GARDENIAN -
"Sindustries"
(Nuclear Blast/Audioglobe) |
70/100 |
In seguito
al decente debut album “Two Feet Stand” (1997) ed allo spettacolare “Soulburner”
(1999), tornano gli ex-cloni degli In Flames con un nuovo disco che ridefinisce
nuovamente, purtroppo non in meglio ma in maniera senza dubbio intrigante,
le coordinate del sound di questa giovane band svedese. Per questo nuovo
“Sindustries” i Gardenian optano per un sound assai più criptico
ed articolato, che sfortunatamente non riesce a raggiungere i risultati
sperati (da elogiare comunque la voglia di osare e di rinnovarsi, ridefinendo
i confini dello swedish sound), scadendo in certe parti noiose (“Self Proclaimed
Messiah”) o fuori luogo (“Funeral”). Scompare il guest vocalist che tanto
aveva arricchito “Soulburner”, lasciando solo il frontman ad occuparsi
delle clean vocals (ora meno frequenti e comunque di qualità inferiore),
mentre la produzione migliora ampiamente facendosi più cupa e graffiante...
in particolare ho apprezzato la scelta di utilizzare il meno possibile
i trigger sulla batteria, ma è comunque ampia la scelta di sonorità
insolite utilizzate che, a seconda del caso, arricchiscono le canzoni (anche
se usate con parsimonia) oppure lasciano spiazzati e con l’amaro in bocca.
Viene fatto un uso particolare della melodia, presente in larghe dosi tanto
nelle linee vocali quanto nei riff, che è contrapposta alla pesantezza
dei suoni di chitarra ed alla trama ritmica... tuttavia, in certe parti
si nota un’eccessiva tendenza a creare passaggi molto catchy e, viceversa,
offrire momenti esageratamente brutali. In particolare “The Heartless”
(la canzone più brutta che abbiano mai scritto) mette in luce questo
grave squilibrio, basandosi su uno squallido ritornello pop smielato che
in altri contesti farebbe soldi a palate come singolo da classifica, anche
se i momenti “leggeri” non mancano affatto nel resto delle tracce. Da sottolineare
invece l’esecuzione strumentale della band, non particolarmente tecnica
o articolata, ma decisamente emotiva ed eclettica, segno tangibile della
crescita dei musicisti. In definitiva, l’album offre pochi pezzi davvero
belli ed avvincenti (“Doom & Gloom” su tutti), mentre lascia troppo
spazio alla casualità ed all’eccessiva eterogeneità comportando
una certa confusione e ben poca efficacia (in poche parole lo chiamo “effetto
Colony”, ovvero quando un gruppo death melodico non sa più cosa
vuole suonare e quindi le prova tutte). “Sindustries”, ovvero le industrie
del peccato, risulta un titolo quantomai azzeccato... già, un vero
peccato che non sia al livello del suo predecessore! Speriamo che il prossimo
lavoro serva ai Gardenian per trovare la strada giusta, anzichè
fargliela perdere per sempre...
- Alessio Oriani |
63 Minuti TRACKLIST
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