GUITAR CLUB - febbraio 1999
ROCCO ZIFARELLI ALLA CORTE DEL
JAZZ
di Maurizio De Paola
La poliedricità è
una virtù che non fa difetto a Rocco Zifarelli, ultimo (si spera
solo in ordine di tempo) esponente di un modo di fare musica che non si
pone limiti stilistici o compositivi ma cerca di esplorare tutte le infinite
possibilità timbriche e armoniche offerte dal proprio strumento.
In effetti, in tempi di super-specializzazione come questi, trovare un
musicista che abbia ancora líumiltà di riconoscere come fondamentale
il lavoro svolto in una grande orchestra come quella della RAI - dove di
certo non sono tantissimi i margini di autonomia compositiva - può
risultare una piacevole eccezione. Ma Zifarelli è uníartista del
tutto particolare, epigono di una cultura musicale insofferente di limiti
e barriere e in più dotato di una curiosità immensa che gli
fa affrontare il suo lavoro di chitarrista con un piglio orchestrale sempre
ben presente e marcato, come se la musica fosse nullíaltro che una gigantesca
jam-session in cui quanta più gente partecipa meglio è. E
proprio questa sua voglia di spaziare in campi diversi, unita ovviamente
alle sue indiscusse doti tecniche, che gli ha consentito di lavorare con
alcuni dei nomi più prestigiosi del jazz mondiale (e non solo jazz)
sino ad approdare alla corte di Ennio Morricone, con cui ha realizzato
di recente la colonna sonora dellíultimo film di Giuseppe Tornatore, ìLa
Leggenda Del Pianista SullíOceanoî, dopo anni di collaborazioni, oltre
che con líOrchestra della RAI, anche con musicisti del calibro di Tony
Scott con cui suona stabilmente dal í91.
La sua carriera musicale
inzia dopo il suo trasferimento da Bari a Roma e dopo essere andato in
tour con il cantautore Mimmo Cavallo. Nella città capitolina conosce
Gegè Telesforo a cui si aggrega per un tour estivo. Da quel momento
il suo nome comincia a circolare nel giro dela jazz nostrano e lui ne approfitta
per parteipare a seminari con John Scofield, Scott Henderson, Pat Metheney
e Steve Vai fino ad approdare al gruppo di Francesco Santucci con cui partecipa
nel í91 e nel í92 a Umbria Jazz e vincendo il primo premio del concorso
Eddie Lang per Giovani Chitarristi di Jazz. Qui conosce il clarinettista
Tony Scott che lo arruola in pianta stabile nella sua formazione. Ma la
sua irrequietezza artistica lo porta un poí dappertutto, lasciando il suo
nome nelle produzioni di una pletora di musicisti come Amedeo Minghi, Drupi,
Paolo Belli, Pippo Matino Jazz Studio Orchestra, Anonimo Italiano (quelli
accusatio di essere di cloni di Claudio Baglioni) etc... e prtecipando
anche al programma di Renzo Arbore D.O.C.
Nel 1996 il Maestro Gianni
Ferrio lo contatta per suonare nellíOrchestra della RAI in occasione del
programma ìMille Lire Al Meseî (tragicamente condotto da Pippo Baudo) e
tale collaborazione si rivela a tal punto fruttuosa che Zifarelli viene
chiamato anche per il ìFantasticoî del í97 e per gli spettacoli teatrali
ìLíUomo Che Inventò La Televisioneî (sempre con Pippo Baudo) e ìUn
Paio díAliî, sino allíapprodo più importante, cioè quello
nellíOrchestra di Ennio Morricone, di cui è oramai membro fisso
e con cui ha lavorato alla stesura, oltre che della colonna sonora del
film di Tornatore, anche di quella del prossimo film con Robin William,
dal titolo ìDreamî.
Questo suo vasto campionario
di esperienze lo ha certamente portato a considerare la versatilità
una delle doti di maggior pregio per un musicista, insieme ad un lavoro
costante di ricerca sonora, attraverso la combinazione di tecnologia e
spirito jazzistico. E in effetti, si nota dallíascolto del suo disco solista
ìLyndonî, quanto a Zifarelli piaccia la sublime arte dellíimprovvisazione
e dello strappo alle convenzioni. Lo abbiamo incontrato a Milano,in occasione
della presentazione dellíalbum.
(GUITAR CLUB) Partiamo
dagli inizi: come hai cominciato? Dato che sei nato e cresciuto a Bari,
cosa ci puoi dire della scena musicale nella tua città?
(ROCCO ZIFARELLI) Beh,
ci sono dei musicisti veramente in gamba come Nico Stufano, un chitarrista,
ma il grosso problema e che non cíè molto ricambio. Eí più
o meno quello che avviene in tutti i posti piccoli, per questo credo che
bisogna uscire. Io lího fatto dieci anni fa e ne sono felice. ora mi sento
addirittura un poí stanco dellíItalia. Ho fatto un viaggio in Europa due
anni fa dove ho avuto líopportunità di suonare moltissimo, come
del resto in America, dove veramente ho potuto accumulare uníesperienza
importantissima..
(G.C.) Beh, anche líItalia
sembra che ti abbia dato grosse soddisfazioni. Negli Stati Uniti, del resto,
ci invidiano Umbria Jazz...
(R.Z.) Se è per
questo, allíestero, ci invidiano anche tante altre cose. Ma per me, líimportante
è il ricambio, líavere la possibilità di conoscere persone
nuove, musica nuova ed avere esperienze nuove. Anche stesso in Italia,
questo ricambio manca. Volente o nolente, a Firenze esiste una specie di
muro invisibile che divide il nostro paese. Ci sono musicisti del Centro
e del Sud che non hanno mai suonato al Nord e viceversa ; artisti conosciuti
e stimati solo in una parte díItalia che, però, non hanno mai valicato
questo famoso muro e non hanno la possibilità di farsi conoscere
altrove. In ambito jazzistico, ci sono musicisti di Milano come Walter
Calloni, con cui ho suonato qualche tempo fa in un festival allíIsola díElba,
che suonano abitualmente in Svizzera e in Germania oltre che nel Nord Italia
e che, invece, non sono mai stati a Roma, tanto per fare un esempio.
(G.C.) Da cosa dipende,
secondo te?
(R.Z.) Eí principalmente
un problema di spese. Andare da Roma a Milano costa più che andare
in Svizzera. Ma, in ogni caso, mancano anche gli organizzatori che sappiano
gestire cose di questo genere.
(G.C.) In Italia cíè
un pubblico adeguantamente numeroso per sostenere una scena competitiva
?
(R.Z.) Sicuro. In Italia
ci sono molte persone competenti e appassionate ma che sono state educate
molto male, soprattutto negli ultimi anni. La gente non è stupida.
Capisce. E quando gli vengono proposti artisti ìscarsiî, artisti che dal
palco non comunicano nessuna emozione, il pubblico comincia a disinteressarsi
e non si fida più dei nomi nuovi. Reagisce semplicemente non andando
a vedere i concerti.
(G.C.) Puoi fare qualche
nome di artista scarso proposto di recente ?
(R.Z.) No, preferisco di
no. Sono in tanti ma queste sono cose che cerco di rimuovere dalla mente.
(G.C.) Oltretutto, il
biglietto dei concerti costa sempre di più...
(R.Z.) Si, è vero
ma è un discorso troppo lungo e difficile. Può darsi che
si tratti anche di una questione politica... però è meglio
fermarsi qui perché, per la mia esperienza, ti posso dire che allíestero
i concerti costano anche più che in Italia. Anche nei clubs si paga
il biglietto díingresso mentre in Italia, in genere, te la cavi con una
tessera quasi sempre alla portata di tutte le tasche. Ho visto Jeff Beck
in concerto con sole 27.000 lire, anche se era una tipica situazione ìestivaî.
In molti casi, non credo che líartista abbia colpa dellíelevato costo del
biglietto, a parte eccezioni come Keith Jarret alla Scala di Milano ma
Jarret è uno che si fa pagare bene e poi il teatro classico comporta
sempre dei costi più elevati.
(G.C.) Cosa pensi di
Keith Jarret ?
(R.Z.) Mah, sicuramente
è stato il pianista più influente e importante negli ultimi
trentíanni, soprattutto per le cose fatte con il trio. Un maestro indiscusso.
(G.C.) Pensi che il
jazz degli ultimi ventíanni sia meglio rappresentato da lui o da un Chick
Korea o da un Herbie Hancock ?
(R.Z.) Sono modi diversi
di vedere il jazz che trovano la loro natura in un fatto fondamentale :
Hancock è nero. Possiamo negarlo finchè vuoi ma i neri, relativamente
al jazz, hanno qualcosa in più, qualcosa di particolare che i bianchi
non hanno e non riusciranno ad avere mai. Spesso apprezzi i musicisti bianchi
per il loro lavoro di ricerca musicale ma se oggi vuoi ascotare vero jazz
nello spirito dei Coltrane e dei Parker devi rivolgerti a musicisti neri
come i fratelli Marsalis, che io adoro e che credo abbiano realmente portato
líanima del vero suona jazz primordiale nel duemila.
(G.C.) Cambiando argomento,
cosa ne pensi dellíabbondanza di uscite discografiche di chitarra finger-stylenegli
ultimi tempi ?
(R.Z.) Eí uno stile a cui
mi sono avvicinato da poco. Fu un fenomeno che cominciò negli anni
settanta con autori cone Steve Grossman ma, ad essere sincero, non conosco
molto la scena per dare un guidizio obiettivo. Qualíè il tuo parere
?
(G.C.) Beh, molta noia
e qualche stella brillante come Pierre Bensusan...
(R.Z.) Bensusan lo conosco
bene ed è veramente un chitarrista eccezionale, un vero genio, capace
di non annoiarti mai. Il migliore, comunque, è stato sicuramente
Michael Hedges che, a mio avviso, ha portato la chitarra acustica su un
altro mondo.
(G.C.) Parlaci un poí
della tua formazione musicale.
(R.Z.) Beh, tieni conto
che io, fino ai ventíanni, ho vissuto in provincia di Bari e, praticamente,
passavo ore e ore alla radio ad ascoltare tutto ciò che passavano
le stazioni della mia zona, in cerca di qualcosa più chitarristica
delle altre. Anche gli AC/DC andavano bene. Poi, ci fu un mio amico di
Milano che mi fece conoscere Mike Stern e Marcus Miller. Lui era pure fissato
con i Led Zeppelin, i Weather Report e tramite lui, ho conosciuto tutta
la musica che ho amato e soprattutto Pat Metheney che per me fu una scoperta
incredibile.
(G.C.) Il chitarrista
che hai ammirato di più ?
(R.Z.) A parte le influenze
giovanili, senza dubbio Jeff Beck. Dopo che lího visto dal vivo, ho capito
di trovarmi di fronte al chitarrista più ìavantiî che ci sia al
mondo. Eí incredibile come, in uníepoca in cui tutti corrano dietro al
tecnicismo più esasperato, lui riesca a tirare fuori due note dalla
sua chitarra con un suono pazzesco e una definizione allucinante.
(G.C.) Da cosa deriva
il titolo dellíalbum, ìLyndonî ?
(R.Z.) Eí un titolo ispirato
al film di Stanley Kubrick ìBarry Lyndonî. Mi piacque molto e volevo creare
un brano che ne desse líatmosfera, che ne suggerisse gli scenari. Ed è
poi, il brano che dà il titolo allíalbum.
(G.C.) Che tipo di strumentazione
hai usato per le registrazioni ?
(R.Z.) Io sono un tipo
poco canonico come strumentazione utilizzata. In pratica, è come
se suonassi attaccato ad un piccolo impianto, nel senso che uso un preamplificatore
ADA insieme ad un multieffetto Digitech GSP 2101 con testata Mesa-Boogie
e un mixer programmabile. Li utilizzo disponendoli in linea e, poi, con
líaiuto di una Redbox, riesco a suonare direttamente sullíimpiando simulando
il suono di una cassa Marshall. In questo modo riesco anche ad avere tutti
gli effetti che desidero senza gli inconvenienti tecnici della cassa Marshall.
Ad esempio : a me piace avere insieme il suono della chitarra e quello
della Roland Synth, che suono abitualmente e ciò lo posso fare solo
con questo sistema. Suono anche il Oud, anzi una versione aggiornata e
corretta da me stesso che ho chiamato Mand-Oud, che è líincrocio
tra una Manduria spagnola e il classico Oud.
(G.C.) Quanti strumenti
suoni sullíalbum ?
(R.Z.) Su questo disco,
la chitarra elettrica, quella classica, la Synth e questo Mand-Oud, mentre
qualche tempo fa lavorai a un progetto chiamato Xenia in cui suonavo anche
il mandolino.
(G.C.) So che utilizzi
delle chitarre particolari. Ce ne puoi parlare ?
(R.Z.) Beh, non sono particolari.
Sono delle chitarre normali di fattura eccezionale. Suono le Fabio Cotta
Guitars. Fabio Cotta è un liutaio di Roma veramente in gamba che
produce degli strumenti fantastici, adattissimi alla ricerca di suoni nuovi.
Come amplificatori, invece sto usando sempre di più i Line Six che
trovo stupendi per il semplice fatto che sono un concentrato di tutte le
qualità di tutti gli amplificatori esistenti in commercio e ti consentono
una miriade di suoni e di possibilità che gli ampli tradizionali
non si sognano nemmeno.
(G.C.) Da qualche tempo
a questa parte, lavori con Ennio Morricone. Puoi parlarci di questíesperienza
? Dicono che sia un personaggio tuttíaltro che ìfacileî...
(R.Z.) Io lavoro con lui
da un anno, oramai. Per la mia esperienza, ho notato che, nei confronti
delle persone che stima e di cui si fida, è estremamente disponibile
e divertente, pieno di spirito, sempre pronto alla battuta. Quando si trova
davanti gente che non gli piace o che suona male, assume, effettivamente
degli atteggiamenti molto irritanti.
(G.C.) Eí vero che delle
colonne sonore non gliene importa niente e che invece considera la musica
contemporanea la sua dimensione più vera ?
(R.Z.) Si, questo è
vero. Sta anche scrivendo un opera per piano elettrico ed orchestra. In
ogni caso, tieni conto che lui è un uomo geniale che lascia tracce
del suo genio in qualsiasi cosa faccia. Eí passato dalla musica contemporanea
alle colonne sonore ad arrangiare Gianni Morandi sempre con la sua impronta
caratteristica e il suo stile inconfondibile. Ha creato, ideato un modo
di suonare la chitarra che viene detto ìalla Ennio Morriconeî ed è
internazionalmente riconosciuto. Quando lo conobbi, grazie a Nanni Cilitena
che è il bassista dellíOrchestra della RAI per cui collaboro anche
io occasionalmente, ti confesso che avevo qualche ìtimore reverenzialeî
che è poi scomparso quando mi sono reso conto che, al contrario
di quello che si dice, apprezza molto la creatività degli artisti
con cui lavora. Allíinizio mi preoccupai solo di eseguire nel modo più
perfetto possibile la partitura che mi era stata sottoposta. Poi gli dissi
: ìMaestro, io però la sento in questo modo...î e lui ne fu contentissimo.
Gli piaceva il fatto di scoprire nuove potenzialità tenciche dello
strumento, nuovi suoni. Eí arrivato al punto di dirmi : ìlo vedi questo
spartito ? Non me ne frega un cazzo! Fai quello che ti pare!î, rimanendo
sempre entro certi binari, ovviamente.
(G.C.) Eppure è
noto per la sua personalità accentratrice in fase compositiva...
(R.Z.) Si ma credo che
col passare del tempo abbia imparato a rilassarsi di più e a fidarsi
di più dei musicisti che ha intorno. Ti faccio un esempio : Nanni
mi raccontava di un ragazzo romano, un armonicista bravissimo che entrò
nellíentourage di Morricone e che aveva, però, il grave problema
di non leggere bene la musica. Morricone si arrabbiava moltissimo con lui
finchè qualcuno non lo persuase a lasciarlo fare, a dargli libertà
dal punto di vista dellíimprovvisazione, degli arrangiamenti. Dopo questíesperimento,
si è innamorato del modo di suonare di questíarmonicista e lo porta
sempre con sé.
(G.C.) Con te, invece,
comíè andata?
(R.Z.) Guarda, io dopo
un poí credo di aver capito come prenderlo. Ho capito che era affascianto
dalle possibilità dello strumento e allora gli dissi che, se voleva,
ero pronto a registrargli un cd con tutta una serie di suoni di chitarra
particolari, strani, effetti speciali, in modo che lui avrebbe potuto scegliare
ciò che credeva facesse di più al caso suo. Gliene preparai
uno contenente 54 tracce con suoni e timbri differenti in modo che, quando
mi chiama, senza perdere troppo tempo a spiegarmi come desidererebbe il
suono della chitarra, mi indica direttamente il numero di traccia che ritiene
più congeniale.
(G.C.) Il tuo contributo
per la colonna sonora del ìLa Leggenda Del Pianista SullíOceanoî si è
esteso anche alla fase compositiva e alla stesura dei temi musicali?
(R.Z.) No, assolutamente.
E chiaro che la fase creativa è soltanto sua. Non potrebbe essere
altrimenti. Il mio contributo creativo, come quello di qualsiasi altro
musicista che lavora con lui, è limitato agli arrangiamenti e alla
scelta dei suoni ma líultima parola spetta inevitabilmente a Morricone.
(G.C.) Tornando al tuo
album, so che hai curato anche líarrangiamento della sezione fiati, una
cosa abbastanza inusuale per un chitarrista...
(R.Z.) Si, mi ha stimolato
molto inserire una cosa del genere. Ho cominciato a interessarmi di fiati
e archi da quando ho lavorato in RAI per líorchestra di ìFantasticoî ;
tra una prova e líaltra sperimentavo sempre cose come queste ; quando per
tanto tempo lavori in orchestre numerose con grosse sezioni di fiati o
archi, diventa istintivo pensare di comporre qualcosa di tuo in questo
ambito e líoccasione di mettere in pratica tutto ciò mi è
stata offerta proprio da questo disco. Debbo ringraziare Biagio Pagano,
il produttore che è un vero santo e che mi ha dato la concreta possibilità
di fare ciò che volevo. I due brani che più hanno a che fare
con questo discorso sono ìSierra Nevadaî dove mi sono occupato dei fiati
- anche perché li ritengo più ìsempliciî da arrangiare -
e ìLyndonî in cui Pino Iodice si è occupato dellíarrangiamento díarchi.
Insieme abbiamo sovrainciso le parti di due quartetti díarchi che non abbiamo
potuto registare insieme a causa della non eccessiva capienza della sala
di registrazione ma direi che líeffetto finale non è affatto male.
(G.C.) Dal punto di
vista dellíispirazione, cosíè che ti ha stimolato di più
per la realizzazione dei brani di ìLyndonî ?
(R.Z.) Mah, io spesso passo
ore ed ore a improvvisare alla chitarra, a creare temi che utilzzerò
in futuro. Di norma, registro tutto quello che faccio e poi seguo il mio
istinto, combino queste musiche con sensazioni e visioni momentanee.
(G.C.) Nellíalbum è
presente anche un brano scritto da Jaco Pastorius, ìHavonaî. Cosa puoi
dirci in proposito ?
(R.Z.) Beh, Jaco è
Jaco. Era un genio senza pari, uno che ha cambiato il modo di suonare il
basso e forse la musica jazz in generale. Sono sempre stato un grosso amante
dei Weather Report ma in Jaco ho trovato un suono e un senso dellíarmonia
che non aveva mai udito da nessuníaltra parte. Per questo cimentarmi con
lui è quanto di più stimolante possa trovare. Se pensi che,
dopo il suo ingresso nei Weather Report, Wayne Shorter divenne una figura
di seocndo piano allíinterno di quella formazione, allora diventa evidente
dellíimportanza che ha avuto Pastorius per ogni jazzista moderno. |