Redattrice: Rosa Petrucci
Grafica: Marco Tinterri
Ultimo Aggiornamento: 27 ottobre 2000

INTRODUZIONE


Occhi truccati

Instabile come gli umori ed effimera quanto la vanità, la ricerca della bellezza è antica quanto l'uomo (e la donna, ovviamente). Le conoscenze cosmetiche e farmacologiche dell'antica Grecia e delle civiltà orientali infatti, sono già così approfondite da rimanere praticamente invariate fino al XVII secolo.
I romani, seppur originariamente contraddistinti da una certa semplicità di costumi, si lasciarono facilmente sedurre dal piacere di dedicare attenzione al proprio corpo e "farsi belli" (pensiamo a quanto rimpiangeva nei suoi discorsi in Senato la rigida applicazione del "mos maiorum" Marco Porcio Catone in età pre-augustea).
La "Naturalis Historia" di Plinio e gli scritti di Discoride, suo contemporaneo che per primo applicò la botanica alla medicina, sono affascinanti quanto esaurienti fonti di notizie, ricette e consigli confermati dai numerosi ritrovamenti archeologici dei quali, tra l'altro, anche Pompei è stata particolarmente generosa.

Giovane donna che versa profumo in una ampolla - Roma, Museo Nazionale

Pittura della casa della Farnesina a Roma, con fanciulla che versa profumo in un'ampolla. I sec. dc. - Roma, Museo Nazionale


I COSMETICI


Le facoltose matrone romane potevano contare su un fornitissimo arsenale di belletti, profumi, balsami e unguenti per la preparazione dei quali gli abili "unguentarii" dell'Urbe, le cui botteghe erano concentrate nel vicus Thuriarius e nell'attiguo vicus Unguentarius al Velabro, venivano, a buon titolo, "profumatamente" pagati.

Teca con oggetti di cosmesi - Museo Arch. Napoli

I belletti erano conservati in beauty-case di legno pregiato (vedi foto a lato - Teca con oggetti di cosmesi - Museo Arch. Napoli), boccette di vetro soffiato, pasta vitrea, terracotta o alabastro, e in conchiglie, naturali o plasmate in ambra profumata, usate soprattutto per contenere rossetti e ombretti. Specifici per i ricambi dei profumi erano particolari contenitori a forma di colomba, riempiti e sigillati a fiamma, per aprire i quali si usava spezzarne la coda o il becco.
Il trucco quotidiano delle matrone cominciava con una base di fondo tinta, preparato principalmente con biacca o carbonato di piombo e venduto in pasticche da mescolare al miele o a sostanze grasse.
L'impasto poteva poi essere colorato con salnitro, feccia di vino o ocra rossa e veniva spalmato uniformemente sulla pelle del viso in uno strato piuttosto spesso.

Ampolle porta unguenti - Museo Archeologico Torino

Ampolle porta unguenti - Museo Archeologico Torino

Considerando la qualità degli ingredienti e il fatto che sia la biacca che il carbonato di piombo sono altamente tossici, particolare peraltro già noto alle Romane, è comprensibile nutrire forti dubbi sui risultati di tali rimedi estetici e condividere l'opinione dei poeti e commediografi latini, che non lesinano velenose e sarcastiche critiche a tali costosissime pratiche femminili.
"Riccioli, trucco, belletto, cerone e denti hai comprato. Con la stessa spesa compravi una faccia nuova", commenta Lucilio sin dal II secolo a.C., ben poco cavallerescamente, nel XVI libro delle sue Satire.
Marziale non è meno caustico: "Ovunque tu passi, fai pensare che Cosmo (ndr Cosmo era il più noto profumiere contemporaneo a Marziale) stia traslocando e che essenze profumate escano a profusione da un flacone agitato. Non mi va, Gellia, che tu prenda gusto a queste sciocchezze straniere. Lo sai che il mio cane potrebbe essere così profumato!" (Epigrammata, 3,559).
Ovidio non pare più conciliante anche se è prodigo di consigli.
"Ma che l'amante non vi colga mai con i vasetti delle vostre creme. L'arte che vi fa belle sia segreta. Chi non vi schiferebbe nel vedervi la feccia cosparsa per tutto il viso, quando vi scorre e sgocciola pesante tra i due tiepidi seni? E che fetore l'esipo (ndr, tipo di lanolina) emana, rozza spremitura del vello immondo di un caprone, fetido anche se viene da Atene! E non vi approvo quando v'applicate in pubblico misture di midollo di cerva o vi fregate davanti a tutti i denti. Queste cure fanno belle ma son brutte a vedersi. Spesso ciò che ci piace, piace quando è fatto, mentre si fa dispiace." (Ars amatoria, 209-218).
Per nulla scoraggiate da simili, dissacranti commenti, le donne romane continuarono a imbellettarsi, marcando le sopracciglia con antimonio polverizzato (stibium) o con il nerofumo (fuligio) e colorando le palpebre con ombretti verdi se ottenuti dalla malachite e azzurri se derivati dall'azzurrite.
Dal gelso, dal fuco (un'alga di colore rossastro), da estratti animali e vegetali e da sostanze minerali (soprattutto cinabro, gesso rosso e minio, anche quest'ultimo tossico) venivano poi ricavati i rossetti per le labbra.
Anche i denti erano oggetto di cura, grazie ai dentifrici preparati con polvere di pomice, mastice di Chio, soda e bicarbonato di sodio. Per l'alito esistevano poi "miracolose" pasticche: "Per non olezzare pesantemente delle bevute del giorno prima, Fescennia, trangugi smodatamente pastiglie di Cosmo…che dire, giacché l'alito pestifero mescolato alle pastiglie puzza ancora di più e il duplice odore del fiato si spande più lontano!" (Marziale).
L'arte della preparazione dei belletti era affidata alle cosmetae (schiave appositamente addestrate per quello specifico compito) che, di volta in volta, al momento dell'uso, scioglievano i vari ingredienti con la saliva in piccoli contenitori, aiutandosi con una specifica serie di spatolette, cucchiaini e miscelatori ad anello in legno, osso, avorio, ambra, vetro o metallo.

Coppette bastoncini e spatole per il trucco, I-VI sec. d.C. Anforetta soffiata a stampo configurata a grappolo d'uva II - III sec. d.C.

Coppette bastoncini e spatole per il trucco, I-VI sec. d.C.

Anforetta soffiata a stampo configurata a grappolo d'uva II - III sec. d.C.


Le maschere di bellezza per prevenire l'invecchiamento della pelle o per curarne le imperfezioni (efelidi, desquamazioni, macchie) erano poi altrettanto diffuse. Potevano essere a base vegetale e ricavate da lenticchie, miele, orzo, lupini, finocchio con aggiunta di essenze di rosa e mirra oppure ottenute da composti organici ( corna caduche di cervi, escrementi di alcione, topo e coccodrillo, placenta, midollo, genitali, fiele, urina di vitelli, mucche, tori, asini) mescolati a olio, grasso di oca, succo di basilico o semi d'origano, biancospino, zolfo, miele o aceto.
Particolare attenzione doveva poi essere riservata alle modalità di applicazione. Le maschere ottenute con l'urina d'asino, ad esempio, pare fossero efficaci solo se utilizzate al momento in cui sorgeva la costellazione del Cane.

Vasetti per cosmesi dalla mostra Homo Faber - Museo Arch. Napoli. (marzo-luglio 1999)

Vasetti per cosmesi dalla mostra Homo Faber - Museo Arch. Napoli.
(marzo-luglio 1999)


I PROFUMI


I profumi meritano una particolare menzione. Troviamo una stupenda testimonianza del loro intero processo di produzione, ad opera di paffuti amorini, nell'affresco della casa dei Vettii di Pompei.

amorini profumieri - Casa dei Vettii a Pompei I sec.
amorini profumieri - Casa dei Vettii a Pompei I sec.
amorini profumieri - Casa dei Vettii a Pompei I sec.

Sopra: le tre sequenze del fregio con amorini profumieri - Casa dei Vettii a Pompei I sec.

Non essendo ancora conosciuto il processo di distillazione, introdotto dagli Arabi solo nel IX secolo d.c., le essenze erano ottenute per spremitura e macerazione. La base oleosa (tecnicamente chiamata onfacio) era costituita da olio di olive verdi o da succo di uva acerba (agresto) e in essa venivano fatte macerare sostanze profumate insieme a coloranti.
Ci sono anche giunti i nomi di alcuni profumi.
Il Rhodium era l'essenza derivata dai petali di rosa, prodotta soprattutto a Palestrina, Capua e Napoli; l'Illirium e il Susinum erano ottenuti con varie specie di gigli pompeiani, il Mirtum-laurum dal lauro e dal mirto, il Melinon dalle mele cotogne, lo Iasminum dal gelsomino. Dall'Egitto proveniva il Metopium, tra i cui ingredienti figurava anche il costosissimo "Balsamo di Giudea".
In età imperiale Alessandria era il maggior centro di smistamento delle spezie e delle erbe aromatiche che da qui venivano inviate a Roma e, soprattutto, a Preneste, Napoli e Capua, dove si trovavano i massimi produttori di essenze ma anche i più abili contraffattori (!!!!) dei più famosi profumi dell'epoca.
Le essenze raggiungevano prezzi proibitivi già dal I secolo d.c., quando una libbra di profumo costava anche più di 400 denari. Uno scandaloso spreco, a detta di Plinio, poiché simili ricchezze venivano dissipate "pro fumo", senza alcun effetto se non quello di appagare il piacere altrui, dato che "chi è profumato non si accorge di esserlo".
Seguendo letteralmente le indicazioni di Plinio e di Dioscoride è stato possibile ricreare le antiche fragranze, scoprendo che i gusti dei nostri vanitosi antenati propendevano per aromi intensi e dolciastri, forse più adatti a coprire gli olezzi delle fogne e delle stalle, oltre all'odore pungente e acre del sangue delle fiere uccise negli anfiteatri durante gli spettacoli.
Dei profumi non si faceva però solo un uso personale.
Era costume diffuso, infatti, profumare arditamente anche gli ambienti domestici. Esempio altisonante per regalità e sfarzo è la Domus Aurea di Nerone in cui "il soffitto dei saloni per i banchetti era a tasselli di avorio mobili e perforati, in modo da poter spargere fiori e profumi sui convitati." (Svetonio, Neronis Vita, 31)

Sala ottagonale della Domus Aurea

Sala ottagonale - Domus Aurea, Roma


Tali pratiche non erano comunque prive di inconvenienti.
Pare infatti che, ad un banchetto offerto da Nerone, uno sfortunato commensale sia morto asfissiato dagli effluvi di ingentissime quantità di acque profumate con petali di rosa lasciate cadere sugli invitati.
L'imperatore Eliogabalo, invece, aveva fatto disporre una pioggerella di acque profumate e violette dal soffitto, ma precipitarono sui suoi ospiti anche i vasi di terracotta che le contenevano.
L'imbarazzante incidente pare abbia fatto sbellicare Marziale: "Un buon profumo hai dato ai commensali, è vero, ma cibo niente. E' da ridere essere profumati e affamati. Digiuni e ben unti, Fabullo, sono i defunti." (Epigramma, 3,12). Ancora, a detta di Plutarco, Cesare avrebbe mangiato asparagi conditi per errore con un unguento aromatico anziché con un volgare ma certamente più salutare olio da cucina.
Non sono noti eventuali effetti collaterali che Cesare abbia sofferto a causa dell'incauto pasto ma il suo rapporto con i profumi e, più in generale, con la femminile arte cosmetica intesa nel senso del termine greco "kallopizestai" (millantare!), doveva essere piuttosto tribolato.
E' infatti noto che la divina Cleopatra era una esperta conoscitrice delle più antiche arti della cosmesi, (a lei si deve un intero trattato sull'arte del trucco), tanto che alla fattoria con annessa "officina aromataria" scoperta sulle sponde del Mar Morto nella regione dell'Idumea, in riva ad un lago, 30 chilometri a sud dell'Oasi di En Ghedi è stato dato il nome di "laboratorio cosmetico di Cleopatra".

Fiala da essenze romano-siriaca  I-II sec.d.C.

Fiala da essenze romano-siriaca I-II sec.d.C.


La zona, 400 metri sotto il livello del mare, è una delle più profonde depressioni terrestri e, a causa della forte evaporazione, la concentrazione dei sali era altissima. L'officina, appartenuta a Erode il Grande, era composta da nove ambienti, di cui uno adibito a sala d'attesa per i clienti e arredato con panche in pietra.
Interessantissimi, per l'eccezionale stato di conservazione, i ritrovamenti del sito, due vasche per la macerazione, altrettanti mulini rotanti per la triturazione dei vegetali, due forni e un focolare per riscaldare gli oli nella preparazione dei profumi, oltre a diversi residui di essenze e belletti.

Balsamario da Terni I sec. a.c.- I sec. d.c. di tipo a fasce policrome ed oro

Balsamario da Terni I sec. a.c.- I sec. d.c. di tipo a fasce policrome ed oro


Nell'officina veniva anche prodotto ciò che Plinio indica come "asphalite", fango conosciuto anche con il nome di pece nera di Giudea, estratto dal petrolio e usato per curare la psoriasi, oltre ai famosi sali del Mar Morto, utilizzati sia come medicamento che belletto, tuttora usati in cosmesi.



CAPELLI, PARRUCCHE, TINTURE


Non si può parlare di bellezza, senza fare un cenno alla cura dei capelli, fonte di costante impegno per chi li possiede e di tormenti non meno intensi per chi non può farne bella mostra.

Acconciatura di età traiana
Acconciatura di età traiana

Acconciatura di età traiana


Quello della calvizie era un problema particolarmente sentito, soprattutto dagli uomini, al quale spesso si cercava rimedio con misture di laudano e mirra.
Plinio ci fornisce una buona ricetta per far ricrescere i capelli, indicando di "strofinare con della soda la parte dove i capelli sono caduti, quindi applicare un infuso di vino, zafferano, pepe, aceto, laserpizio e sterco di topo" (Naturalis historia, XXII, 104). Nel caso in cui le raccomandazioni di Plinio non avessero sortito l'effetto sperato, i Romani potevano rimediare spalmandosi sul cranio calvo delle pomate colorate o utilizzare un'abbondante varietà di parrucche e toupet preparati con tecniche probabilmente imparate dagli Egizi e comunque analoghe a quelle attuali.
Anche Caio Giulio Cesare fu torturato dal problema della calvizie, tanto che di lui dice Svetonio (Caesaris Vita 1,7,5) : "non riuscì mai a consolarsi di essere calvo… e per nascondere la calvizie si pettinava portando avanti i radi capelli. Tra i molti onori che il Senato e il popolo gli avevano decretato, non ne usurpò mai nessuno più volentieri del diritto di portare sempre una corona d'alloro".

Cesare da giovane capellone cesare anziano e calvo

Gaio Guilio Cesare giovane 'capellone' ed anziano calvo.


La cura dei capelli delle matrone romane era invece affidata ad ancelle dette "ornatrix", costrette a destreggiarsi quotidianamente tra impalcature di riccioli, trecce, nastri e spilloni nel non facile compito di rendere bella anche chi non lo era, pena le ire delle bisbetiche e pretenziose padrone. Nei secoli, le mode portarono le donne romane a sfoggiare vari tipi di acconciatura. Da quelle con i capelli semplicemente tirati all'indietro e aderenti alla nuca o divisi in ciocche gonfie (la cosiddetta pettinatura "a melone") dell'inizio dell'età imperiale si passò a elaboratissime acconciature alte sul capo e ridondanti di riccioli ottenuti arricciando i capelli con un ferro rovente, il "calamistrum", riscaldato sulla cenere dagli schiavi "cinerarii" che lavoravano in "equipe" con le "ornatrix". A partire dal II secolo d.c., le donne romane presero a ornare ulteriormente le loro capigliature con nastri, diademi, e spilloni in oro, avorio o argento, elegantemente rifiniti e cavi all'interno, tanto da poter contenere anche veleno, per ogni evenienza. Appuntiti e sottili, oltre a costituire un ornamento potevano anche essere usati come arma di difesa e di offesa. Si narra che Fulvia, moglie di Marco Antonio, abbia infierito proprio con lo spillone dei suoi capelli sul cadavere del retore Cicerone forandogli più volte la lingua per punirlo di averla avuta "troppo pungente".
Le parrucche, anch'esse ovviamente elaboratissime, soprattutto in epoca imperiale, venivano confezionate con capelli veri, provenienti dall'India o, per le chiome bionde, dalle capigliature delle donne barbare del Nord Europa.

Cammeo con il ritratto di Livia moglie di Augusto.

Cammeo con il ritratto di Livia moglie di Augusto.


Oltre a consentire alle matrone di essere sempre acconciate alla moda, le parrucche permettevano anche di rimediare ai danni provocati da un indiscriminato uso del "calamistrum" e dalle tinture, particolarmente diffuse sia per vezzo che per mascherare la canizie.
Le capigliature corvine erano rinvigorite da coloranti minerali derivati dall'antimonio nero mescolato a grassi animali, da cenere di assenzio mista a olio di rosa o da infusi di foglie di cipresso intrise nell'aceto; capelli rosso tiziano si ottenevano con la polverizzazione delle foglie della pianta Lawsonia inermis, meglio conosciuta anche ai nostri giorni come hennè; di origine gallica, invece, la pozione per rendere biondi i capelli ricavata da grasso di capra e cenere di faggio.
Più "casereccio" il rimedio che Plinio consiglia per i capelli bianchi.
Dopo aver rasato per bene la testa era necessario, rimanendo rigorosamente all'ombra, spalmare il capo con un uovo di corvo sbattuto in un vaso di rame. Pare che l'unico effetto collaterale del trattamento, a causa dell'utilizzo di un "derivato" del corvo, dotato di eccezionale potere scurente, fosse quello di tingere anche i denti. Per evitare di ritrovarsi con una dentatura apparentemente devastata dalla carie, sempre Plinio consiglia di tenere in bocca dell'olio fino a che la testa non si sia asciugata.
Colori più eccentrici, come il turchino e soprattutto il rosso carota, erano appannaggio riservato alle donne di facili costumi. Non a caso le prostitute venivano anche popolarmente chiamate "rufae" (rosse).

Pompei. Interno del lupanare. I sec. d.C.

Pompei - Interno del lupanare. I sec. d.C.


Dall'utilizzo delle tinture per capelli non sono immuni nemmeno gli uomini. Ai tempi di Commodo era particolarmente di moda il colore biondo, detto "alla germana", tanto che lo stesso imperatore usava cospargersi il capo di polvere d'oro.




ALTRI 'TRUCCHI' FEMMINILI


Va da sé che un tale, costante impegno, sia femminile che maschile, nello sfoggio delle più sottili armi di seduzione non può che portare a ovvie conseguenze.
Anche se le leggi emanate da Roma indicavano chiaramente quando un amore era lecito e quando doveva invece essere vietato e punito, le censure di carattere religioso e morale diffuse soprattutto con l'avvento della religione cristiana, nei primi decenni dell'Impero sono ancora lontane. Splendida testimonianza del rapporto che la gente comune aveva con il sesso è arrivata fino ai nostri occhi attraverso gli affreschi erotici di Pompei e, con essi, ciò che, conseguentemente, le donne romane, dopo essersi imbellettate e profumate, facevano per evitare (?) gravidanze indesiderate.
Leggiamo nel volume di Eva Cantarella "Pompei, i volti dell'amore":
"I contraccettivi, all'epoca, non erano molto efficaci. I medici, questo è vero, proponevano rimedi quali i pessari, cioè tamponi di lana imbevuti di aceto e collocati negli organi genitali. Sorano, a questo proposito, indica nella sua Ginecologia il periodo del mese nel quale era opportuno ricorrere al pressario e in che modo il tampone evitava la procreazione: introdotto alcune ore prima del rapporto, e tolto prima di questo, se imbevuto di sostanza astringente, impediva allo sperma di risalire. Prescindiamo qui dalle sostanze usate, che si trattasse di aceto o di polpa di fico secco, la loro efficacia era assai dubbia. Altrettanto poco sicuri, evidentemente, i rimedi per via orale, indicati sempre da Sorano o dai naturalisti, come Plinio, che suggeriva di ingerire sostanze quali 'l'aspelom" (mai identificata) o la radice di felce.
C'erano poi i rimedi popolari: amuleti di ogni genere e specie, che andavano dal fegato di un gatto chiuso in un tubo legato al piede sinistro a un pezzo di matrice di leonessa, chiuso in un tubo di avorio e legato a una parte qualunque del corpo. Quale potesse essere la loro efficacia è inutile dire…

Affresco erotico da Pompei I sec.

Affresco erotico da Pompei I sec.


E le donne "emancipate" non volevano avere figli, o quantomeno non volevano passare la vita in stato di eterna gravidanza.
Eccole dunque, raccontano i contemporanei, farsi sballottare sui carri, eccole ricorrere a massaggi e cataplasmi: ammesso che i racconti siano veritieri, di nuovo sistemi tutt'altro che affidabili.
E quando, com'era inevitabile, questi sistemi non funzionavano, se veramente il figlio non era desiderato, o se non era accettabile, l'aborto diventava una scelta obbligata: anche se, dati i sistemi dell'epoca, a dir poco sgradevole, pericolosa e non di rado mortale".

RICETTE DAL PASSATO


Metrodora, ostetrica bizantina vissuta probabilmente tra il V e il VI secolo d.c., ci ha lasciato un vasto trattato di ginecologia e farmacopea vegetale, giunto fino a noi grazie all'opera di un amanuense greco al servizio di Lorenzo il Magnifico.
Ecco un estratto di alcune sue "ricette".

Tonico rassodante per il seno
Prendi la radice di psillio (oggi plantago) a luna calante e mettila sopra le mammelle.

Maschera rassodante per il seno
Prendere un po' di polvere e mettervi sopra 2 dramme di allume e 2 dramme di ricino acerbo; tritare e mescolare a vino nero aspro, fino a rendere l'impiastro denso come cera; spalmare attorno alle mammelle spargendovi sopra terra di Samo e terra bianca del Cimolio o cerussa.

Bevanda afrodisiaca
2 scrupoli di seme di ruca; 1 scrupolo di pepe; intridere con vino e bere.

Pillola della virilità
4 scrupli di incenso maschio; 5 scrupoli di pepe; 1 scrupolo di zenzero commestibile; 4 scrupoli di lattice di euforbia; impastare con liquirizia di creta e pane tritato e farne pastiglie di 1 dramma l'una.

Unguento per provocare l'erezione
Pepe, euforbia, seme di ruca, satirio: scrupoli 6; succo di balsamo di alloro: dramme 4; spalmare sui fianchi, sul basso ventre e sulle cosce.


BIBLIOGRAFIA


"Pompei. I volti dell'amore." - Eva Cantarella, Arnoldo Mondadori Editore 1999
"Storia civiltà e vita ai tempi di Roma Antica" vol 4. -Aut. vari, De Agostini editore 1999
"Vita Quotidiana nell'Italia antica" vol 1. - Aut. vari, Arnoldo Mondadori Editore 1993
"Homo Faber. Natura, scienza e tecnica nell'Antica Pompei" - Aut. vari, Electa 1999
" Vita quotidiana a Roma nel tardo Impero" - Bertrand Lancon, Biblioteca universale Rizzoli 1999


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I 'trucchi' delle donne - 300Kb


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