ROMA TERMINI

 

Un bambino è nato oggi,

mentre il sole sorgeva

su una città grigia,

ancora addormentata

dal suono dei clacson,

dal fumo, dalle bottiglie di vino

e di birra, bevute e gettate

sul marciapiede.

Faceva freddo quel giorno

alla Stazione Termini, un vento di

tramontana spingeva una nuvola

di uccelli sui pochi alberi grigi.

I morti-viventi tendevano,

disperati ma rassegnati,

la mano ad uno stormo di

grigi impiegati che uscivano

dalla stazione della metro.

Anche il vento non è più

lo stesso, è più vuoto, più

grigio, più rancido, come

i capelli dei morti-viventi

che vanno a lavorare con il

cappuccino e il cornetto

nelle molli bocche sdentate.

Il dentifricio non è riuscito

ad uccidere il dolce/grigio

sapore della morte, traballante

su ventri dilatati, su scarpe

sformate da una vita vissuta

e sopravvissuta da naufraghi

nell’isola deserta del proprio io.

Eppure fiori sono nati copiosi

nel letamaio delle grigie aiuole,

ma sono fiori vuoti come

certi funghi, come le bottiglie

sopravvissute ad una notte vuota.

Eppure il cielo si è aperto, si

è illuminata la terra, è tremata

questa mattina sull’ospedale

dove prima di sera, forse,

qualcuno morrà.