Percezione

 

 

"A livello di percezione dell’universo sensibile probabilmente non esistono infiniti termini se non piuttosto confini percettivi che non possono essere trattati e manipolati se non utilizzando il concetto di infinito dove l’infinito corrisponde all’orizzonte percettivo"(77). Le percezioni sono state virtualizzate, come lo è stato il corpo, il soggetto della percezione. Infine la realtà virtuale è arrivata, falsando i nostri sistemi percettivi, a trasformare le metodologie conoscitive.

 

 

Virtuale

 

Consideriamo l’opposizione semplice quanto ingannevole di reale e virtuale. Generalmente, la parola virtuale viene utilizzata per significare l’assenza di esistenza pura e semplice, dal momento che la "realtà" implicherebbe una effettività materiale, una presenza tangibile.

 

 

Ciò che è reale rientrerebbe nell’ordine della presenza concreta ("l’uovo di oggi"), e ciò che è virtuale in quello della presenza differita ("la gallina di domani"). La parola virtuale proviene dal latino medievale virtualis, derivato, a sua volta, da virtus, forza, potenza. Nella filosofia scolastica ‘virtuale’ è ciò che esiste in potenza e non in atto. Il virtuale tende ad attualizzarsi, senza essere tuttavia passato ad una concretizzazione effettiva o formale. L’albero è virtualmente presente nel seme. Volendosi attenere rigorosamente al ragionamento filosofico, il virtuale non si contrappone al reale, ma all’attuale: virtualità e attualità sono due diversi modi di essere(78). A questo punto è necessario introdurre una distinzione fondamentale tra possibile e virtuale, messa in luce da Gilles Deleuze in Differenza e ripetizione(79) Il possibile è già interamente costituito, ma rimane nella irrealtà. Senza cambiare nulla della sua determinazione e della sua natura: "è un reale latente"(80). Il possibile è esattamente determinato e completo come il reale: gli manca solo l’esistenza. "La differenza tra possibile e reale è" dunque "puramente logica"(81). Il virtuale a sua volta non si oppone al reale, ma all’attuale. Contrariamente al possibile, statico e già costituito, il virtuale è come un complesso in divenire, il nodo di tendenze e di forze che accompagna una situazione e che richiede un processo di trasformazione: l’attualizzazione. Il problema del seme, per esempio, è di far crescere un albero. Il seme "è" questo problema, anche se non si esaurisce in esso. Questo non significa che esso "conosca" esattamente quale sarà esattamente la forma dell’albero, ma a partire dai vincoli che gli sono propri dovrà inventarlo adattandosi alle circostanze in cui si imbatterà. Pierre Lévy bene differenzia le contrapposizioni reale/virtuale e attuale/virtuale, arrivando a cogliere così il virtuale più simile ad una "potenzialità" aristotelica. "E se la realizzazione è quel movimento che porta all’accadere di un possibile predefinito e l’attualizzazione è l’invenzione di una soluzione richiesta da un complesso problematico, la virtualizzazione può essere definita come il movimento contrario all’attualizzazione. La virtualizzazione passa da una soluzione data ad un (altro) problema. Una delle modalità più importanti del virtuale è il distacco dal qui e ora"(82). Il virtuale molto spesso "non è nel ci"". È Michel Serres(83) per primo a descrivere il tema del virtuale come "fuori dal ci". L’immaginazione, la memoria, la conoscenza, la religione sono dei vettori di virtualizzazione che hanno fatto che noi abbandonassimo il "ci" molto prima di quanto abbiano fatto la diffusione dell’informazione e le reti a tecnologia digitale. Essere svincolati dal ci, occupare uno spazio inafferrabile, non essere soltanto "nel ci", tutto questo non impedisce di essere. Benché un’etimologia non provi molto, la parola esistere proviene precisamente dal latino sistere, essere situato, e dal suffisso ex, fuori da. Esistere è dunque un esser-ci o un uscire dal ci? Dasein o esistenza? È come se il tedesco sottolineasse l’attualizzazione e il latino la virtualizzazione. Quando una persona, una collettività, un atto, un’informazione si virtualizzano, si pongono "fuori da ci". E ciò nonostante il virtuale non è immaginario. Produce degli effetti. Sebbene non si sappia dove, la conversazione telefonica "ha luogo".

 

Spazialità. Il contemporaneo moltiplicarsi degli spazi fa di noi un nuovo genere di nomadi: anziché seguire delle linee di erranza e di migrazione nell’ambito di una certa estensione, noi saltiamo da una rete all’altra, da un sistema di prossimità al successivo. L’invenzione di nuove velocità è stato il primo stadio della virtualizzazione. L’aumento esponenziale della comunicazione e la diffusione del trasporto rapido riguardano il movimento di virtualizzazione della società, ed hanno la medesima tensione a "uscire dal ci".

 

Virtualizzazione del testo. Lettura, scrittura, digitalizzazione sono le varie fasi che portano all’ipertesto e l’ipertesto è uno degli esempi più comuni di virtualizzazione.

 

  1. Lettura. Sin dalle origini mesopotamiche, il testo è oggetto virtuale, astratto, indipendente dal tipo specifico di supporto. Leggere, ascoltare, paradossalmente, significa incominciare a tralasciare, a trascegliere e a slegare il testo. Lacerando attraverso la lettura e l’ascolto noi accartocciamo il testo; esso diventa un’interfaccia con noi stessi. Ascoltare, leggere significa costruirsi. Qui il testo funge da vettore. Attraverso la lettura avviene l’attualizzazione del testo e con questo si attualizza il nostro personale spazio mentale.
  2. Scrittura. La scrittura è stata una delle importanti estroflessioni cognitive dell’uomo. È stata la tecnologia che ha esteriorizzato il linguaggio. L’introduzione della scrittura ha accelerato un processo di sempre maggior artificio, di esteriorizzazione e di virtualizzazione della memoria. La scrittura non può essere ridotta a mera registrazione della parola. La parziale oggettivazione della memoria nel testo ha permesso, probabilmente, lo sviluppo di una tradizione critica. Infatti, lo scritto crea una distanza tra il sapere e il suo soggetto: lo scrittore. "Forse è perché non sono più ciò che so, che sono in grado di rimetterlo in discussione"(84).
  3. Digitalizzazione. Il nuovo testo ha innanzitutto delle caratteristiche tecniche riconducibili ad una dialettica del possibile e del reale. Mentre nella lettura su supporto cartaceo è presente una attualità del testo (il testo è là, scritto nero su bianco, e non può essere modificato), nella lettura su video questa presenza stabile viene meno. Il supporto digitale non contiene testo che possa essere letto dall’uomo, ma una serie di codici informatici che potranno eventualmente essere tradotti da un computer in segni alfanumerici e visualizzati su display. Lo schermo si presenta, quindi, come una finestra dalla quale il lettore parte all’esplorazione di una riserva potenziale. Potenziale e non virtuale, perché il software di lettura predetermina un insieme di possibili che, per quanto vasto, è comunque numericamente finito e logicamente chiuso. "Il virtuale appare solo con l’ingresso nel cerchio della soggettività umana[…]"(85). Il computer è quindi, restando nel linguaggio di Lévy, un operatore di potenzializzazione dell’informazione. Lo schermo informatico è una nuova "macchina per leggere", ma ogni lettura al computer è una edizione, un montaggio singolare.
  4. Ipertesto. È con l’ipertesto che avviene la virtualizzazione del testo e della lettura. "Il testo è trasformato in una problematica testuale"(86). Sappiamo che nei primi testi alfabetici non vi era separazione fra le parole. Solo progressivamente furono inventati gli spazi tra i vocaboli, la punteggiatura, i paragrafi, le suddivisioni in capitoli, gli indici, gli apparati, l’impaginazione, la rete dei rimandi delle enciclopedie e dei dizionari, le note a piè di pagina…insomma, tutto ciò che serve a facilitare la lettura e la consultazione dei documenti scritti. Contribuendo a piegare i testi, a strutturarli, ad articolarli oltre la loro linearità. Queste tecnologie ausiliari costituiscono quello che potremmo definire un apparato di lettura artificiale. L’ipertesto, l’ipermediale e il multimediale interattivo proseguono un processo secolare di artificializzazione della lettura. "I dispositivi ipertestuali costituiscono una sorta di oggettivazione, di esteriorizzazione, di virtualizzazione dei processi di lettura"(87).

 

 

Il corpo virtuale

 

 

Il corpo virtuale è un paradosso introdotto nel 1997 da Antonio Caronia(88), il quale, contro la paura della ‘scomparsa’ del corpo tramite la digitalizzazione, ha invece affermato la nuova centralità del corpo nell’attività dell’uomo, grazie alle tecnologie digitali. Il corpo, con l’uso della telecomunicazione digitale, arriva a perdere il riferimento con lo spazio-tempo cartesiano e con lo spazio-tempo biofisico. La cosa rilevante che spesso si dimentica è che l’interazione importante non è quella tra l’uomo e la macchina, ma tra l’uomo e l’uomo mediata dalla macchina. Questa nuova comunicazione realizza una sorta di simbiosi tra uomo e macchina. Il corpo in quanto tale non perde centralità, ma al contrario l’acquista. Tutto ciò ha valore se noi consideriamo il corpo non come un semplice concetto biologico, ma come un concetto culturale. Il processo di disseminazione del corpo nelle reti implica una ridistribuzione, una ridefinizione del concetto di corpo. Una teorizzazione sistematica del corpo virtuale è stata proposta da Pierre Lévy, attraverso le percezioni, le proiezioni, i rovesciamenti e gli ipercorpi.

 

 

 

 

  1. Percezione. I sistemi di telecomunicazione rappresentano chiaramente uno spostamento all’esterno delle funzioni percettive. Il telefono per l’udito, la televisione per la vista, i sistemi di manipolazione a distanza per il tatto e l’interazione sensomotoria. Grazie agli apparecchi fotografici, alle telecamere e ai registratori possiamo percepire le sensazioni provate da un’altra persona in un altro momento e in un altro luogo. Inoltre, i cosiddetti sistemi di realtà virtuale (RV) ci consentono di sperimentare l’integrazione dinamica di modalità percettive differenti. Ci è dato quasi di rivivere in tutto e per tutto l’esperienza sensoriale di un altro. Nella percezione non diminuiamo la nostra centralità corporea, ma ne acquisiamo di esterne: appropriandocene.
  2. Proiezione. La funzione simmetrica della percezione è la proiezione nel mondo sia dell’azione sia dell’immagine. La proiezione dell’azione è naturalmente legata alle macchine, alle reti di trasporto, ai circuiti di produzione e di distribuzione dell’energia, alle armi. In questo caso molte persone condividono gli stessi enormi arti, virtualizzati e deterritorializzati. La proiezione dell’immagine del corpo in genere viene associata al concetto di telepresenza. Il telefono, per esempio, opera già come un dispositivo di questo tipo, in quanto non si limita a trasmettere una immagine o una rappresentazione della voce, ma veicola la voce stessa. Il telefono separa la voce (o corpo sonoro) dal corpo fisico e la trasmette a distanza. "Il mio corpo fisico è qui, mentre il mio corpo sdoppiato è al contempo qui e altrove"(89). Il telefono attualizza già una forma parziale di ubiquità e il corpo sonoro del mio interlocutore subisce a sua volta il medesimo sdoppiamento, di modo che entrambi ci troviamo contemporaneamente qui e altrove, ma formando un incrocio rispetto alla dislocazione dei corpi fisici. I sistemi di realtà virtuale trasmettono più di una semplice immagine: una quasi presenza. Alcune funzioni corporee, come la capacità di manipolazione legata al coordinamento sensomotorio in tempo reale, vengono di fatto traslate a distanza nel corso di un processo tecnico complesso che in certi settori dell’industria è padroneggiato sempre più perfettamente.
  3. Rovesciamenti. Che cos’è a rendere visibile il corpo? La sua superficie: i capelli, la pelle,, la vivacità dello sguardo. Oggi l’iconografia medica mette a nudo l’intero corpo senza bisogno di incidere la pelle sensibile, né sezionare vasi, né tagliare tessuti. Raggi x, scanner, sistemi di risonanza magnetica nucleare, ecografie, organoscopie virtualizzano la superficie del corpo. A partire da queste membrane virtuali si possono ricostruire modelli digitali tridimensionali da cui ricavare riproduzioni solide. Nel regno del virtuale l’analisi e la ricostruzione del corpo non implica più né dolore né morte. La pelle virtualizzata si fa permeabile. L’organismo è rovesciato come un guanto. L’interno passa all’esterno pur rimanendo dentro, perché la pelle è anche il confine tra sé stessi e l’esterno. Con la telepresenza e i sistemi di comunicazione i corpi si dislocano all’esterno, diventando simulacri di sé stessi.
  4.  

  5. Ipercorpi. Nel loro essere fuori i corpi diventano anche della collettività. Al giorno d’oggi cornee, ovuli, embrioni e soprattutto plasma vengono ‘socializzati’, scambiati e conservati in apposite banche. Il sangue deterritorializzato scorre da un corpo all’altro attraverso una vasta rete internazionale. Il corpo collettivo (o socializzato) ritorna a modificare la carne privata, talvolta riportandola in vita o fecondandola in "vitro". Ciascun corpo diviene parte integrante di un immenso ipercorpo ibrido e mondializzato.

 

 

 

La realtà virtuale (RV)

 

 

Per capire perché la realtà virtuale è un potentissimo strumento di conoscenza, bisogna capire due cose molto semplici. La prima è che cos’è la RV. Al di là di ogni complicazione tecnica, la RV è la possibilità di riprodurre un ambiente o un oggetto. Si può fare attraverso una tecnologia di computer, ma l’importante è che si faccia in una maniera e con degli strumenti che permettano di presentarlo allo spettatore in un modo che tende a essere non distinguibile dalla realtà. Se si raggiunge questo livello, possiamo dire che la percezione viene ingannata, l’azione si svolge come se si stesse nella realtà e non lavorando attraverso uno strumento. Noi siamo abituati a lavorare attraverso gli strumenti informatici, adesso, prima abbiamo usato le macchine da scrivere, e sappiamo che imparare a lavorare con queste macchine non è facile, richiede certi adattamenti, certi aggiustamenti(90). Dal punto di vista psicologico abbiamo due modi di conoscere le cose: l’apprendimento diretto attraverso i sensi (es. la vista), e quello indiretto attraverso l’intelletto (es. la lettura). L’apprendimento diretto è quello più naturale, lo stesso che utilizzano i bambini. Mentre l’apprendimento intellettuale è un lavoro faticoso, selettivo. Qualcuno lo sa fare, qualcuno non lo sa fare. Per impararlo bisogna studiare e fa fatica farlo e quindi non tutti ci riescono e non tutti vanno lontano. La combinazione di queste due cose, fa sì che la RV possa essere un potente strumento di conoscenza; e questa è la seconda cosa da afferrare. Nella nostra cultura, conoscenza è sinonimo di lettura di libri e di fatica. Non ce lo siamo inventati perché eravamo particolarmente perversi e ci piaceva inventare un modo difficile per apprendere le cose, ma fino ad oggi, fino all’avvento della RV, quello era l’unico modo che avevamo per conoscere alcuni tipi di cose molto importanti: ci sono cose che non si vedono, cose che non si sentono e cose che non si toccano. Tutto ciò che si riferisce a distanze enormi, per esempio al di fuori della nostra terra, tutto ciò che si riferisce a mondi infinitamente piccoli, cioè a tutto ciò che in realtà non possiamo percepire direttamente e non possiamo toccare direttamente, non può essere conosciuto e studiato nel modo naturale. Per questo motivo, nel corso dei secoli, a mano a mano che le nostre conoscenze si approfondivano, noi abbiamo dovuto tradurlo in questi simboli, che possiamo elaborare solo con la mente, pensando. Per esempio, i concetti di forza che studiamo nella fisica, dobbiamo immaginarli, perché non li possiamo vedere operare fisicamente. La RV invece permette di costruire ambienti simulati. Al CNR di Roma il prof. Francesco Antinucci con i suoi collaboratori ha costruito uno di questi ambienti in cui le forze si vedono e si ‘toccano’, cioè si può interagire per vedere gli effetti che producono. In questa maniera si riesce capire e conoscere il comportamento dei fenomeni con apprendimento diretto, in modo naturale. Quindi significa che, paradossalmente, il progresso delle tecnologie, l’aumento di potenza e di velocità riporta finalmente le macchine al servizio dell’uomo e della sua comunicazione naturale. Più si va avanti, più la tecnologia diventa sofistica, più ha il compito di tornare alla natura, ma tornare addirittura alla natura più semplice. Con la RV arriva al culmine la tecnologia user friendly.

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