzano benzine additivate con composti alchilici del piombo egli effluenti di impianti di lavorazione del piombo. La contaminazione degli alimenti è dovuta in minima parte alla presenza naturale del piombo nel suolo e per il resto alle ricadute inquinanti sui terreni, suoli, prodotti agricoli. Piccole quantità di piombo sono presenti anche nel fumo di sigaretta e nei vini non contaminati.

Il piombo inorganico può essere assorbito dall’uomo per via respiratoria e per ingestione; la prima è prevalente negli ambienti di lavoro, mentre per la popolazione non soggetta ad esposizione professionale la fonte di rischio principale è costituita dalla contaminazione degli alimenti.

In ogni caso, il piombo attraverso il sangue viene distribuito ai tessuti e, quando l’assorbimento sia superiore all’eliminazione, tende ad accumularsi nei vari organi, in particolare denti ed ossa (fino al 95% del piombo depositato), ed in parte nel midollo osseo, nel fegato, nei reni. Si ritrova anche nel latte materno, nel sudore, nei capelli e nelle unghie. Durante la gravidanza supera la placenta e passa dalla madre al feto.

Gli effetti tossici del piombo, il saturnismo, si manifestano quando la concentrazione del piombo nel sangue supera determinati livelli. Quando si superano i 70-80 gamma (gamma º mg/100ml) compare l’anemia, in quanto il piombo inibisce alcuni enzimi necessari per la sintesi dell’emoglobina. Oltre i 100 gamma si manifesta la colica saturnina, ossia dolori addominali acuti con aumento della pressione sanguigna e nefropatia acuta, in seguito agli effetti tossici del piombo sulla muscolatura intestinale e delle pareti dei vasi sanguigni. Oltre i 120-150 gamma si hanno effetti neurotossici: polineurite o encefalopatia cronica.

Livelli di piombo attualmente ritenuti accettabili sono sospettati, da ricercatori americani, di alterazioni del comportamento soprattutto nella popolazione infantile. Negli ambienti di lavoro il valore limite del piombo nell’aria, ponderato per un’esposizione di otto ore al giorno per cinque giorni la settimana (VLP), è di 0,15 mg/m3, ma l’Istituto nazionale per la sicurezza e la salute negli ambienti di lavoro degli USA (NIOSH) propone dal 1978 il limite di 0,10 mg/m3. Gli standard di qualità dell’aria previsti dal DPCM del 1983 prevedono una media annuale massima pari a 2 mg/m3.

Nel caso di aree particolarmente inquinate il monitoraggio ambientale dovrebbe interessare anche i vegetali, il suolo, le acque, gli alimenti. A questo riguardo non esiste una legge nazionale, e la sola Olanda in Europa ha posto limiti di concentrazione nel suolo, definendo una soglia di sicurezza (A), una soglia di rischio (B), ed una soglia di contaminazione (C) per i diversi inquinanti.

Per quanto riguarda gli alimenti il DM del 2/7/84 pone un limite massimo di piombo nei vini di 0,3 mg/l. Per la valutazione dell’assorbimento del piombo da parte dei lavoratori e della popolazione è più utile il monitoraggio biologico, ricercando nei soggetti considerati a rischio i livelli di piombo nel sangue, le alterazioni biologiche precoci come la riduzione dell’enzima ALA-deidrasi e l’aumento di alcuni metaboliti dell’emoglobina come la Protoporfirina IX nel sangue, l’ALA e le Coproporfirine nelle urine, che consentono di scoprire un eccessivo assorbimento di piombo in fase ancora reversibile, prima che si manifestino danni clinici.

La piombemia indica la presenza di piombo nell’ambiente al momento dell’analisi, ma valori bassi non escludono esposizione precedente e quindi accumulo negli organi; per valutare ciò è più utile l’analisi dell’enzima ALA-deidrasi che comincia a ridursi per livelli tra 20 e 40 gamma, mentre tra 40 e 70 gamma aumentano la Protoporfirina IX, l’ALA urinario e le coproporfirine urinarie. L’ALA-deidrasi e la Protoporfirina IX possono permanere alterate anche per molto tempo dopo la cessazione dell’esposizione. Secondo il NIOSH il limite di accettabilità è pari a 60 gamma, mentre la CEE ammette fino a 70 gamma, mentre le donne in età fertile non dovrebbero svolgere mansioni che possano comportare livelli superiori a 40 gamma. In generale, il DPR 496 dell’82 considera accettabili i livelli di piombemia quando in un campione di almeno cento persone scelte su base volontaria tra i soggetti non esposti professionalmente, il 50% non supera i 20 gamma, il 90% i 30 gamma ed il 98% i 35 gamma.

Cadmio

Non ha un ruolo nello svolgimento dei processi biologici, tuttavia lo si ritrova anche in soggetti non esposti professionalmente in quanto può essere assorbito con gli alimenti o inalato con il fumo di sigaretta. Le principali vie di assorbimento sono quella respiratoria e quella digerente; la prima comporta un assorbimento del 10-40% del cadmio inalato, mentre attraverso la seconda meno del 10% del cadmio ingerito viene assorbito, con un incremento in caso di carenza di calcio e proteine. Il cadmio si lega ai globuli rossi e tende ad accumularsi nel fegato, nei reni e nelle ossa. L’eliminazione attraverso reni e tubo digerente è piuttosto lenta. L’esposizione cronica a dosi non molto elevate porta a malattie respiratorie (bronchite cronica, enfisema), lesioni renali, ipertensione arteriosa, alterazioni ossee quali osteoporosi e osteomalacia. In persone non esposte professionalmente la concentrazione media nel sangue è di 0,35 mg/100 ml. Nei soggetti esposti professionalmente si riscontrano livelli più elevati (riferimento 2 mg/ml, limite 10 mg/ml). Come per il piombo, il livello nel sangue corrisponde all’esposizione al momento dell’analisi ma non all’eventuale accumulo negli organi, che può invece essere misurato valutando l’escrezione di cadmio nelle urine.

La normativa italiana non prevede uno standard di qualità dell’aria per il cadmio. In Giappone il limite è di 0,88 mg/m3 e in Jugoslavia di 3 mg/m3 come media delle 24 ore. Per il suolo si può fare riferimento alla normativa olandese.

Fluoro

E’ un gas giallo- verdastro più pesante dell’aria, molto irritante, che in presenza di vapore acqueo si trasforma in acido fluoridrico, liquido incolore fortemente corrosivo. Di solito si trova sotto forma di fluoruri, sali poco reattivi.

L’assorbimento avviene per via respiratoria quando si tratta di gas o vapori, mentre i composti solidi, che si depositano al suolo e nei vegetali, vengono introdotti attraverso la catena alimentare. Si accumula come fluoruro di calcio nelle ossa e nei denti, e viene eliminato soprattutto attraverso i reni. Nei lavoratori si misura la concentrazione di fluoro nelle urine alla fine del turno (indice di esposizione, limite 7) e dopo due giorno (indice di accumulo, limite quattro). L’esposizione cronica a basse concentrazioni determina broncopneumopatie, anemia, alterazioni dei denti e delle ossa note come fluorosi cronica. Le stesse alterazioni si riscontrano nel bestiame allevato in prossimità degli impianti. Già 40 ppm di fluoruri nel foraggio determinano fluorosi cronica negli animali, 70 ppm sui vegetali sono notevolmente fitotossici.

Lo standard di qualità dell’aria del DPCM del 1983 prevede un limite di 20 mg/m3 come media di 24 ore e 10 mg/m3 come media mensile. Il valore limite per il contenuti di fluoruri nei vini è pari a 1,5 ppm (DPR 162 del ’65 e DM del dicembre 1967).

Alluminio

L’alluminio è presente nell’ambiente in notevole quantità (rappresenta circa l’8% della crosta terrestre) ma in forma generalmente indisponibile per le specie biologiche. Negli organismi viventi l’unico stato di ossidazione possibile è +3, ed in questo stato l’alluminio si trova in genere legato con l’ossigeno ma anche con l’azoto. Lo ione Al+3 presenta affinità per il fosfato inorganico (come ioni liberi) ed organico (in composti). L’alluminio è praticamente insolubile per pH compresi tra 6 e 8, in quanto ha un elevato effetto idrolizzante, ma l’incremento delle piogge acide ne favorisce la mobilizzazione, con conseguente aumento di concentrazione nelle acque e negli alimenti. Negli ultimi anni si sono evidenziati effetti patologici dell’accumulo di alluminio nell’organismo, in particolare per quanto riguarda soggetti uremici sottoposti a dialisi. In soggetti sani sembra che l’alluminio possa essere correlato con malattie come il morbo di Parkinson, la sclerosi amiotica laterale e la demenza senile di tipo Alzheimer. Pare accertato che piccole quantità depositate nel cervello siano sufficienti ad indurre patologie. In genere l’assorbimento per via intestinale è basso, ma può dipendere dalla forma in cui viene ingerito.

Nelle piante l’accumulo e la tossicità dell’alluminio sembrano essere funzione dell’acidità del terreno; nelle foglie e soprattutto nelle radici la presenza di alluminio può indurre variazioni nella concentrazione di altri ioni, sbilanciando i normali processi vitali delle piante.