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24.06.2004

Cagliari-Carloforte

Stefano Loddo su Enif

 

L'armatore di Velazquez imbarcato come navigatore su Enif, la barca vincitrice, ci racconta la sua Cagliari Carloforte

CAGLIARI – CARLOFORTE CON ENIF

 

Stefano Loddo (di Velazquez, che se la ride a marina piccola)

 

E’ strana questa regata di venerdì. Me la filo dall’ufficio alla chetichella, ho detto ai miei colleghi che andavo a casa per pranzo e che ci saremmo visti nel pomeriggio, ma forse il sacco della roba da barca, le ciabatte con l’abito, le carte meteo sparse sulla scrivania devono avere destato qualche sospetto. Salutandomi ho sentito che mi indirizzavano qualche sommesso mavaffanc….

C’è maestrale, in ufficio non me n’ero accorto. E’ pure forte. La barca è alla leganavale, bianca e pulita. Piano piano arrivano tutti gli altri. Ecco Davide con un enorme sacco di roba inutile da sbarcare: porte, tavolo, libri, bambola gonfiabile, riesco a convincerlo a non sbarcare boma e ruota del timone, potrebbero esserci utili.

Arriva Jo, attesa da tutti perché normalmente si presenta nascosta dietro una piramide di cibarie che credo abbia passato tutta la notte a cucinare. Arriva Robi con Anna, non manca mai in banchina  a salutarci, Walter col figlio; Mauro, Claudione (in prestito dal VelaZquez Sailing Team insieme al sottoscritto) che si sbrana un cifraxiu. Ricky è in ritardo, è in studio che aspetta un cliente, ecco Dido e Davidino.

Ci siamo tutti.

Man mano che ci avviciniamo a Marina Piccola il vento aumenta, senza che ce ne rendiamo conto arriva a circa 30 nodi, gli altri concorrenti (pochi, accidenti) li troviamo ridossati sotto la Sella. Il Comitato invece è fermo in porto, non vede nessuno in mare (stiamo tutti sotto la Sella, fuori portata visiva) e sta per annullare la regata. Poi qualcuno si ricorda che esiste la radio e in pochi minuti siamo partiti.

Durante le fasi di prepartenza nulla da segnalare: maniglia costosissima in acqua, lazy-bag che si impiglia nel bozzello della randa e primi megabestemmioni del timoniere che mostra un notevole senso creativo.

Prua sulla boa Q, il mio compito è scovarla col GPS, dopo che alla Centomiglia l’avevo cannata di un miglio e mezzo mi sembra strano che mi abbiano riconfermato come navigatore.

Comunque stavolta ci passiamo a tre metri, il mio prestigio è riconquistato, il maestrale sale bene e ci cominciamo ad allungare su X-live (finalmente un avversario della nostra taglia, complimenti per averla riportata in mare dimostrando una notevole forza d’animo) e su X-light.

Camminiamo di bolina stretta con la prua su Capo Pula, cambiamo il pesante con l’olimpico, giusto per rompere un po’ le scatole ai prodieri e, successivamente quando cominciamo a poggiare quasi al traverso verso capo Teulada, ricambiamo l’olimpico col pesante. Noto che i prodieri cominciano ad alterarsi, si vede che sospettano una lunga nottata di arzia e cala. A Mauro poi si nota la pistola luccicare fuori dalla fondina, si sussurrano qualcosa all’orecchio. Meglio non farli incazzare.

Il telefono squilla, i miei colleghi mi cercano, mi rifugio sottocoperta per non far sentire il rumore del vento e dell’acqua, mi sgammerebbero subito che io sono in barca e loro in ufficio a lavorare, pietosamente spaccio il trambusto che si sente da fuori (scotte che scricchiolano e winch che girano) come rumore di ipotetici operai in studio. Perdo tutta la mia credibilità.

Il traverso ci permette di mantenere un buon vantaggio sugli altri due, viaggiamo a nove-dieci nodi in semiplanata, a bordo l’umore è ottimo e per festeggiare ci fulminiamo un teglione di pasta al forno e un po’ di birrette. Mauro è più tranquillo, la velocità è elevata, passiamo Capo Teulada alle otto di sera, in piena luce e cominciamo, tra il serio e il faceto, a sognare di prenotare da Nicolo per mezzanotte. Grave errore!

Notte stellatissima, il vento tiene, sappiamo che è previsto callazzo da sud per la notte, ma nessuno ci crede più, si viaggia ancora bene. Al largo di Capo Sperone mi stendo in cuccetta per sgranchire un po’ la schiena, decido di chiudere un po’ gli occhi, per dieci minuti non si accorgeranno mica di me.

Dopo quattro ore e mezza mi sveglia un pandemonio infernale in coperta, esco a tappo, mi stropiccio gli occhi, scanso i frastimi di tutti e mi accorgo con raccapriccio che siamo ancora al traverso di Capo Sperone, callazzu perdiu, sotto spi che non si gonfia, il mare in poppa fa sbattere la randa e ogni schiocco una nuvola di acqua di umidità vaporizzata ti cola nel colletto della cerata.

Avremo fatto quindici miglia in quattro ore, intorno buio pesto, niente lucine degli avversari tranne le luci dei pescherecci che ti strascicano troppo da vicino e che hanno una vaga idea del concetto di precedenza.

Il timoniere offre il meglio del suo repertorio: parolacce assortite in nuove e misteriose combinazioni. 

Resistendo, navighiamo a un nodo sospinti dalla sola corrente, cambiando vele a caso (giù spi, su spi, giù genoa, su spi, giù genoa, giù spi, giù randa etc.) i prodieri indossano strani giubbetti imbottiti, dai quali pende una curiosa maniglia, e recitano preghiere in arabo, con la bandana nera intorno alla fronte. Credo che il momento sia pericoloso, decido di stare zitto e mi riparo dietro l’albero.

Albeggia prestissimo, il sole illumina il cielo intorno alle quattro e mezza, appena cominciamo a vedere qualcosa andiamo a caccia delle bavette d’aria che arrivano da tutte le direzioni. Il trucco è beccare quella giusta che, di regola, ti passa sotto vento e non la becchi mai.

Cominciamo a vedere anche i nostri avversari dietro, sembrano vicini, cavolo, noi ora camminiamo a due tre nodi ma chissà loro, sembra che abbiano vento, guarda che linea scura, il timoniere bestemmia così velocemente che praticamente si sente un tuono costante.

Tagliamo il traguardo alle sette meno cinque, il Comitato non c’è, autodichiariamo alla radio il nostro arrivo, pieghiamo le vele e colazione al bar. L’occhio va all’orologio e alla diga foranea, dietro la quale compaiono nell’ordine X-light, Tò come giro (a una premiazione lo speaker annunciandolo lo ha chiamato Tu cam giairo, credendo che fosse un nome un nome inglese, momento molto comico….) e Tartaruga. Tutti bravissimi, hanno superato nella notte il più grosso X-live che ha adottato la politica di passare all’esterno della Vacca e che ci ha lasciato le penne. In compensato la classifica vede Enif primo, che si così aggiudica il Trofeo Livio Cois, Tò come giro e Tartaruga.

La sera ottima cena di premiazione, ricca dotazione di alcolici e buonumore alle stelle.

Il giorno dopo ci sarebbe un’altra regata, il Giro dell’Isola detto Thon Cup, ma è così bello pisolare in coperta sul genoa, ne riparliamo l’anno prossimo.