SOILENT GREEN - "A Deleted Symphony for the Beaten Down"
(Relapse/SELF)

65/100

TRACKLIST: Hand Me Downs / A Grown Man / Swallowhole / Afterthought of a Genius / An Addict's Lover / Later Days / Clockwork of Innocence / Daydreaming the Color of Blood / Last One in the Noose / She Cheated on You Twice

Testo della recensione: bla bla blaDa New Orleans tornano i violentissimi Soilent Green con questo album già da tempo annunciato e posticipato, il quale porta avanti il discorso musicale del debut “Pussysoul” (1994) e del secondo lavoro “Sewn Mouth Secrets” (1998). Come al solito, la band di Brian Patton (membro sporadico degli Eyehategod) e Tommy Buckley si lancia in un contortissimo mix tra l’hardcore in tutte le sue forme (dal grind allo sludge), il death metal, il blues ed il rock duro di matrice southern e stoner che, partendo da Corrosion of Conformity e Monster Magnet, va indietro fino ai padri assoluti del genere ovvero i Black Sabbath. Tuttavia, seppur la band sia stata osannata in patria (e non) come uno degli act più importanti, geniali, interessanti e chi più ne ha più ne metta, a mio avviso si tratta sempre di una miscela malfunzionante e troppo poco assimilabile, che impedisce all’ascoltatore di sentirsi coinvolto in quello che succede all’interno della band... che la destrutturazione delle canzoni sia uno degli scopi primari dei Soilent Green lo sappiamo tutti, ma questo non basta per giustificare dei pezzi che potrebbero anche essere uniti tutti quanti in un’unica traccia (o spezzettati in dozzine di tracce) senza evidenziare differenze sostanziali. La sensazione di caos creata dai Soilent Green è totale, spiazzante, e va molto al di là di ciò a cui la Relapse ci ha abituato negli ultimi anni, e questa caratteristica si pone come il bivio tra chi li adora e chi li ritiene inascoltabili... è al tempo stesso vero che altri artisti che seguono la stessa corrente (un nome su tutti: i recentissimi Mastodon) sono riusciti a dare risultati ben più compatti ed assimilabili, risultando in questo assai migliori degli stessi Soilent Green. Prima di chiudere, va comunque messo in rilievo il livello tecnico offerto dalla band... si tratta di qualcosa di indescrivibile, che pervade ogni strumento suonato dal five-piece. Non c’è un passaggio che appaia troppo complicato, nè un tempo troppo veloce o alcuno stacco troppo repentino per i Soilent Green, i quali sembrano perfettamente a loro agio al centro di questo vortice sonoro di inaudita pesantezza e spigolosità. Credo che i fan della band andranno pazzi per questo nuovo album (assai più variegato ed interessante rispetto ai due precedenti), ma che al tempo stesso l’evoluzione dei nostri sia un vero e proprio vicolo cieco... nel quale i Soilent Green potrebbero finire per trovarsi da soli e senza via d’uscita nel giro di pochi anni.

Alessio Oriani


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