GRAVE DIGGER - "The Grave Digger"
(Nuclear Blast/Audioglobe)

100/100

TRACKLIST: Son of Evil / The Grave Digger / Raven / Scythe of Time / Spirits of the Dead / The House / King Pest / Sacred Fire / Funeral Procession / Haunted Palace / Silence

Fantastico, semplicemente fantastico! Il primo lavoro dei Grave Digger con Manni Schmidt (ex-Rage) alla chitarra è un lavoro davvero eccezionale, che ricaccia nell’abisso tutti i dubbi ultimamente ventilati sul futuro della band. A differenza della tendenza attuata sul mediocre “Knights of the Cross” (1998) e sul pessimo “Excalibur” (2000), i Grave Digger abbandonano totalmente l’uso della facile melodia, unita al coro catchy ed all’abuso della doppia cassa su un songwriting lineare. Questa volta – per un disco che corona l’ingresso in Nuclear Blast e la pubblicazione imminente del primo live album dopo quasi venti anni d’esistenza – i Grave Digger fanno un bel passo indietro, tornando al loro periodo migliore (quello che va da “The Reaper” a “Tunes of War”) e ripescando tutti gli elementi tipici di quegli anni... in particolare, mi sembra che l’album più affine a questa nuova creazione sia proprio l’insuperabile “Heart of Darkness” (1995), se non altro per quanto riguarda l’ispirazione e le atmosfere utilizzate! “The Grave Digger” non è un titolo autocelebrativo, ma è riferito ad un racconto di Edgar Allan Poe, dalle cui opere viene tratta l’ispirazione per la stesura di tutto il concept: le sonorità e le atmosfere utilizzate non possono quindi essere altro che cupe e drammatiche, in un rallentamento onirico che valorizza le forme dei mid-tempos (seppur non si neghino delle aperture maestose e delle accelerazioni qua e là). Al di là della produzione del tutto mastodontica, un connubio di potenza e pulizia che ha dell’incredibile, ciò che salta subito all’orecchio è la presenza di Schmidt... ascoltando la sua prova ci si rende conto del motivo per cui ora i Rage siano caduti così in basso, e del fatto che i Grave Digger non avrebbero mai potuto fare un acquisto migliore: nell’esecuzione del buon Manni troviamo infatti una cascata di riff fluidi ed ispirati (di matrice tipicamente eighties), nonchè delle parti soliste proprio da urlo, assai tecniche ma al tempo stesso strapiene di feeling. Come al solito, una grossa importanza viene data ai cori, i quali fortunatamente riprendono l’impostazione di “Tunes of War” piuttosto che la banale linearità di “Excalibur”, e ci offrono un Chris Bolthendal di nuovo strepitoso. Rispetto ai tempi d’oro, ciò che invece troviamo cambiato è il ruolo della tastiera, più presente di quanto ci si aspetti (anche se mai invadente o fuori luogo). Undici tracce, per un’ora di musica che non prevede cali qualitativi nè incoerenti divagazioni ultra-power metal, configurandosi come uno dei migliori dischi in assoluto mai composti dalla band: su “The Grave Digger” è impossibile trovare una traccia che lasci delusi, ma questo non toglie che ci siano alcune composizioni capaci di stagliarsi rispetto al resto... la title-track, “Spirits of the Dead”, “The House” e “King Pest” sono senza dubbio tra queste. Hanno ragione i Grave Digger, a dire “The Reaper Is Back!”... per quanto riguarda voi, l’unica cosa che potete fare è uscire di casa e andare subito a comprare questo disco. Sarebbe una follia non farlo!

Alessio Oriani


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