ADAGIO - "Sanctus Ignis"
(LMP/Audioglobe)

90/100

TRACKLIST: Second Sight / The Inner Road / In Nomine... / The Stringless Violin / Seven Lands of Sin / Order of Enlil / Sanctus Ignis / Panem et Circenses / Immigrant Song / Niflheim (demo)

Nati per mano del chitarrista virtuoso Stephan Forte, gli Adagio si candidano al podio di new sensation per quanto riguarda il progressive power metal neoclassico, mettendosi in diretta competizione con act di tutto rispetto quali Symphony X e Majestic. Pur trattandosi di un debut, “Sanctus Ignis” viene sparato direttamente in alto grazie all’indubbia qualità della proposta, all’innegabile abilità di Stephan e (non ultima) la notevole rispettabilità della line-up: David Readman (Pink Cream 69) alle vocals, Dirk Bruinenberg (Elegy) alla batteria e Richard Anderson (Majestic) alle tastiere – seppur solo in veste di compositore e non di esecutore delle stesse, che vengono invece suonate da Stephan – e lo sconosciuto Franck Hermany al basso... il tutto prodotto in maniera del tutto cristallina ed al tempo stesso devastante da Dennis Ward, già produttore dei Pink Cream 69 (dei quali è il bassista) e fonico per DC Cooper e Van Den Plas. Anche se va detto che gli Adagio di sicuro non portano nulla di veramente nuovo all’interno del genere, è indubbio che la band abbia tutte le carte in regola per competere con i grossi nomi (se i Symphony X non avessero pubblicato lo stupendo “V”, sarebbero stati insidiati pericolosamente), nonostante si tratti di una band priva dell’attività live (almeno per ora). Pezzi come “Second Sight”, “The Stringless Violin” e “The Inner Road” si inseriscono comunque di diritto negli annali del progressive power metal neoclassico, per non parlare della suite di dodici minuti intitolata “Seven Lands of Sin” (vero apice dell’album). Rispetto ai Majestic, troviamo comunque un songwriting assai meno lineare, ricco di sterzate improvvise di matrice progressive metal (tra l’altro alcuni riff sembrano fare eco ai Dream Theater del periodo 1992-1994), che mettono in rilievo l’incredibile livello tecnico di tutti i membri della band. Risultano poi decisamente buoni gli inserti sinfonici, spesso tesi a creare atmosfere emozionanti e sfondi ariosi piuttosto che destinati allo sterile sfoggio di tecnica o all’esecuzione di scale a velocità folli... anche se gli effetti utilizzati sembrano a tratti un po’ prevedibili (seppur impeccabili). Tra l’altro, il tutto viene concluso da un’interessante cover della zeppeliniana “Immigrant Song”, completamente riarrangiata nello stile degli Adagio in maniera convincente e professionale. Arrivato quasi dal nulla, senza preavviso, “Sanctus Ignis” si configura come un album il cui acquisto è decisamente obbligatorio per tutti gli amanti di queste sonorità, nonchè un ottimo punto di partenza anche per i neofiti. Da non perdere...

Alessio Oriani


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