NON VOLEVO EMIGRARE

Di Efisio Tatti

Editrice S'Alvure (£23.000)

PREFAZIONE
Si respira aria pura leggendo queste pagine così prive di qualsivoglia pretesa stilistica. Che è quanto, poi, immediatamente ne emerge fin dalle prime righe. E dunque sbaglierebbe chi pensasse, a causa del lessico estremamente scamo e della fin troppo evidente sciatteria sintattica, di trovarsi di fronte a un autore naif: intendo dire volutamente naif. Efisio Tatti appartiene invece a una specie in estinzione: i non autori; appartiene ossia a coloro i quali scrivono solo perché sentono di avere qualche cosa da dire; qualche cosa, però, che non sia il solito vaniloquio a cui tanto ci ha abituati la televisione con i suoi programmi d'intrattenimento per così dire familiari, dove tutti possono andare a spifferare le proprie disavventure, più o meno picaresche, o a mettere in mostra le proprie miserie o angosce, piùo meno lacrimevoli; qualche cosa da dire, ossia, che non possa volarsene via come pula al vento.
Sente, Efisio Tatti, che ciò che vuole dire è importante; prende allora la penna e scrive. Poco importa che sia un illetterato: scriverà come parla, nè più nè meno. Si consideri, ad ogni buon conto, che l'italiano parlato da Tatti è pur sempre una lingua tradotta dal sardo. Ed è questa la lingua che egli sceglie per renderci partecipi delle sue memorie.
Ma è davvero così importante quanto Tatti ha inteso trasmetterci? Certamente no, se il lettore si lascia ingannare dalle sole apparenze, dal solo manifestarsi ossia degli accadimenti qui narrati. Ma dietro tali accadimenti, che a volte possono sembrare persino fin troppo banali, si trova in realtà celato tutto l'invisibile retroterra del profondo disagio interiore e del senso di assoluta insicurezza che sempre accompagnano in terra straniera il lavoratore emigrato, pur quando si sente oggetto di umanissime attenzioni da parte di coloro che lo ospitano, o quando si dedica anima e corpo a edificare un angolo di piccola patria dove poter ancora godere dei suoni, colori, odori e sapori della sua casa lontana. Già il titolo di questo scritto - Non volevo emigrare - è, sotto tale aspetto, fortemente emblematico. Dietro di esso si nasconde invero tutta la mortificazione e quindi la frustrazione che nascono dal senso d'impotenza di chi è costretto ad agire contro la propria volontà solo per rendere operante, per se e per la sua famiglia, il sacrosanto diritto a una vita dignitosa. Ecco allora spiegata la quasi febbrile mobilità di Efisio Tatti agli inizi della sua emigrazione. Lo vediamo spostarsi da un posto di lavoro a un altro, da una località all'altra, sempre in cerca sì di migliorare le proprie condizioni economiche e logistiche, ma soprattutto di ritrovare quell'equilibrio interiore e quella sicurezza, che si è sentito sottrarre allorché gli si è imposta la dolorosa via dell'esodo.
Ma chi altri, quale altra terra gli possono ridare quell'equilibrio e quella sicurezza, se non la propria famiglia e il proprio paese d'origine? E Tatti vi fa giustamente ritorno, sebbene non lo dica, ogniqualvolta si sente più fortemente assalire dal male dell'emigrato: la nostalgia. E ciò anche a costo di perdere il lavoro sicuro e ben remunerato e di dover cominciare tutto daccapo.
A confortare la chiave di lettura fin qui proposta provvede lo stesso narratore nella seconda parte del libro. E qui infatti che viene evidenziato, più che non precedentemente, quanto possa essere imperativo, per un sardo quale è Tatti, il richiamo delle proprie radici.
Non dunque un libro di semplici memorie del vivere quotidiano di un lavoratore emigrato, ma piuttosto un libro di denuncia, scritto da un vecchio galantuomo, figlio della Sardegna, che si è visto defraudato di un fondamentale diritto dell'uomo: quello di poter vivere di onesto lavoro nella sua terra e tra la sua gente.

Aligi Schweiz

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