Redattrice: Rosa Petrucci
Ultimo Aggiornamento: 18 novembre 2000


Il computo dei giorni, che ai noi pare una delle questioni più semplici e automatiche, ha subito nei secoli varie traversie, tanto da far intervenire astronomi, sovrani e pontefici (volendo stilare un elenco per difetto) a rimaneggiare date, durata dell'anno e sue suddivisioni.

Per quanto riguarda la storia romana, il più antico calendario prenderebbe il nome addirittura dal mitico fondatore Romolo e pare fosse suddiviso in dieci mesi di 30 e 31 giorni per un totale di 304. Di scarsa utilità pratica, tanto che alcuni storici ne mettono in dubbio persino l'esistenza poiché una tale suddivisione del tempo avrebbe portato a lungo andare a sfasare vistosamente il naturale ciclo delle stagioni con quanto segnalato dal calendario con la conseguente necessità di periodici aggiustamenti, il calendario di Romolo è criticato anche dagli antichi.
Già Ovidio, infatti, ammette che il primo re di Roma doveva essere "più versato nelle armi che nelle stelle" e probabilmente la predilezione del "fondatore" per la suddivisione decimale dell'anno doveva derivare dalla mistica attrazione dei Romani per il numero 10, lo stesso delle dita delle mani, utilizzato da Romolo anche per suddividere i gruppi dei senatori e le unità militari.
Sempre a Romolo si devono i primi nomi romani dei mesi: Martis (dal nome del dio della guerra), Aprilis (forse con riferimento all'allevamento dei maiali), Maius (da Maia, antica divinità compagna di Vulcano e simbolo della primavera), Junius (da Juno, Giunone). Gli altri, con un vistoso calo di inventiva, seguono la semplice numerazione da cinque fino a dieci (Quintilis, Sextilis, September, October, November e December).

E' Numa Pompilio, (il secondo re di Roma, storicamente esistito ma del quale ci giungono solo notizie leggendarie, come il fatto che avrebbe avuto come consigliera niente di meno che la Ninfa Egeria con la quale si incontrava in un bosco sacro) colui al quale viene invece tradizionalmente attribuita la prima suddivisione dell'anno in dodici mesi con l'aggiunta di gennaio e febbraio, portando il totale dei giorni a 355.
Alle stesso re si fa risalire anche l'introduzione delle Kalendae (novilunio e primo giorno di ogni mese, dedicato a Giunone, dea della nascita e a Giano, dio del passaggio), delle nonae (il 5 dei mesi di 29 giorni e il 7 dei mesi di 31) e delle Idus (il 13 dei mesi di 29 giorni e il 15 dei mesi di 31, giorni del plenilunio dedicati a Giove). Da notare che nessuna delle tre suddivisioni cadeva in giorni pari, verso i quali i Romani nutrivano una superstiziosa avversione.
Tali ripartizioni del mese erano comunque fondamentali in quanto nell'antica Roma le date si indicavano come giorni "mancanti" alle Idus, alle Kalende o alle Nonae (ad esempio, il 13 marzo era denominato "III ante Idus Martias", 2 giorni alle Idi).
Pare però prematura, da un punto di vista cronologico, l'attribuzione a Numa Pompilio di tali ritocchi, perché una più realistica datazione del primo calendario romano non può che risalire al VI secolo a.c. e cioè almeno a duecento anni dopo il suo regno (cfr. Raymond Bloch "La religione romana" - Collezione storica, Storia delle religioni - a cura di Henri-Charles Puech- Laterza 1976- pag.548).

nettuno trionfante

Questo mosaico da Chebba mostra Nettuno trionfante circondato dalle
quattro stagioni, illustrate da giovani e grazione donne e da scene agricole.


Questione di paternità a parte, anche un siffatto calendario poneva i suoi inconvenienti. Infatti, nonostante l'accorgimento di aggiungere ogni due anni, dopo il giorno delle "terminalia" (23 febbraio), un mese di 20 giorni, detto "intercalare" che consentiva di mediare la lunghezza dell'anno lunare (354-355 giorni) con quello solare (365 giorni), il calcolo era purtroppo ancora impreciso perché risultava un anno medio di 366 giorni e un quarto, più lungo di un giorno e un quarto rispetto a quello solare. Rendendosi conto della sfasatura, i Romani provarono ad adottare un correttivo studiato dai Greci che consisteva nell'aggiungere solo ogni otto anni dei mesi supplementari, ottenendo più o meno un anno di 365 giorni. Il "brevetto" greco, tuttavia, era piuttosto complesso e di ardua applicazione anche per la classe sacerdotale, depositaria fin dai tempi più antichi dell'arte di misurare il tempo, con il risultato che gli anni venivano arbitrariamente allungati o accorciati per porre rimedio a semplici dimenticanze o per studiate convenienze politiche.
La gestione del calendario era infatti anticamente tenuta rigorosamente segreta e potersi arrogare il privilegio di stabilire la durata dell'anno consentiva di detenere un formidabile potere sulla vita sociale. Nel 304 a.C. la situazione divenne tanto esplosiva che il plebeo Gneo Flavio si fece portavoce del malcontento popolare rubando addirittura una copia dei codici riportanti il "segreto" del calendario per esporla nel Foro e renderla di pubblico dominio.
Nonostante questo, rimase attribuzione esclusiva della classe patrizia, di origine sacerdotale, la decisione sul momento in cui inserire gli aggiustamenti necessari al calendario, con il perpetrarsi di scandalosi abusi.

Calendario da Caere con indicazione delle feste Parilia - Roma, museo della civiltà romana

Calendario da Caere con indicazione delle feste Parilia
(Roma, museo della civiltà romana)


Bisognerà aspettare Giulio Cesare per arrivare alla prima, vera e sostanziale riforma del calendario nel 46 a.c., il cosiddetto "anno di confusione".
Stando a quanto raccontano le fonti, il soggiorno egiziano di Cesare, oltre a regalare al grande condottiero esotici amori, gli aprì gli orizzonti dell'antica sapienza astronomica del popolo del Nilo, che basava l'anno sul Sole, sul sorgere di Sirio e sulla periodicità delle inondazioni. Chiamati a sé i maggiori astronomi e matematici dell'epoca, tra i quali Sosigene di Alessandria conosciuto alla corte di Cleopatra, Cesare mise mano con decisione alla spinosa questione del calendario, consapevole del fatto che così non si poteva proprio andare avanti e incurante delle critiche dei suoi avversari, che lo tacciavano di "voler governare anche le stelle". Per ordine di Cesare quell'anno durò 445 giorni (le fonti però sono discordanti e forse furono 444 o addirittura 443) in modo tale da sistemare una volta per tutte i conti. Venne confermato che i mesi fossero 12, alternativamente di 30 e 31 giorni escluso febbraio che ne contava 29. Da quel momento venne anche introdotto l'obbligo di aggiungere un giorno in più ogni quattro anni al mese di febbraio, il cosiddetto bis sexto kalendas Martias, da cui il nostro termine bisestile.
L'anno di "confusione" meritò a buon titolo questo epiteto, perché i problemi furono molteplici, dalle questioni sulla regolarità dei contratti, ai programmi di navigazione, alle diatribe fiscali (qualcuno si mise anche a discutere sulla legittimità di incassare le tasse per quei due mesi supplementari aggiunti), ma finalmente il popolo romano poté dotarsi di una calendario ufficiale, pubblico e relativamente preciso. A imperitura memoria dello storico evento, in seguito, il Senato modificò il nome del mese Quintilis in Julius in onore di Cesare.

Alla sua morte, però, i pontefici ricominciarono a fare pasticci, intercalando arbitrariamente l'anno bisestile ogni tre anziché ogni quattro anni e continuarono così per 36 anni scombinando di nuovo tutti i conti.
Augusto dovette perciò rimettere mano al calendario e riconoscendo la validità delle regole dettate da Cesare le fece incidere, pare, su delle tavole di bronzo delle quali però non ci è pervenuta traccia.
In suo onore il Senato cambiò il nome di Sextilis in Augustus. Poiché il mese dedicato ad Augusto era di 30 giorni mentre quello dedicato a Cesare era di 31, per non fare disparità, venne aumentato Augustus di un giorno, accorciando febbraio a 28 negli anni normali e a 29 in quelli bisestili. Nella stessa occasione, venne anche modificata la durata di settembre, ottobre, novembre e dicembre portandola a quella attuale.
Qualche altro imperatore cercò di dare il proprio nome a uno dei mesi, ma simili variazioni non sopravvissero al proprio ideatore. Tiberio, al quale il senato aveva proposto il medesimo onore rifiutò, probabilmente consapevole del ginepraio nel quali i Romani si sarebbero nuovamente cacciati, e argutamente pose ai senatori delusi il problema di cosa si sarebbe dovuto fare nel momento in cui si fosse giunti ad avere più imperatori che mesi.

Con l'avvento del cristianesimo, la discussa conversione di Costantino e la definitiva elezione della religione cristiana quale culto ufficiale dell'Impero, altre questioni vennero messe sul tavolo e affrontate non senza difficoltà. Per la prima volta a Roma si cominciò a parlare di settimana (sembra infatti che già i Babilonesi suddividessero in questo modo gruppi di giorni mentre i romani avevano usato fino a quel momento un raggruppamento di otto giornate) e a individuare nella domenica il giorno sacro per eccellenza. Lunghe furono le diatribe al riguardo, poiché alcuni gruppi di cristiani di origine ebraica si ostinavano a voler festeggiare il sabato secondo la tradizione del Sabbath. Con l'editto del 321 Costantino pose fine alla questione individuando, con buona mossa politica, nel "dies solis"(dedicato al Sole), il giorno da riservare al culto, soluzione accettabile sia per i cristiani, che ravvisavano in Gesù la "luce" del mondo, che per i nostalgici delle credenze pagane ancora presenti.
Nella stessa occasione vennero anche riconosciute le maggiori festività cristiane. E' importante notare che con l'avvento del cristianesimo, per la obiettiva difficoltà di cancellare dall'animo popolare usanze e cerimonie instaurate da secoli e divenute patrimonio culturale comune ormai irrinunciabile, molte feste del calendario pagano romano vennero "riciclate", al punto che tuttora molte delle nostre ricorrenze religiose derivano proprio dai riti e dalle feste dei nostri antenati.
La festa di S. Antonio, ad esempio, che cade il 17 gennaio e nella quale è usanza far benedire i frutti della terra e gli animali per propiziare la nuova stagione, deriva dalle Ferie Sementive. Analogamente, la Candelora vede le sue radici nei Lupercali romani. Il Natale cade il 25 dicembre, lo stesso giorno del solstizio d'inverno dedicato anticamente alla festa del Sole Vittorioso, il dio creatore del cosmo. Una chiara "contaminazione" pagana è a maggior ragione ravvisabile anche in alcune tradizioni cristiane arcaiche, come il fatto che nel V secolo molti cristiani si inchinavano verso il sole prima di entrare in San Pietro. Fino a noi sono giunte anche altre tradizioni. Le nostre strenne natalizie, ad esempio, derivano il loro nome dall'usanza antica di scambiarsi a Capodanno rami di alloro raccolti nel bosco di Strenia. Nella Pasqua cristiana, poi, sono chiaramente ravvisabili le memorie delle feste in onore della dea Cibele, la Grande Madre, e i riti della resurrezione di suo figlio Attis.

Riguardo alla Pasqua e tornando al fatidico 321 d.C., anno del concilio di Nicea, corre l'obbligo di ricordare che la definizione del giorno in cui fare cadere tale festività, fu la questione che più fece arrovellare le menti dei vescovi riuniti.
La confusione regnava sovrana anche perché "…la resurrezione di Gesù Cristo ebbe luogo durante la Pasqua ebraica, che viene celebrata in conformità alle fasi lunari del calendario ebraico. Ne consegue che, rispetto al calendario solare, la data della Pasqua ebraica e di quella cristiana è destinata a variare di anno in anno. Per i primi cristiani la questione costituì un vero e proprio enigma, poiché non erano in possesso delle conoscenze astronomiche necessarie per sincronizzare in modo preciso le fasi della Luna con l'anno solare."(David Ewing Duncan - Calendario -Piemme 1999).
Costantino pose rimedio piuttosto pragmaticamente alla questione, imponendo ai vescovi di mettersi d'accordo e stabilire regole precise anche se indipendenti dalla precisione astronomica. Un bel problema, anche perché nell'unica fonte storica disponibile, i Vangeli, nessuno dei testimoni della crocifissione di Cristo e della successiva risurrezione si era preso la briga di indicare la data di quegli eventi e, oltretutto, gli stessi Vangeli recano indicazioni, oltre che sommarie anche vagamente contraddittorie, ma comunque tutte facenti riferimento al mese ebraico di Nisan. Finalmente si arrivò ad una decisione e ad una regola accettata all'unanimità: "…la Pasqua cadrà la prima domenica successiva al primo plenilunio seguente l'equinozio, ma non coinciderà mai con la Pasqua ebraica" (D.E. Duncan, Ibidem), perché, come scrive lo stesso Costantino, "non dovremmo avere nulla in comune con gli ebrei perché il Salvatore ci ha mostrato un'altra via."
Poiché il tutto, comunque, si basava sul calendario di Cesare, che, pur essendo abbastanza preciso non era immune da un errore di 11 minuti (unità di misura temporale peraltro sconosciuta ai romani) si erano già accumulati giorni di sfasatura rispetto al reale equinozio, fissato arbitrariamente dal concilio di Nicea il 21 marzo. Sulla questione dell'equinozio le diatribe tra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente, continuarono nel tempo, tanto che Agostino d'Ippona (354-430), vescovo e teologo dei cui scritti Le Confessioni e La Città di Dio costituiscono una pietra miliare tra le opere cristiane, scrive inviperito in una delle sue lettere che nel 387 gli Alessandrini avevano celebrato la Pasqua il 25 aprile, i Romani il 18 e addirittura i cristiani di Gallia in una data ancora diversa.

mosaico con raffigurazione dei 12 mesi dell'anno da el Djem Tunisia

Mosaico con raffigurazione dei 12 mesi dell'anno (da El Djem, Tunisia)


Giorno più giorno meno e questioni teologiche a parte, ci sono giunte testimonianze archeologiche che confermano la struttura degli antichi calendari romani e delle quali le più interessanti sono certamente le più antiche. Spicca tra queste un calendario scolpito, precedente alla riforma di Giulio Cesare, ritrovato ad Anzio ed unico nel suo genere. I calendari romani esistevano in varie versioni a seconda dell'utilizzo per il quale erano predisposti.
I calendari pubblici indicavano tutte le feste e le caratteristiche dei 365 giorni dell'anno, oltre ai Fasti consolari e trionfali. Poiché i mercati, momenti salienti della vita commerciale, si svolgevano a intervalli regolari di otto giorni, già in età precesarea questo aveva portato a raggruppare i giorni in gruppi (nundinae), sostituiti, come abbiamo visto solo in seguito dalle settimane. I giorni che formavano le nundinae venivano indicati nei calendari con le lettere dell'alfabeto dalla A alla H, ripetute nell'ordine. Altre lettere e abbreviazioni erano utilizzate per indicare i vari aspetti della giornata. "F" significava Fausto e quindi giorno adatto allo svolgimento di tutte le attività pubbliche; "N" stava per Nefastus, e perciò da dedicare solo ad attività religiose; "EN" erano invece giorni "così così", fasti solo nella parte centrale e nefasti nelle altre. Diverse indicazioni si riferivano invece al tipo di festività religiosa e al luogo dei riti (es: Dianae in Aventino significava Festa del tempio di Diana sull'Aventino, Vestalia stava per Feste in onore di Vesta, ecc.). Accanto ai nomi delle feste erano anche presenti altre sigle: Q.ST.D.F. (Quando STercus Delatum Fas) che stava a precisare come il giorno in questione divenisse fausto solo dopo che fosse stata portata via la sporcizia dal tempio di Vesta in occasione della pulizia annuale (il 15 giugno), oppure Q.R.C.F. (Quando Rex Comitiavit Fas) che indicava i giorni 24 marzo e 24 maggio come fausti solo dopo che il capo sacerdote avesse adempiuto ad alcune incombenze relative ai comizi.
Per uso privato, invece, esistevano calendari astrologici, che recavano anche l'indicazione dei setti pianeti e dei dodici segni zodiacali.
I commercianti preferivano usare una semplice tavola nella quale venivano indicati solo i giorni di mercato e le città del circondario nelle quali avrebbero dovuto recarsi per vendere le proprie merci.

Tavola nundinale dei giorni di mercato delle città del lazio e della campania - Roma, museo della civiltà romana

Tavola nundinale dei giorni di mercato delle città del Lazio e della Campania
(Roma, museo della civiltà romana)


La vita dei campi era scandita da calendari a cippo, nei quali, su ognuna delle quattro facce, erano indicati tre mesi con il rispettivo nome, il segno zodiacale corrispondente, il numero dei giorni, la durata in ore del giorno e della notte e la posizione del sole rispetto allo zodiaco, oltre agli equinozi, i solstizi e i lavori agricoli più importanti da fare, nonché le feste delle divinità protettrici dei raccolti.

calendario a cippo del tipo in uso presso i contadini con raffigurazione dei segni zodiacali - Roma museo della civiltà romana

Calendario a cippo del tipo in uso presso i
contadini con raffigurazione dei segni zodiacali
(Roma, museo della civiltà romana)


Anche l'esercito era dotato di propri calendari, diffusi soprattutto in epoca imperiale. I giorni segnalati, in questo caso, riportavano soprattutto date importanti connesse alla vita dell'Imperatore e le festività in cui onorare le divinità prettamente militari quali il Sole e Mitra.

Mille stratagemmi, calcoli, questioni per risolvere come contare il tempo. E se siamo tentati di pensare che il suo scorrere troppo veloce sia per noi fonte di stress, possiamo consolarci riflettendo sul fatto che già Platone lamenta che ai suoi tempi gli avvocati erano "in preda alla clepsydra, mai liberi". E' certamente più comodo dare un'occhiata al nostro polso e vedere l'ora in un bell'orologio, magari dotato di un sofisticato meccanismo di calendario perpetuo (portafoglio permettendo) piuttosto che affidarsi ad un macchinoso congegno ad acqua!!


BIBLIOGRAFIA


Autori Vari - "Vita quotidiana nell'Italia antica" - vol. 2 - Arnoldo Mondadori Editore 1993
Henry-Charles Puech - "Storia delle religioni" - Vol.1 - Collezione storica Edizioni Laterza 1976
Armando Torno - "La truffa del tempo" - Arnaldo Mondadori Editore 1999
David Ewing Duncan - "Calendario" - Edizioni Piemme 1999


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