VENTINOVE LUGLIO MILLENOVECENTONOVANTOTTO

Ventinove luglio millenovecentonovantotto. Afoso pomeriggio d’estate, di quelli che sudi anche solo se parli.

Il mio diretto viaggia sicuro verso casa, turbando l’aria calda ammucchiata sui binari roventi. Anche se tutti i finestrini dello scompartimento sono abbassati, non riesco ad evitare che qualche gocciolina di sudore mi scenda di tanto in tanto dalla fronte.

Il mio sedile sembra una griglia ardente.

Oggi ho smesso di lavorare un po’ prima. Vorrei arrivare a casa il più presto possibile. Già mi vedo in pantaloni corti ciabattare in libertà alla ricerca di refrigerio.

Dopo mezz’ora di viaggio, il treno rallenta. Dapprima quasi inavvertibilmente, poi sempre più implacabilmente. A nulla valgono gli sforzi telepatici di tutti i viaggiatori dello scompartimento. Il tentativo medianico di evitare un’indesiderata fermata proprio qui, in aperta campagna, fallisce miseramente. Il treno poco cortese si blocca come un mulo sotto un peso eccessivo e le cicale sembrano le uniche a rallegrarsene.

Il turista americano di fronte a me ha l’aria piuttosto divertita. Al suo "background" di conferme sugli stereotipi italiani manca proprio quello degli epici ritardi ferroviari. E’ sul punto di essere accontentato, forse.

La ragazza mora, inconfondibilmente mediterranea, seduta accanto al turista, ha sbuffato contemporaneamente alla fermata del diretto. Nella tragicità del momento, un piccolo sollievo è derivato dall’aver intravisto, sotto la camicetta bianca, un petto liscio e abbronzato, tenuto a freno con difficoltà da un inconsapevole reggiseno.

Il sole aguzzino penetra attraverso i finestrini. Ma perché le tendine non ci sono mai quando servono?

Un operaio nella fila di posti davanti a me impreca a voce alta contro tutti i ferrovieri d’Italia e i loro protettori; una famiglia al completo, padre, madre e tre figli, tutti in regolare sovrappeso, decide di dare l’assalto finale a cibarie e bevande. Il più grande dei pargoli riesce a scolarsi in un attimo una bottiglia da un litro di acqua minerale, battendo sul tempo i diretti concorrenti.

Nonostante il frastuono che tutti s'ingegnano a fare, però, non riescono a destare dal sonno profondo l’uomo sulla cinquantina seduto accanto a loro, un russatore olimpionico, di sicuro. Ad ogni sequenza di inspirazione ed emissione d’aria, tutto il suo sedile entra potentemente in vibrazione.

Com’è lento il tempo su un treno fermo in mezzo alla canicola estiva. Uno strano effetto relativistico, non c’è che dire.

"Signore… signore, biglietti, prego".

Apro gli occhi e mostro meccanicamente il mio abbonamento mensile integrato al berretto blu che mi si para davanti.

"La prossima fermata è la sua", mi dice.

Guardo l’orologio. Orario perfetto. Lancio un’occhiata dal finestrino. E la campagna? I posti davanti a me sono vuoti. E la mora? Ma allora non siamo fermi. E non c’è nessun ritardo.

"Beato lei che riesce a dormire con tutto questo caldo", aggiunge il berretto blu. "E magari le capita anche di sognare, vero?".

Le porte automatiche si aprono. Scendo. Guardo nuovamente l’orologio. Però… L’occhio mi cade sulla data. Trenta luglio millenovecentonovantotto.

 

Torna all'Angolo di Pino