MALMSTEEN - "War to End All Wars"
(Dream Catcher/SELF)
65/100
C’è qualcosa che non va in casa Malmsteen… se da un lato questo “War to End All Wars” corregge le pecche del precedente “Alchemy”, dall’altro lascia intravedere carenze preoccupanti sotto altri aspetti (avete presente la comica dell’idraulico che per tappare un buco lascia aperta un’altra falla? Beh, credo di aver reso l’idea). Prima di tutto, bisogna parlare della produzione, che taglia del tutto le gambe a questo album nella peggior maniera possibile: ho sentito demotapes realizzati con un paio di milioni suonare infinitamente meglio di questo “War to End All Wars”, ma non lo dico per scherzare… si tratta di una triste constatazione! Da quanto ho letto sulla biografia e su un comunicato del managment, pare che Yngwie abbia deciso di accollarsi tutto l’aspetto riguardante produzione, registrazione, mixaggio e mastering dell’album, stanco di dover combattere con altre persone a lui estranee e con la precisa intenzione di tirare fuori un suono altamente vintage ed insolito… ma il risultato è a mio avviso orrendo! I livelli degli strumenti sono del tutto sfasati a seconda dei pezzi e presentano un suono fastidiosamente cupo, secco ed ovattato, mentre le vocals appaiono in secondo piano come se il singer stesse cantando in una stanza differente dalla vostra… poco male, perché Mark Boals ci propina una delle peggiori prove delle sua intera carriera, completamente sfiatato e privo di mordente! Non disperate però, perché superato l’impatto iniziale con l’insolito sound di questo CD (un grosso sacrificio, ve lo assicuro), arrivano le note positive: in primis, troviamo parecchi pezzi che non solo riescono a far dimenticare la noia e la scontatezza del precedente “Alchemy”, ma dimostrano che l’artista abbia ancora qualcosa da dire dopo tutto questo tempo… secondo poi, la prova strumentale è nettamente superiore a tutto quanto fatto negli ultimi anni, a partire dalla sezione ritmica che vede lo stesso Yngwie destreggiarsi col basso in maniera sbalorditiva ed un John Macaluso in forma smagliante. Il tastierista Matt Olausson viene relegato in un angoletto, perché questo album è del tutto guitar-oriented… e per l’occasione, Malmsteen riserva alla sua chitarra un lavoro molto più emotivo e sperimentale del solito: non solo gli assoli sono stati tutti improvvisati in fase di registrazione, ma anche alcune scelte soprendenti sono frutto di improvvisazioni libere (come dei lick su chitarre downtuned, suoni che passano nei pick-up della chitarra, ed altre follie varie). Ci sono tracce davvero belle, ispirate e, nei limiti del possibile, innovative, come “Masquerade”, “Crucify”(l’apice del disco), “Wizard” e l’immancabile ballad “Miracle of Life”, ma anche vere e proprie palle al piede come “Prophet of Doom”, “Catch 22” o “Tarot”. Contornano il tutto le due strumentali “Arpeggios from Hell” ed “InstruMental Institution”, le quali fanno rimpiangere certe cose del passato e fanno desiderare che Yngwie lasci perdere le canzoni nel senso più rigoroso del termine per abbandonarsi a progetti strumentali autoindulgenti sulla scia di G3 o Liquid Tension Experiment e stupirci con ciò che gli riesce meglio, ovvero il virtuosismo puro. Per concludere, sono costretto a dare una sufficienza stirata ad un disco che, con un cantante ed una produzione differente, avrebbe giustificato il ritorno del logo “Rising Force” accanto al nome di Yngwie J. Malmsteen.

- Alessio Oriani

65 Minuti

TRACKLIST

  • Prophet of Doom
  • Crucify
  • Bad Reputation
  • Catch 22
  • Masquerade
  • Arpeggios from Hell
  • Miracle of Life
  • Wizard
  • Prelude
  • Wild One
  • Tarot
  • Instrumental Institution
  • War to End All Wars
  • Black Sheep of the Family

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