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CHITARRE - settembre 1996 - pag. 46

PROFESSIONE CHITARRISTA

di Valentina Lo Surdo 

"Ogni volta che vado giù e alla domanda... che lavoro fai?... rispondo: il chitarrista, mi accorgo che nessuno mi crede, che nessuno capisce che fare il chitarrista può essere una professione. D'altronde mio padre, come ogni buon padre, avrebbe preferito che io facessi un mestiere... sicuro. A volte minacciava di spaccarmi la chitarra in testa, ma poi non l'ha fatto, cosi eccomi qui". Rocco Zifarelli, sorriso aperto e sguardo mediterraneo, parta della terra in cui e nato - La provincia di Bari - con affetto, ironia e un pizzico di nostalgia. Adesso vive a Roma, ma giù scende molto spesso. Perché lì ci sono le sue radici, di uomo e di chitarrista.

Allora Rocco, com'è cominciata la tua avventura musicale?
"La prima volta che ho imbracciato una chitarra avevo dieci anni. Frequentavo una famiglia di musicisti diplomati al Conservatorio e per me era il massimo. A dire il vero quando avevo otto anni mia madre, aspirante cantante, mi fece prendere lezioni di piano ..." 

Un classico!
"Già ma il mio interesse era zero... comunque il '77, avevo appunto dieci anni, fu l'anno della svolta. Perché conobbi i Beatles. Comprai in ordine cronologico tutti i loro dischi e crebbi insieme a loro. Poi passai ad un'adorazione più specifica: George Harrison. Dopo Just One Night di Clapton e soprattutto Duane Allman con il Live at Fillmore East ..." Un suono pazzesco... "Sì, mi sconvolse. Mi fissai sul blues-rock. Johnny Winter, B.B. King, Jeff Beck, fino ai Led Zeppelin. Avevo un paio di amici che mi addentrarono nel campo. Uno abitava a Milano, che per me era un mito, fino a quando non ci andai a vivere ..." 

E poi?
"Poi quando ti abitui al suono rock senti l'esigenza di andare un po' oltre. Finché non ascoltai Mike Stern con Miles Davis in"Fat Time". Poi Pat Metheny mi piacque talmente che fu la mia rovina, perché lo imitavo troppo. In effetti bisogna capire lo spirito d'un musicista, non imitarlo." 

Un percorso tutto da autodidatta?
"Sì, ma ho fatto molti seminari. Ricordo in particolare quello nell'85 con John Scofield. Non ci capivo niente, ma la situazione era troppo bella, con tutti quei chitarristi ... inoltre ho sempre suonato - m'è mancata solo la classica - e ascoltato di tutto. Penso che i grandi bisogna ascoltarli a prescindere dal gusto personale. Ad esempio io non amo Al di Meola, ma riconosco che è un maestro... preferisco Burrell, Benson, Montgomery."

Quando hai deciso di emigrare a Milano?
"Avevo vent'anni. Ma fu una delusione. Perché cercavo la dimensione intima del locale, più che la platea enorme da star system. Infatti dopo appena sei mesi partii per Roma. E cominciai a fare sul serio." 

Perché?
"Perché conobbi un sacco di musicisti bravissimi. Stefano Di Battista, i fratelli Iodice, Walter Martino, Agostino Marangolo... poi nell'89 sono entrato nella band di Gegè Tetesforo. Comunque giù' le mie due tournee con Mimmo Cavallo me le ero fatte... ma Roma è tutta un'altra cosa: si possono organizzare delle jam session con gente fortissima, esperienze che ti svezzano in maniera diretta."

E una puntatina negli USA?
"L'ho fatta nel '93. Fu uno shock: così tanti stimoli, così tanti musicisti che non sapevi dove mettere le mani."

Il tuo curriculum fa paura: I premio al concorso"Eddie Lang", due partecipazioni ad Umbria Jazz con Francesco Santucci, posto stabile nella band di Tony Scott, partecipazioni su RAI Radio Uno, numerose trasmissioni televisive tra cui D.O.C. di Arbore, membro dell'orchestra RAI per 'Mille Lire al Mese' di Baudo, innumerevoli collaborazioni discografiche fra cui Minghi, Anonimo Italiano, Giovanni Imparato, registrazioni di colonne sonore, tour con Paolo Belli, stabile nella band di Drupi, leader e co-leader di svariate formazioni di rock, funk, jazz, fusion, etnica, ecc.; intensa attività di turnista, concertista e compositore, membro del recente progetto Xenia, un disco a tuo nome in arrivo, docente di chitarra alla Saint Louis Music Academy, alla scuola di musica Synthesia, collaboratore di 'Axe', dimostratore ufficiale della Yamaha... e mi fermo qui perché l'elenco sarebbe ancora lungo. Ma come fai a fare tutte queste cose?

"Spesso mi dicono che riesco a... collocarmi. Ma questo non è un problema mio, è un problema di chi mi giudica. E a me non interessano le critiche poco costruttive. Perché in fondo io sono così, semplicemente perché sono appassionato di tutta la bella musica. Dal metal - adoro Steve Vai, il 'tiro' e líenciclopedia della musica rock - alla leggera. Da Allan Holdsworth - il chitarrista più innovativo degli ultimi anni, un caposcuola che rischia di stancare con tutte quelle note, ma poi se rallenti i suoi soli ti accorgi che hanno un senso melodico pazzesco - a David Gilmour. Sino alla musica dei popoli ..." 

"... nel rispetto di tutte le civiltà del mondo", come sottolineato in Terre - e non Terra, che sarebbe stato diverso - il cd degli Xenia...
"Esattamente. Per questo in Terre suono líoud, strumento mediorientale per eccellenza. Ecco perché le percussioni etniche di Imparato, le suggestioni naturali dei fiati di McCandless ..."

Öe il mandolino di Zifarelli!
"Già. Ho deciso di suonare il mandolino perché è uno strumento profondamente mediterraneo. Come il nostro popolo."

Che valore ha"Terre"nel tuo percorso musicale?
"Prima di tutto"Terre"non è il mio disco, ma il nostro disco. É un disco di musica e non di musicisti. Siamo un quintetto di amici veri, affiatati nell'idea di fare musica con il criterio dell'identità di suono. In secondo luogo non è un punto di arrivo, ma la focalizzazione del nostro lavoro di gruppo. Per quanto mi riguarda è stata una ricerca sulla qualità del mio suono."

L'hai trovato il 'tuo' suono?
"Finalmente, si. Sono sempre stato un maniaco del suono. Mi avvalgo di validissimi liutai, primo fra tutti Fabio Cotta. Per la parte elettronica invece faccio tutto da solo."

Che caratteristiche ha il tuo suono ideale?
"Deve essere compresso, ma capace di allargarsi, di espandersi quando la melodia chiede di respirare. Quindi anche un sustain abbondante, ma non impastato. Il suono ideale mi permette di arrivare in alto solisticamente, ma al tempo stesso di lavorare molto armonicamente. Prendo spunto dagli strumenti a fiato: suono con poco attacco, ma molto lungo e morbido."

Qual è il genere musicale che ti esprime di più?
"Non ce n'è uno. Perché ciò che mi esprime è il suono, in genere. Così suonare bene il rock è impegnativo come il jazz ... perchè nel rock in pochissime battute devi esprimere tutto. Deve essere un cazzotto, bam! Subito pronto col suono in tiro; mentre il jazz parte piano ..."

Öil chitarrista preferito?
"Scott Henderson. Ha un modo di inserirsi nel discorso musicale unico. Ma devo stare attento, sennò finisco per imitare anche lui Ö.."

I tuoi segreti tecnici.
"M'è sempre piaciuto sia il mondo acustico che quello elettrico. Da Cotta mi son fatto costruire una chitarra che rispecchia molto il mio modo di suonare. legno morbido sotto, líontano, e top in acero. Tastiera ventiquattro tasti con ponte Wilkinson."

Amplificazione.
"Mi piacciono molto i suoni in diretta. Infatti ho un Marshall del '68! 
Dal vivo uso un sistema molto particolare per il guitar synth e líacustica che altrimenti non verrebbero resi dall'ampli, tagliato per le frequenze della chitarra elettrica. É un impianto che mi permette di avere le stesse prestazioni di un sistema d'amplificazione per chitarra microfonata. Il segnate della chitarra entra dentro il Rocktron 'Patch Mateí, un sistema che sceglie dove deve andare il segnate della chitarra, controllato con la pedaliera Rocktron 'All Access'. All'interno è collegato a tre preamplificatori valvolari: un ADA MP1, un BBE 411, un Digitech GSP2101. Il primo per il suono della chitarra; il secondo per i suoni acustici; il terzo è anche multieffetto. Di volta in volta, via MIDI, scelgo con quale di essi deve lavorare la chitarra. Nel 'Patch Mate' è inoltre inserito il finale del Boogie ëStudio 22': messo alla fine dei preamp mi dà il colore di un amplificatore vero e proprio. Poi il segnale entra dentro la Redbox, un simutatore di cassa, da cui arriva al mixer Akai MB76 dove sono inseriti gli effetti ed il synth Roland GR1. Infine il tutto passa dentro l'equalizzatore Alesis MEQ230 ed esce da due casse a due vie."

Un sistema molto personalizzatoÖ
"In effetti è abbastanza mio. Nella testata MesaBoogie uso il preamp per i suoni puliti e il finale per dare il colore del suono, creando un impianto che mi permette di sentire il segnale identico dalle casse e dalle spie."

Altri colpi di genio?
"Sto sperimentando un sistema di ëtrifoniaí dove L'amplificatore della chitarra è centrale, mentre dalle due casse laterali a due vie con tweeter escono solo gli effetti e il suono delle chitarre acustiche. In questo modo il suono dell'ampli è sempre presente, senza alcun tipo di perdita. E praticamente un sistema con qualità da studio."

E il synth?
"Molti usano la chitarra elettrica coi suoi effetti e il synth, magari senza effetti, collegato in diretta all'impianto. Così, nell'insieme senti due suoni completamente separati. A me, invece, piace miscelare il suono synth, con i suono della chitarra su un sistema unico, che ti permetta di utilizzare gli effetti della chitarra anche sul synth. Il risultato globale è un suono unico, che può diventare anche abbastanza originale ..."

Le corde?
"Quelle che uso sono 'made in Itaty', le Sira."

Tecniche particolari...
"Ogni tanto il bottleneck. Non mi sento molto vicino al tapping perché tenendo le unghie lunghe non l'ho potuto approfondire come avrei voluto. Mi piace molto l'uso del legato per un discorso melodico di fluidità. Per quanto riguarda il fraseggio, sto studiando molto quello del piano e del sax."

Chitarre?
"Ne ho tante. Quelle con cui lavoro di più sono la chitarra elettrica costruita da Cotta, una Stratocaster del '65 per la musica leggera, una Gibson semi-acustica del '65, la fretless usata anche in"Terre"e la Seagull acustica con sistema di preamplificazione Baggs che, oltre il pick-up, ha un microfono interno, per evitare il tipico suono gommoso da pick-up."

Una parolina la merita anche la 'Via Veneto Jazz'...
"Il produttore, Biagio Pagano, è veramente una persona fuori dal comune. É una specie di mecenate appassionato di jazz, che investe gli introiti ottenuti dalla produzione di musica leggera nella promozione della scena jazzistica, stimolando anche le collaborazioni con personaggi stranieri come Paul McCandless per"Terre". Non ci sembra ancora vero di aver incontrato una persona del genere... l'ultimo pensiero va, però, al grandissimo clarinettista Tony Scott, con cui suono da cinque, sei anni. Lui per me è"il"maestro e mi ha insegnato per prima cosa che non sono un chitarrista di jazz, ma di tutta la musica ..."

 

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