Appendice
Si è molto parlato, negli ultimi tempi, di un uso eccessivo e
distorto del referendum di tipo abrogativo previsto dall'art. 75 della
nostra Costituzione.
Partendo dal presupposto di dover comunque accettare, almeno come stato
di fatto, tutto quanto operato dalla Corte Costituzionale in materia di
ammissibilità dei quesiti referendari, è quanto mai curioso
che si possa parlare di uso eccessivo: lo strumento c'è, è
regolamentato, per cui non si capisce, molto banalmente, per quale motivo
non si dovrebbe impiegarlo ampiamente.
Per quanto riguarda, invece, la netta impressione che se ne possa fare
un uso distorto, qui rientriamo in una categoria di giudizio che investe,
perlopiù, il campo della politica.
Al di là delle considerazioni di opportunità politica,
infatti, appaiono poco chiare tutte quelle critiche rivolte a considerare
illegittimo l'uso dello strumento referendario laddove si ritenga che attraverso
l'intreccio di vari quesiti abrogativi si possa riuscire ad intervenire
su delle materie rispetto alle quali, invece, logica vorrebbe che fossero
esaminate con un diverso procedimento e una più ponderata attenzione.
Ma non è certo colpa dei referendari se riguardo a tal punto
la Carta Costituzionale non risulta di chiara lettura. Piuttosto, nel caso
si ritenga che esistano dei limiti impliciti, al di là di quanto
previsto dall'art. 75, bene sarebbe riformulare in modo trasparente tutta
la materia.
Oltre che guadagnarne in chiarezza, si eviterebbe alla Corte Costituzionale
un'inutile sovraesposizione laddove, coerentemente con un'interpretazione
del diritto che va oltre quanto dichiarato dal semplice comma di un articolo,
questa potrebbe ritenere di dover giudicare come non ammissibili dei quesiti
referendari riguardanti delle materie non espressamente escluse.
Quest'attività interpretativa, infatti, che di fatto ha allargato
la sfera delle fattispecie per cui valgono i limiti previsti dall'art.
75, ha dato la stura a tutta una serie di considerazioni politiche riguardo
alla presunta assunzione, da parte della Consulta, di un ruolo attivo a
favore di questa o di quella parte politica.
D'altro canto, un'interpretazione alla lettura dell'art. 75, con la
quale si trascuri volutamente l'esame dei possibili effetti correlati che
con l'abrogazione di determinate norme si potrebbero venire a determinare,
aprirebbe in misura oltremodo pericolosa, per la certezza del diritto,
la strada all'ammissibilità di qualsiasi quesito referendario che
non si occupasse esplicitamente delle materie per le quali ne è
espressamente escluso il ricorso.
Ma non è in questa sede che si cercherà di chiarire la
vexata quaestio sui giudizi di ammissibilità della Corte Costituzionale,
ritenendo piuttosto più opportuno, nell'attuale fase di trasformazione
“politico istituzionale” del nostro Paese, mettere in luce tutti quei meccanismi
con i quali si è riusciti a trasformare, con pericolosa disinvoltura,
un'espressione di democrazia diretta in un'espressione di democrazia “eccessivamente”
delegata.
Tanto più che, per alcuni risultati referendari, i limiti tecnici
dello strumento fanno sì che per delle stesse materie la parola
non possa più tornare al popolo. Si pensi, ad esempio, a
cosa avverrebbe nel caso venisse abrogata la legge che regolamenta il divorzio:
da quel momento in poi, venuti meno tutti i riferimenti normativi, che
cosa potrebbero abrogare, i cittadini, per poter porre di nuovo mano alla
questione, e quindi cercare di ripristinare l'Istituto del Divorzio attraverso
l'uso del referendum?
È evidente che non potrebbero intervenire in alcun modo, e sarebbero
quindi costretti a doversi rivolgere per intero all'attività legislativa
del Parlamento. Insomma, in un primo momento la volontà dei cittadini
è competente a poter intervenire per modificare una determinata
materia; ma da quel momento in poi, nel caso si volesse rivedere quella
decisione nel senso opposto, ne viene di fatto esclusa qualsiasi competenza.
E ciò, in varia misura, è tanto più grave quanto più
questa esclusione potrebbe andare ad intervenire su materie, tipo quella
elettorale, per le quali sia lecito ritenere che la classe politica, divenuta
maggioranza parlamentare proprio grazie ad un determinato regime di regole,
non abbia alcun interesse al cambiamento.
Ma per non rimanere troppo in astratto, è forse più utile
ripercorrere alcune tappe della storia del referendum abrogativo in Italia,
nei risultati e nei comportamenti dei protagonisti che di questo strumento
hanno fatto la loro principale arma politica.
Uno dei casi più clamorosi di presunto tradimento del risultato referendario ci fu in occasione dell'abrogazione delle norme che delimitavano in pochi casi circoscritti la responsabilità civile dei giudici. Ben presto, infatti, il Parlamento approvò una nuova legge che, secondo la parte del Comitato promotore rappresentato dai radicali, altro non era che un ritorno camuffato alle norme abrogate, tanto da far ritenere a Mauro Mellini che ci fossero dei margini d'intervento giuridico tali da poterne decretare l'annullamento:
Paradossalmente, aveva in precedenza già risposto, al tipo di rilievo mosso da Mellini, proprio Marco Pannella:
Detto questo, è opinione diffusa e ben giustificata che, come
lamentato dai radicali, con la nuova legge sulla responsabilità
civile dei giudici si sia in gran parte tradita la volontà dei cittadini
che si espresse con la vittoria referendaria.
Ma allora, perché spaccare il capello in quattro proprio dalla
parte dei radicali?
Semplice: per questo tipo di giudizi, visti i limiti tecnico-giuridici
imposti all'attuale strumento referendario, per il fatto stesso di essere
soltanto di natura abrogativa, non esistono elementi sostanziali da poter
far valere, perché nell'ambito della fascia intermedia fra il Sì
ed il No c'è posto per tutte le possibili soluzioni; anche
per quelle soluzioni che, per assurdo, potrebbero trovarsi molto vicine,
nel merito, alle questioni di partenza che si sono volute abrogare.
In altre parole, l'espressione di democrazia diretta attuata con il
referendum abrogativo, laddove non raggiunga dei risultati normativi che
possano esplicitamente escludere qualsiasi possibile successiva attività
legislativa (del legislatore!), non può che rimanere esposta alle
più varie interpretazioni, limitandosi, di fatto, ad assolvere una
mera funzione d'indirizzo con riferimento al come risolvere determinati
problemi; se non, addirittura, a ridursi a mera proposta d'intervento per
alcune questioni.
Ma per meglio chiarire questo punto, è opportuno fare un accenno ad uno dei tanti referendum promossi dalla Lista Pannella: quello che riguardava la sanità e che per il quale la Corte Costituzionale ha sentenziato, nel gennaio del 1995, la non ammissibilità.
Anche in questo caso, non è tanto la questione giuridica che è interessante prendere in esame, ma quella squisitamente politica che si desume leggendo quanto sintetizzato direttamente dai proponenti:
Sotto un certo modo d'intendere la politica, infatti, i risultati referendari
tendono ad assumere, sempre più, la forma di un'attribuzione di
un mandato legislativo incondizionato; ed è quanto alcune forze
politiche, Pannella e il suo Movimento in testa, hanno cercato d'imporre
come metodo per la corretta interpretazione della volontà popolare.
Risulta illuminante, in tal senso, quanto dichiarato da Marco Pannella
in un'intervista al Giornale:
Risposta> “Dopo dovremo badare che non si facciano leggi truffa come accadde dopo il referendum sulla giustizia giusta, quando decidemmo a stragrande maggioranza di estendere la responsabilità civile ai magistrati, ma poi la legge Vassalli in pratica la negò. Sicuramente, sarebbe una legge truffa quella che pretendesse, come si è tentato nella Bicamerale con la proposta Mattarella, di creare un sistema maggioritario al sessanta per cento e proporzionale al quaranta per cento poiché questo sistema risulterebbe complessivamente proporzionale e quindi di piena protrazione dell'attuale regime”.
Domanda> Ma anche la vittoria del sì nel referendum del Senato ci darebbe una legge elettorale maggioritaria per tre quarti e proporzionale per un quarto.
Risposta> “È vero, ma è soltanto per ragioni tecniche, dovute alla configurazione dell'attuale legge elettorale del Senato che il referendum impugna. Ma il nostro indirizzo politico è tutto maggioritario. E quindi ci batteremo perché la nuova legge della Camera sia una legge interamente maggioritaria.” (Pannella Marco - AGORA': ARCHIVIO PARTITO RADICALE Nº 5215)
Come si può vedere dalla seconda risposta, Pannella prende finalmente
atto che esistono dei limiti tecnici – riferiti all'unica possibilità
che si ha per poter intervenire attraverso lo strumento referendario, che
può soltanto abrogare e nella sola misura concessa dalla legge che
va ad impugnare – che non permettono ai proponenti di poter esplicitare,
con un solo atto, tutte le loro reali intenzioni di modifica.
Per cui, anche in presenza di una legge elettorale perfetta, come nel
caso citato nell'articolo, frutto del risultato referendario, rimarrebbe
comunque il dubbio che i cittadini potrebbero aver desiderato altro, viste
le intenzioni di partenza dei proponenti.
Ma la presa d'atto non serve per far riflettere Pannella riguardo al
cosa fare per poter superare questa situazione d'incertezza; che so, proporre
delle modifiche all'art. 75 della Costituzione, al fine di cambiare la
natura del nostro Istituto referendario.
No, tutt'altro, la questione è già risolta: è
lui l'unico depositario della volontà dei cittadini, ed è
a lui che questi hanno di fatto dato mandato per concludere quello che
essi hanno potuto “soltanto iniziare”.
Se da un lato, infatti, Pannella si limita a dire:
-“il nostro indirizzo politico è tutto maggioritario. E quindi
ci batteremo perché la nuova legge della Camera sia una legge interamente
maggioritaria”; dando così l'impressione che ci si trovi di
fronte ad una nuova battaglia politica tutta da impostare; riferito anche
ad un consenso, riguardo ai temi portati avanti, ancora tutto da verificare.
Dall'altro lato, però, chiarisce già da subito che esiste
un cappello politico:
-”Dopo dovremo badare che non si facciano leggi truffa come accadde
dopo il referendum sulla giustizia giusta ... Sicuramente, sarebbe una
legge truffa quella che pretendesse, ecc. ecc.”
Insomma, il tutto appare in netta contraddizione con quanto lo stesso
Pannella aveva affermato anni prima e riportato all'inizio di questo lavoro:
improvvisamente, “il cartello dei proponenti viene inchiodato a presupporre
e ad assumere obiettivi”; insomma, per essere chiari, esiste “una tendenza
di diritto positivo”.
Peccato, però, che questa propositività la si riconosca
rappresentata soltanto da alcuni e non da altri; e come si ricorderà,
invece, i cartelli a favore e contro il referendum per la riforma elettorale
del Senato, avevano la caratteristica di tagliare trasversalmente le posizioni
di destra, sinistra e di centro, il tutto in una confusione d'ipotesi possibili.
Per cui, mai, come in quel caso, poteva esistere alcun mandato assegnato
dai cittadini per poter proseguire oltre l'effettivo risultato legislativo
raggiunto con la vittoria referendaria. Chiunque avesse cercato di trovarci
altri significati, che non fossero stati anche quelli degli altri, barava
sapendo di barare.
Quello che preoccupa, quindi, è proprio questo tentativo di
voler rendere incandescente il clima politico usando le espressioni di
democrazia diretta a proprio uso e consumo; trasformandole in specifiche
attribuzioni di mandati che vanno oltre l'effettiva volontà dei
cittadini che nelle specifiche occasioni può venirsi ad esprimere.
Conclusioni
In conclusione, se proprio si vuole portare avanti una battaglia politica
per far esprimere direttamente i cittadini su quello che realmente vogliono,
va sicuramente escluso un certo modo d'intendere il referendum di tipo
abrogativo, in quanto strumento imperfetto e in alcuni casi in piena contraddizione
con il principio della democrazia diretta del quale dovrebbe invece essere
una concreta espressione.
Da qui, il discorso dovrebbe potersi allargare verso una concezione
dell'intervento diretto dei cittadini che possa essere propositivo in maniera
chiara.
Certo, va dato ampio spazio alla meditazione, non affrettando i tempi
di decisioni che, spesse volte, sono motivate da particolari stati d'animo.
Si potrebbe anche, in tal senso, porre in stato concorrenziale l'attività
legislativa dei cittadini proponenti con quella del Parlamento, accettando
l'idea che si possano porre a giudizio più soluzioni per lo stesso
problema, come ad esempio già avviene in Svizzera per le modifiche
costituzionali d'iniziativa popolare.
E questo proprio per rendere difficoltoso il ricorso dell'Istituto
referendario per questioni demagogiche e con forti caratterizzazioni plebiscitarie.
Se soltanto pensiamo ad alcuni referendum votati negli ultimi anni, il
più delle volte vittoriosi perché potevano far leva sull'emotività
della gente, stufa di un sistema dei partiti che in un modo o nell'altro
andava punito, dovremmo renderci conto che in simili circostanze sarebbe
auspicabile poter avere l'opportunità d'innescare processi di riflessione
fondati anch'essi sulla possibilità di cambiare, innovare.
È assurdo che proprio coloro che da sempre si battono per mutare
il sistema, debbano ritrovarsi a difendere l'indifendibile soltanto perché,
di fronte ad una proposta demagogica di cambiamento, non c'è altro
modo d'opporsi criticamente se non sostenendo che per il momento “va
lasciato tutto così com'è”, dando così l'impressione
di voler cedere ai politici il monopolio dell'iniziativa politica.
Non dovrebbe essere allarmante e difficile concepire una consultazione
referendaria dove, oltre al decidere se lasciare tutto immutato, si possa
anche indicare un progetto di legge che, in alternativa alla vecchia legge,
si ritenga sia il più soddisfacente, potendo scegliere tra la proposta
legislativa dei cittadini e quella che, eventualmente, potrebbe essere
stata in alternativa prodotta dal Parlamento (idealmente due: una di maggioranza
ed una nella quale potrebbe ritrovarsi la minoranza). E nel caso di una
vittoria dei Sì all'abrogazione della vecchia normativa, non si
dovrebbe far altro che varare il progetto di legge maggiormente votato.
Un sistema senza trucchi, dove sarebbero chiare le intenzioni di tutti,
e dove non ci sarebbe più ampio spazio per dei successivi aggiustamenti
che facessero riferimento a delle improbabili e corrette interpretazioni
della volontà popolare.
Non si dimentichi, inoltre, che così verrebbe superato anche
il limite tecnico messo in evidenza nella prima parte di questo lavoro,
che di fatto divide i cittadini in due categorie: quelli di serie A,
che possono chiedere di far esprimere la volontà popolare riguardo
ad una determinata materia; e quelli di serie B, per i quali, invece,
sempre sulla stessa materia, questa possibilità potrebbe risultare
preclusa a seguito dell'intervenuta mancanza di riferimenti normativi sui
quali poter far agire l'unico strumento immediato di democrazia diretta
di cui possono disporre: il referendum abrogativo.