I miti pagani abruzzesi:
miti pagani, superstizioni e figure magiche della memoria popolare.
L’intero Abruzzo è ricordato per la viva presenza di maghi, streghe e fattucchieri alle prese con filtri magici, formule e libri di incantamenti, reminiscenze delle antiche costumanze pagane.
Gli antichi pastori abruzzesi che scendevano nelle Puglie a svernare erano chiamati magiari poiché si dedicavano alle arti magiche.
I fusari di Pretoro, abbassando l’orecchio a terra, riuscivano ad udire ciò che avveniva lontano e per questo erano chiamati indovini.
A Sulmona, maghi e streghe si davano appuntamento durante la vigilia di San Giovanni, sulla Maiella e sul Monte Morrone. Durante l’oscura tregenda, essi erano impegnati a cercare la mandragora dalla forma umana, erbe da usare per misteriosi filtri e lucertole a due code forse memoria distorta degli antichi culti legati al serpente.
Pietro Barliario, astrologo e negromante salernitano del XII sec. la cui esistenza è ormai accertata storicamente, diviene il protagonista indiscusso di un cospicuo ciclo leggendario abruzzese, insieme a Madama Angiolina, maga del Lago di Scanno.
Pietro, conosciuto dal popolo abruzzese con il nome di Baialardo, è ricordato come un potente mago che agisce con l’aiuto del libro del comando, consacrato al diavolo. La struttura dei racconti che lo vedono protagonista, appare similare in ogni parte della regione ma si arricchisce di sempre nuovi elementi che caratterizzano localmente ogni versione.
Si narra che nonostante la sua potenza, Pietro era sovente vittima di inganni femminili.
Angiolina, dopo averlo attratto a se con le sue potenti arti di maga, lo costrinse a rimanere sospeso fra cielo e terra. Pietro, allora, chiamò il nipote per farsi portare il libro del comando ma il ragazzo, non resistendo alla tentazione, ne sfogliò alcune pagine e d’accordo con i demoni fece costruire in una notte una strada che collegava Roma ad Ascoli Piceno. Nel frattempo il libro fu restituito a Pietro che, convocati a se i diavoli, si avvide che nessuno arrivava. Finalmente apparve un diavolo ormai esausto a cui Pietro ordinò di essere rimesso in terra. “Anche questa fatica dopo quella della strada che ci ha occupati stanotte?” gli rispose stremato l’essere infernale ma di fronte ai rimproveri di Pietro, dovette eseguire il comando.
Chi era, invece, la misteriosa abitatrice del Lago di Scanno che con la sua arte di ammaliatrice riusciva a soggiogare un mago scaltro come Pietro?
Angiolina era una potente dama, più simile ai personaggi che, negli antichi romanzi bretoni, abitavano palazzi sontuosi posti al centro di un lago o al di sotto delle sua placida superficie che alle silfidi creature che popolavano fiumi e sorgenti, sciogliendosi nella liquida fluidità delle acque secondo l’iconografia leggendaria.
Angiolina viveva in una rocca inaccessibile posta al centro del lago e come Pietro si dedicava all’arte magica per mezzo del mitico libro del comando. Era intenta a guerreggiare contro le schiere di Carlo Magno o contro maghi suoi rivali e scagliava dal cielo fulmini infuocati.
Da sempre laghi e stagni furono dimora di spiriti naturali, sirene, geni o demoni profetici e a volte pericolosi. Angiolina, forse antica personificazione di un essere delle acque, ha assunto i connotati della maga incantatrice tramite la diffusione di poemi cavallereschi tra i pastori scannesi come l’Antifor di Berosia, un poemetto in ottave forse del 1400. Vi si narrano le avventure di Corburante, re di Corpia, della sorella Angiolina dedita all’arte magica e del tentato rapimento della bella Alda, moglie di Orlando che si conclude con la morte di Corburante e lo sprofondamento della rocca in cui viveva Angiolina.
Abbiamo nominato Orlando, Carlo Magno e le avventure guerresche di Angiolina, signora delle leggende scannesi: la magica terra dell’Abruzzo diviene il terreno ideale per la diffusione delle leggende sui Paladini. Numerosi popoli discesero durante il Medioevo in Italia. Invasioni germaniche, franche, saracene e normanne si alternarono nel corso degli anni. Chieti fu assediata da Pipino nell’801 e tutto l’Abruzzo subì la dominazione franca. Le glorie delle battaglie e gli anni della dominazione diedero spunto alla creazione di leggende sui paladini delle cui gesta la toponomastica locale è imbevuta.
Carlo Magno era soprannominata una località nei pressi di Montepagano in provincia dell’Aquila, Peschio d’Orlando una grotta della Marsica nei pressi di Petrella Liri e Coppa d’Orlando è una località sita nel territorio dell’antico monastero benedettino di San Liberatore a Maiella, a Serramonacesca, in provincia di Chieti. Della badia di San Liberatore, la leggenda narra che fu costruita da Carlo Magno per ringraziare il Signore per aver conseguito una vittoria contro un re pagano. All’interno della Chiesa restaurata negli anni settanta, è ancora possibile osservare affreschi che rappresentano San Benedetto in cattedra, Carlo Magno e Bobaco Olivesi con in mano carte di donazione. Nei pressi della badia è inoltre conosciuta una località con il nome di Piana dei Paladini.
L’Abruzzo presenta un ricco patrimonio di fiabe e leggende, storie di draghi, orchi, principesse, animali magici che gli anziani amavano raccontare nelle lunghe serate invernali, trascorse davanti alle calde e crepitanti fiamme del focolare.
Tesori incantati si nascondono negli oscuri meandri di grotte e caverne tempestando il suolo abruzzese di ricchezze che i più temerari cercavano di conquistare. Li dove sorgevano antiche rovine, la fantasia popolare ha immaginato che monete d’oro e diamanti fossero nascosti dalla brulla terra. E se dal sottosuolo nasce la vita, se dal mondo infero sgorga l’acqua che disseta, se dalla terra germogliano radici e piante, come non immaginare che altri tipi di tesori si possano nascondere negli ipogei terrestri rendendo felice il fortunato scopritore?
Un genio infero ossia un abitante del mondo sotterraneo, una fata vestita di bianco, oscuri frati o rospi dalle sembianze infernali solitamente custodiscono un tesoro rendendo difficile se non impossibile, impossessarsene.
Dove è sotterrato un tesoro, spesso una persona è stata uccisa e la sua anima priva di pace, continua a vagare lì intorno, finché con sacrifici espiatori come ad esempio l’uccisione di un’altra vita o con particolari rituali magici, il cavatesori si impossessa delle ricchezze.
Narra la leggenda che nei pressi di Corvara, nella grotta del Cristiano, vi sia nascosto un tesoro custodito da uno spirito vestito di nero con un libro in mano. Ai tre uomini che andarono a prenderlo, lo spirito disse: “ Vedete ma non toccate!” E poi aggiunse che per prendere il tesoro bisognava sacrificare un’anima piccola, piccola!
Allora i tre avventurieri decidono di tornare portando allo spirito un gatto ben fasciato come se si trattasse di un neonato. Depongono la piccola creatura ai piedi dello spirito e dopo aver preso in tutta fretta quanto più denaro potevano, se la danno a gambe. Ma il gatto scivola via e lo spirito si accorge della burla. Infuriato corre dietro ai tre che non avevano ancora superato il capocroce (se l’avessero sorpassato, sarebbero stati salvi), e dopo averli tempestati con una grandine di pietre, si riprende tutto l’oro.
Altre fantastiche creature del folclore locale possono diventare dispensatrici di ricchezze.
I mazzamarielli, folletti abruzzesi, offrono un tesoro a chi ruba il magico berrettino rosso che sono soliti portare sul capo durante le loro incursioni tra gli umani tanto che i bambini di un tempo ripetevano “ Mazzemarielle, cumplì cumplì/ Dacci ‘na soma de quatrì” quando giocavano a scavare i tesori. Del resto già l’impero romano conosceva il culto del genius cucullatus ( cucullus indica appunto il cappuccio), un adolescente rappresentato con un berretto sul capo, conosciuto anche con il nome di Telesphorus e Petronio nel Satyricon parla degli Incubones, geni dal cappuccio magico che rendono ricco colui che riesce a rubargli il cappello (…quam Incuboni pilleum rapuissent, et thesaurum invenit, Petronio, Satyricon). Geni erano per i romani dei protettori di natura benigna ma poiché la vita è varia, essi potevano essere volubili e dispettosi.
Il mazzamariello, da alcuni considerato una sorta di diavolo con sembianze di fanciullo, da altri una progenie a se che ama frequentare ruderi e boschi, può dunque diventare anche il simpatico ma talvolta dispettoso spiritello che protegge la casa di cui diviene ospite.
La tradizione locale racconta di vere e proprie infestazioni di folletti che amavano entrare dalla cappa del camino, zona liminare tra cielo e terra e frequente luogo di ritrovo del piccolo popolo o rifugiarsi negli angoli più bui della casa da cui uscivano a fare rumori per disturbare i dormienti, ad intrecciare le criniere dei cavalli ma anche a compiere qualche faccenda casalinga. Una volta che il mazzamariello si faceva adottare da una famiglia, diventava difficilissimo sbarazzarsene a meno di usare rimedi quali lo spargimento di acqua benedetta, scongiuri di vario tipo o l’utilizzo del ferro con una chiara valenza apotropaica.
In Abruzzo il termine mazzamariello è anche associato ai turbini di vento di cui sono creatori e abitatori. Risale ai tempi più antichi la credenza che i demoni fossero responsabili del tempo.
La distruzione di un raccolto, la siccità, una violenta tempesta o una qualsiasi catastrofe naturale trovava la sua spiegazione nel trascendente e nel divino: ciò rendeva in qualche modo sopportabile
la sofferenza che con scongiuri e formule magiche poteva essere allontanata.
A San Pelino si credeva che fojjìtti (folletti) erano quegli spiriti che dopo la ribellione degli angeli, non furono scaraventati all’inferno ma costretti a vivere in una dimensione sospesa fra cielo e terra.
Il termine mazzamariello deriva probabilmente da un rifacimento sullo spagnolo ‘matamoros’ nel senso di ‘smargiasso’ o secondo altre teorie da ‘mazzare’ e ‘mara’ che il tedesco attesta come ‘incubo’.
Incubi sono quegli esseri che si manifestano la notte, durante l’ora del sonno e sotto forma di peso sul petto, si divertono a togliere il respiro ai dormienti.
‘Incubo’ deriva dal latino ‘incubare’ cioè ‘giacere sopra’: i romani credevano nell’esistenza degli incubi, personificazioni di sogni angosciosi che ritenevano provocati da un vero e proprio contatto, anche sessuale, con un essere demoniaco.
In Abruzzo è la pandafeche a togliere il respiro ai dormienti aggirandosi nelle notti di luna scura a terrorizzare, simile ad uno spettro, i superstiziosi. C’è chi credeva che essa avesse un sesso e per afferrarla bisognava prenderla per i capelli o ferirla facendo in modo che perdesse almeno nove gocce di sangue.
Divinità agresti, fate, elfi, folletti …da attori indiscussi del mondo contadino, pastorale e marinaro, delle serate attorno al caminetto e delle passeggiate tra boschi e antiche rovine, sono ormai relegati a personaggi di un mondo fantastico che sopravvive nella sola memoria degli anziani. Ma non manca chi ancora oggi, nelle notti di luna scura, durante il sonno viene aggredito da un oscuro e indefinito essere che si diverte a togliergli il respiro, spaventandolo con tetri sogni per poi allontanarsi come un’ ombra diafana e terrifica.