Pagina dei Grandi Campioni

 

Chiarisco subito, a rischio di diventare impopolare (scherzo), che il mio giocatore preferito è Alfredo Di Stefano. Non capisco come possa essere così poco conosciuto, ma vi assicuro che la "saeta rubia" (saetta bionda, come lo chiamavano in Spagna) è stato uno dei pochi giocatori che non avrebbe avuto problemi a giocare nel calcio odierno e vi assicuro che non avrebbe problemi nemmeno per i prossimi 20 anni.

 

-A breve disponibili pagine specifiche di ognuno di questi fenomeni-

 

 

       ALFREDO DI STEFANO

    Giocando in Colombia con il Millionarios, scagliò un tiro potentissimo dai 30 metri colpendo la traversa. Il pallone fu conquistato da un avversario che partì in contropiede, Di Stefano lo inseguì e glielo soffiò,prese a correre come un treno, chiese il triangolo a Pedernera ed infilò il portiere avversario.   Pedernera, un grande del suo tempo, gli si avvicinò e gli disse:"Alfredo, questo gioco ci dà da mangiare, cerca di non ridicolizzarlo. sdfsdfsddddddddddddddddddddddddd. Basta questo per descrivere Alfredo Di Stefano.     

"Era come avere 2 giocatori in tutti i ruoli quando c'era Di Stefano. Ma in porta non era un granché".

 

 

 

 

 

DIEGO ARMANDO MARADONA

Scartò mezza Inghilterra nel 1986 e portò alla vittoria del Mondiale un'Argentina che, a detta di tutti, senza di lui avrebbe potuto sperare solo in un buon piazzamento. In finale Lothar Matthaeus , astro nascente della Germania Ovest, dalla potenza muscolare impressionante, fu il malaugurato marcatore del "Pibe de Oro" che, pur non segnando,ribadì una volta per tutte la sua superiorità rispetto a qualsiasi giocatore del suo tempo e forse di sempre. Il San Paolo pieno per la sua presentazione la dice lunga. E' La leggenda immortale di Napoli.

"Aveva nei piedi la stessa sensibilità che un un uomo normale ha nelle mani.  Ne sa qualcosa Tacconi".

 

 

 

 

 

EDSON ARANTES DO NASCIMENTO PELE'

La "Perla Nera", ovvero "O Rey", era praticamente ineguagliabile in ogni colpo del calcio: saltava più di tutti, il suo piede destro era eccezionale quanto quello sinistro, il dribbling ubriacante quanto fulmineo e lo scatto bruciante (100 metri in 11"). A 16 anni e con pochissime apparizioni nel suo club, viene convocato a sorpresa da Lula per un paio di partite della nazionale: subito 2 gol e l'anno successivo piange a dirotto per aver conquistato la prima coppa Rimet con il suo Brasile, non fermandosi più fino  a quei fatidici 1281 gol in 1361 partite. Si trovò addirittura in prossimità di arrivare in Italia, alla corte di Angelo Moratti all'Inter,ma la sua leggenda è già troppo splendente così com'è.

"Andava più in alto e più veloce di chiunque altro.  Non poteva non rendere famoso chi riuscisse a fermarlo anche una sola volta. Trapattoni divenne famoso grazie ad una sua giornata storta e a Gordon Banks, portiere dell'Inghilterra nel '70, è attribuita la più grande parata di tutti i tempi, proprio su un colpo di testa di Pelè.

 

 

 

 

 

JOHANN CRUIJFF

Riusciva a fare tutto più velocemente di  tutti, il ragazzo dai piedi a papera. Nacque dalla strada e ringraziò suo zio Henk che vedendo la sua bravura lo propose all'allenatore delle giovanili dell'Ajax. A 14 anni vince tutto con le giovanili e a 17 è già Johan Crujff, col numero 14 (la sua età fortunata) sulla schiena, che evita ogni contrasto perché è un secondo in anticipo su tutti gli altri. Ha il fisico del moderno giocatore, sarebbe il numero uno anche nel calcio di oggi con tutta probabilità. Tre palloni d'oro e 3 coppe dei Campioni la dicono lunga su chi sia stato il "Papero d'oro".

"Non è un attaccante, ma fa tanti gol; non è un difensore ma non perde mai un contrasto; non è un regista ma gioca ogni pallone nell'interesse dei compagni". Così lo definì la "saeta rubia", Alfredo Di Stefano.

 

 

 

 

 

MICHEL PLATINI

Non poteva diventare un professionista, i medici sentenziarono: "Capacità respiratoria insufficiente". Ma Platini sarebbe diventato "Le Roi", accarezzava il pallone ma non era il classico 10, lanciava sì, ma tirava spesso direttamente in porta; e non per scherzare, fu capocannoniere del nostro campionato per 3 volte consecutive. Si definiva un "nove e mezzo", come il voto che meriterebbe se Maradona fosse un dieci pieno, ma sicuramente in certi tratti, e non poi così brevi, gli si accostava inevitabilmente. Che scherzo del destino: il suo gol più bello, che sarebbe rimasto nella storia del calcio e non solo nella memoria di tutti gli sportivi, fu un gol annullato inspiegabilmente nella finale di Coppa Intercontinentale contro l'Argentinos Juniors. Avrebbe sicuramente rivaleggiato con il gol di Pelè contro la Svezia nella finale mondiale 1958.

"Le sue punizioni divenivano magie e i suoi lanci erano già mezzi gol".

 

 

 

 

 

FRANZ BECKENBAUER

Il "Kaiser", nessun altro nome avrebbe potuto riassumere le gesta di Franz Beckenbauer. Un vincente fin dalla nascita, è inizialmente un centravanti fenomenale, viene poi spostato a terzino sinistro nel Bayern per poi prendere posto in mezzo al campo, esibendo tutta la sua eleganza nel palleggio e nei movimenti. Era il capitano, sempre e comunque, anche e soprattutto quando la Germania Ovest perse la finale mondiale di Wembley contro l'Inghilterra. Il Kaiser giocò quella partita con la spalla fasciata, come un soldato ferito ma in campo pochi se ne resero conto.  Da quando Helmut Schon gli propose il ruolo di centrale difensivo si cominciò a parlare di "libero" alla Beckenbauer, a simboleggiare un modello di eleganza ed efficacia difficilmente eguagliabile.

"Non riusciva a perdere; ha vinto tutto almeno una volta e non si accontentava, l'avidità degli inarrivabili. Da giocatore come da allenatore o da semplice dirigente. Forse l'unico che non poteva oramai più vincere nient'altro".

 

 

 

 

FERENC PUSKAS

Fu definito "immortale del calcio" da Kopa, il colonnello dell'esercito ungherese. Raggiunse questo grado giocando con la mitica Honved, la squadra dell'esercito e probabilmente la più forte squadra di club mai esistita insieme al Real della fine anni '50. Fu dato per morto durante la rivolta del 1956, fuggì invece dall'Ungheria per riparare in Italia e successivamente, grasso e stanco, arrivò al Real. Grasso e stanco, ma poi l'orgoglio lo riportò ad un livello talmente alto di splendore da formare una coppia inimitabile con Di Stefano. 1156 gol furono frutto dei suoi piedi. era l'uomo che prima di segnare diceva "gol", cos lo ricorda la "saeta rubia". Un unico grande neo, la sconfitta nella finale mondiale di Berna del 1954 contro la Germania del presunto doping. L'"Aranycsapat" (squadra d'oro) aveva già battuto quella stessa, comunque grande, Germania Ovest per 8-3 una settimana prima.

"In allenamento, dopo aver umiliato il portiere, per consolarlo faceva finta di sbagliare; metteva il pallone fuori area e cominciava a picchiare il palo. Una, due...tre volte, Luis Suarez dice che era capace di farlo anche 9 volte su 10, da fuori area e sempre col suo magico sinistro. Il destro era come una semplice stampella per lui".

 

 

 

 

 

GARRINCHA

Senza dubbio la più grande ala destra di tutti i tempi, probabilmente l'unico giocatore che abbia mai meritato quel soprannome:"Alegria del pueblo", l'allegria del popolo. Nulla sembrava poterlo avviare ad una felice esistenza, fu il settimo figlio di un guardiano notturno, fu colpito dalla poliomielite, tanto da rimanere con una gamba, la sinistra, storta e più corta dell'altra. Forse quella deformazione lo salvò dalla miseria, essa diede vita alla finta immortale, sempre quella, sempre la stessa, sempre irresistibile, con cui Garrincha, nome di un uccello tropicale la cui andatura ricordava quella dondolante di Manè, si involava sulla fascia destra pronto al cross. Contro l'Argentina oppure tra amici. Quando partì per la Svezia aveva un'età mentale stimata intorno agli otto anni, ma quanto è stato amato. Su di un muro di Rio si legge tutta la tristezza di un popolo per la sua scomparsa:"Obrigado Garrincha por voce ter vivido", grazie Garrincha per essere vissuto.

"'Da che pianeta viene Garrincha?', si chiese un giornale cileno dopo i suoi due gol al Cile in semifinale nel '62".

 

 

 

 

 

LEV JASCIN

Lev come "leone" in russo, ma per tutti era il solo ed unico "Ragno Nero" a causa di quella c tuta nera che mai abbandonò. Ma soprattutto perché poteva arrivare dovunque saltando anche da fermo e questo ogni attaccante lo sapeva. il suo punto di forza era lo sguardo magnetico sull'avversario. Secondo alcuni fu capace di parare nella sua carriere 150 rigori, forse troppi anche per lui, ma sicuramente ne parò di importantissimi. Vinse il pallone d'oro nel 1963, unico portiere di sempre, probabilmente ineguagliabile, a vincerlo. Parava tutto, fu addirittura anche portiere di hockey; la sua vocazione era in qualche modo, quella di distruggere la pur tenue speranza dell'avversario.

"Guardai Jascin e mi parve una figura ingigantita dal nero della maglia, una sorta di mostro che invece di mani e piedi protendeva tentacoli. Un senso di soggezione, come un lampo di passaggio, poi il fischio dell'arbitro e il tiro, mentre scorgevo Jascin gettarsi a chiudere la porta sulla destra proprio, dove avevo indirizzato la palla....Là dove lui aveva voluto che io tirassi il rigore. Aveva rimpicciolito la porta, mi aveva stregato". Sandro Mazzola fu una delle vittime illustri del Ragno Nero.

 

 

[Home]       [Calcio]       [Vota la tua triade]