Per Saperne di più

da @rchemail

(n12 luglio 2000)

 

 

La Valle D'Ansanto è un luogo famosissimo nell'antichità, sicuramente più di quanto lo sia adesso. La mofeta altro non è che un vulcano in fase di solfatara (proprio come quello più famoso ubicato a Pozzuoli) del diametro di circa 50 metri. Ha una scarsa profondità ed ha un colore cupo di argilla mista a fango sulfureo. Osservandolo si nota la caratteristica ebollizione del fango nel vulcanetto centrale, fenomeno dovuto non tanto alla temperatura, quanto alle fortissime emanazioni di idrogeno solforato ed anidride carbonica. Proprio a causa di tali emanazioni non è consigliabile avvicinarsi troppo, soprattutto se il vento soffia verso di voi. I gas sprigionati, infatti, possono risultare asfissianti per esposizioni prolungate. Difatti, sulle rive del laghetto non è difficile scorgere piccoli animali vittime ignare dei gas. La natura di questo luogo attirò la curiosità degli antichi che nel vulcano scorgevano una manifestazione della potenza degli Dei degli Inferi: la zona divenne pertanto un'area di culto fin dal VI secolo a.C. Nelle vicinanze del vulcano venne costruito un veneratissimo santuario sannitico dedicato alla Dea Mefite ("Mephitis aravina"), una divinità locale benefica per gli effetti delle sue acque sulfuree e dei suoi fanghi, ma anche molto temuta perché non consentiva a nessuno di avvicinarsi troppo alle sponde del laghetto vulcanico. Il nome della divinità è osco derivando dal termine "Meftai" che vuol dire "in mezzo", mentre l'appellativo "aravina", inciso su un frammento di vaso rinvenuto in loco, dimostra che la Dea non fosse considerata soltanto la divinità dei fenomeni vulcanici e paravulcanici ma anche dei campi coltivati. Il santuario divenne una meta molto frequentata tanto che esso può essere considerato praticamente il corrispettivo romano-italico della Delfi ellenica, e diventò il centro non solo religioso, ma anche politico della confederazione irpina. Scavi effettuati nella vallata non hanno trovato tracce della struttura dell'importante santuario: è stata messa in luce soltanto la ricchissima stipe votiva, che dimostra la vasta area di diffusione del culto. I materiali sono costituiti principalmente da statuette fittili, alcune di tipo italico, altre di tradizione culturale greca. Molto interessanti sono pure alcune sculture in legno, caratterizzate da un accentuato espressionismo del volto, di fattura sicuramente indigena, tra le quali spicca il grande Xoanon ligneo del V° sec. a.C. (Xoanon dal greco "Intaglio" per cui si indicano così i volti delle divinità intagliate), una scultura alta 142 cm, con volto stilizzato con mento triangolare, naso a rilievo e occhi incavati, mentre i capelli sono dati da una sottile linea che corre all'altezza della nuca. Il corpo è un semplice parallelepipedo, che anteriormente mostra solo due incisioni oblique disposte a croce di sant'Andrea. Tra gli ex voto, sono da ricordare una collana d'ambra del V secolo a.C., ori e bronzi. Buona parte dei reperti è esposto al Museo Provinciale Irpino di Avellino. Numerosi sono gli scrittori che descrissero questo singolare luogo. Virgilio, nell'Eneide (libro VII, vv.563 e segg.) narra che "Nel cuore d'Italia, d'alti monti ovunque intorno cinto, è un luogo orrendo a tutti noto: la vallea d'Ampsanto. Di dense fronde un bosco la circonda e fragoroso in mezzo rumoreggia fra scogli acuti e vortici un torrente. S'aprono quindi le spelonche orrende del fiero Dite, ove le nere fauci pestifera voragine spalanca al prorompente fiotto d'Acheronte . Qui si calò l'Erinni allora in volo E liberò di sé la terra e il cielo". Cicerone, nel De divinatione, accenna ad "una parte mortifera dell'Ansanto in Irpinia (...) che abbiamo visto con i nostri occhi". Ed ancora Servio ci fa sapere che "i cosmografi definiscono questa località ombelico d'Italia; si trova tra la Campania e la Puglia, dove abitano gli Irpini; vi sono sorgenti sulfuree il cui odore è tanto più pesante per il fatto che tutt'intorno vi sono immensi boschi. Proprio per questo lì c'è l'ingresso dell'Ade, il cattivo odore dell'aria uccide tutti quelli che si avvicinano, al punto che il loro modo di sacrificare consiste non già nell'immolare gli animali ma nell'avvicinarli all'acqua sulfurea dove muoiono per soffocamento". Nella zona sono state rinvenute anche tracce di abitazioni, probabilmente usate da coloni addetti al santuario, e di un emporio. Con la progressiva romanizzazione dell'Irpinia, la dea Mefite si trasformò gradualmente da divinità benefica delle acque e dei campi coltivati, in divinità infernale; il culto scomparve poi del tutto in seguito alla cristianizzazione, ma il sito conservò il suo carattere di sacralità, tanto che a poca distanza sorge il venerato Santuario di Santa Felicita. All'interno sono da notare una tela (1573) di pittore ignoto raffigurante il "Martirio di Santa Felicita" ed una statua lignea seicentesca. Risalendo la Valle d'Ansanto, si arriva a Rocca San Felice, grazioso paesino a 750 metri d'altitudine, costruito su uno sperone roccioso e dominato da un interessante Castello. Risalente all'850 circa, il Castello venne successivamente occupato dai Normanni che l'ampliarono. Numerosi furono i rifacimenti successivi fino alla metà del '700 quando il sito cadde in rovina. Alcuni recenti restauri lo hanno reso in parte fruibile. Dagli scavi operati in occasione del restauro, sono stati recuperati alcuni reperti esposti nel locale Museo civico. All'interno del borgo medievale è da visitare la Chiesa di S. Maria Maggiore, risalente al 1100, ma rifatta dopo il terremoto del 1980.


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