Su Munari

Intervista ad Armando Nizzi (Galleria Sincron) di Luca Zaffarano (1999)

D: Oggi la complessità del sapere ci spinge verso la specializzazione mentre il lavoro di Munari sembra ricordarci l'importanza della capacità di sintesi di saperi diversi. Chi è Munari? Ogni definizione considera solo un aspetto della sua multiforme attività.

R: Picasso, notoriamente avaro d’elogi, tanti anni fa lo definì "nuovo Leonardo". Inutile fare aggiunte, spero solo che Munari sia l’inizio di un nuovo Rinascimento.

D: L'arte di Munari viene spesso definita "anomala", secondo lei esiste davvero questa anomalia?

R: Munari non ha mai accettato le regole ricattatorie del mercato, conseguentemente critici d’arte, stilisti, altri artisti, speculatori, galleristi-mercanti sono stati solidali nell’ignorarlo ed isolarlo. Solo in questi ultimi cinque-sei anni si sono fatti sotto abilmente mercanti-speculatori, affollando il suo studio ed acquistando decine d’opere di ogni periodo. Anomalo è stato il secolo in cui Munari è vissuto, riuscendo ad attraversarlo indenne con una grazia ed eleganza uniche. In pratica è riuscito a vivere artisticamente, impossibile separare l’uomo-Munari dall’artista-Munari. Per questo i critici non sono mai riusciti a capirlo ed afferrarlo.

D: Lei parla di "regole ricattatorie" del mercato. Il mercato dell’arte ha le sue regole, le sue convenzioni, immagino anche una sua specificità autonoma rispetto all’attività puramente artistica degli autori. Quando le regole del mercato diventano ricattatorie per un artista?

R: Quando, tramite un contratto, gallerie e mercanti d’arte impongono all’artista di continuare per anni a fare opere di un certo tipo. Ho visto "spegnersi" la creatività di molti artisti caduti in questa trappola economicamente comoda.

D: Percorriamo brevemente l'opera di Munari partendo dalle famose macchine inutili: del 1930 è una sua macchina aerea, del 1933 quelle esposte per la prima volta alla Galleria Pesaro a Milano. E’ ormai nota la polemica su chi storicamente sia approdato per primo all'idea di un'arte mobile: Calder con i suoi mobiles o Munari con le sue macchine inutili? Qual è la sua opinione al riguardo?

R: La polemica Calder-Munari è un’invenzione della critica. All’inizio degli anni trenta i due artisti si ignoravano a vicenda, per di piu’ la differenza tra i loro manufatti è notevole; Calder tenta e trova un’equilibrio, Munari lo studia a tavolino. Resta il fatto che quando molti anni dopo Calder è passato agli "Stabil" il risultato è stato deludente, mentre la creatività di Munari s’è spenta solo con la sua morte. Comunque i mobiles dei due artisti sono opere stupende.

D: Diciamo che ormai era "matura" un’idea nuova dell’arte e che all'arte di questo secolo in qualche modo la tela è sempre stata molto stretta: un famoso quadro di Balla ha la cornice dipinta; una tavola di Munari del 1935, riprendendo il concetto, si intitola appunto "Anche la cornice"; alcune strutture sospese create alla scuola della Bauhaus nei corsi preliminari di Moholy-Nagy e Albers sono datate 1924; poi vengono i mobiles e le macchine inutili; il gruppo Madi in Argentina si occupa negli anni '40 di supporti poligonali e quadri-oggetto; infine lo 'scandaloso' Lucio Fontana taglia la tela. Qual è secondo lei l'importanza del lavoro di Munari in relazione a quello degli artisti citati o di altri che si sono mossi in questo stesso ambito di ricerca?

R: Munari è stupefacente per la totalità della sua ricerca, non ha mai lasciato un problema a metà anche se spesso l’ha ripreso anni dopo, quando i tempi erano più maturi. Lei ha citato grandi artisti, Munari non è venuto dal nulla, nessuno viene dal nulla.

D: Vorrei ritornare sulla sua espressione di "tempi più maturi". Cosa intende dire?

R: Munari non poteva accumulare nel suo studio opere che nessuno voleva acquistare.

D: Munari ha scritto molti libri sorprendenti, se ne contano più di 80, ma nelle bibliografie ufficiali alcuni non sono citati. Poi ci sono i libri illustrati, le collane dirette, i pre-libri, ci sono i libri di favole, quelli mai pubblicati, quelli fuori commercio, infine ci sono i libri illegibili presenti nelle collezioni dei musei più importanti del mondo, come il MOMA di New York. Come sono nati questi libri-paradossi oggi introvabili?

R: Moltissimi artisti si sono divertiti a creare e scambiarsi dei libri da loro realizzati, ma quando si passa alla stampa i problemi cambiano. Bisogna sapere molte cose e Munari non solo le conosceva ma spessissimo inventava soluzioni nuove. Solo un’artista-designer poteva fare in questo campo tutto quello che Munari ha creato. Egli lavorava divertendosi, questo era il segreto.

D: Munari lavorava divertendosi, dunque mi sembra di capire che non esiste un Munari "professionista" la cui attività serve unicamente a dare sostegno economico alla sua più libera attività artistica?

R: Munari capì immediatamente che non avrebbe potuto vivere col solo lavoro d’artista perciò "inventò" altre "entrate economiche", a tutti note, oggi!

D: Parliamo delle sculture da viaggio, altro capitolo importante nella storia di Munari. L’arte solitamente sta nei musei, Munari invece la pensa come un oggetto quotidiano da portare in valigia assieme agli effetti personali per abbellire case o stanze d’albergo anonime; la scultura di solito è monumentale, può stare solo in spazi appositi, Munari invece la concepisce di cartone colorato, anche in piccole dimensioni. Tra gli antenati delle sculture da viaggio ci sono gli origami giapponesi. Munari stravolge ogni nostra consolidata convinzione rispetto all’arte. Cosa ne pensa?

R: Nel 1968 tornai all’International Hotel di Brno (allora la Cecoslovacchia era unita) e volli fare una prova. Su un mobile della stanza appoggiai una scultura da viaggio ed a un chiodino dimenticato nel soffitto appesi una macchina inutile. Avevo portato questi due lavori per mostrarli ad amici artisti e mi sembrava giusto farli vedere ambientati. Rientrando dopo cena una segretaria, consegnandomi le chiavi, mi diede anche una lettera. Le spiegai che ci doveva essere un errore perché nessuno era al corrente del mio arrivo. "Lei è il signor Nizzi? Sulla busta c’è il suo nome" mi precisò.

La lettera era di un dirigente di questo albergo che voleva parlare con me, appena possibile. Il giorno dopo a pranzo mi spiegò che sapeva delle "macchine inutili" di Munari perché aveva letto un suo libro da giovane e voleva notizie recenti dell’artista. Mi chiese pure il permesso di mostrare anche a sua moglie i due lavori che avevo portato dall’Italia. Qualche anno dopo l’architetto Bruno Fedrigolli mi raccontò che, avanzando con le truppe alleate verso il Nord d’Italia, aveva visto in una villa toscana semidistrutta una biblioteca piena di libri, curiosando tra i quali notò un libricino strano che lo colpì. Era di Munari e c’erano le macchine inutili. Mi disse che lo portò con sé fino alla fine della guerra ed ogni tanto, se si sentiva un po’ depresso, lo rileggeva. Durante una mostra personale, venne in galleria per conoscere Munari e raccontargli il fatto.

D: Parliamo delle Proiezioni a luce polarizzata degli anni '50. In una conferenza Enzo Mari ha definito il Polariscopio una specie di summa conclusiva ed esaustiva di un discorso artistico in cui la luce e il movimento erano protagonisti. Secondo lei anche per Munari queste opere rappresentavano il punto di arrivo di una intensa attività di ricerca artistica?

R: Possiedo dal 1968 un Polariscop senza motore (probabilmente l’ultimo costruito da Munari nel 1966). Lo mostro spesso a visitatori d’una certa età e la frase che sento ripetere è la seguente: "Questi giovani non sanno più cosa inventare!". Il primo Polariscop (si guardava contro il sole tenendo nell’altra mano un dischetto di Polaroid) è del 1952. Basta questa risposta?

D: Con le scritture illeggibili (in mostra alla Sincron per la prima volta nel 1974) Munari affronta il problema della valenza estetica dei segni presenti negli alfabeti e nelle scritture di tutti i popoli. Qual e’ il progetto che si cela dietro l’ennesimo divertimento grafico?

R: Munari s’è sempre divertito in modo intelligente ed il risultato del suo metodo sono cose molto serie. Ho sovente avuto il sospetto che molte "scritture illeggibili" siano leggibilissime. Ci sarà da divertirsi nel futuro…

D: In una intervista apparsa su Repubblica l’1/10/98 il critico Gillo Dorfles parlando di Munari ha detto che "come pittore può essere stato meno importante di altri", e che la pittura lo attraeva fino ad un certo punto. Eppure il Munari pittore dei negativi-positivi e delle curve di Peano è forse quello più conosciuto e riconosciuto. Lei cosa ne pensa di questa affermazione?

R: Una volta Munari mi disse che secondo lui troppi critici sono degli artisti mancati. Non voglio dare giudizi sui quadri di Gillo Dorfles, ho già tanti nemici.

D: Le xerografie originali, come opera d’arte e pezzi unici, sono un capitolo nuovo nel panorana dell’arte contemporanea: succedono e proseguono le ricerche iniziate con la fotografia da Moholy-Nagy, Man Ray e Veronesi, anticipano le opere di computer art, nascono da un utilizzo creativo di una macchina. Con le xerox Munari ha sperimentato molto, lei ha proposto nel 1976 le prime xerografie a colori ed ha dedicato recentemente, nel 1996, una mostra agli xeroritratti. Può spiegare il lavoro della fotocopia d’artista così come lo ha vissuto a stretto contatto con Bruno Munari?

R: La mostra del 1976 "Xerografie a colori" (gli americani le chiamano Electroworks) è una delle nove prime mondiali da me allestite alla Sincron, ma già dal 1968 avevo più volte esposto xerografie in bianco-nero oggi definite storiche, contribuendo gratuitamente a divertire il pubblico della città, da sempre avverso alle novità. Queste xerografie sono in diversi musei del mondo, Moma di New York compreso. Molti anni fa mostrai a Munari una fotografia fattagli da Mulas nel 1955; di lato si vede un Polariscop a motore. Di fronte alla Sincron c’è tuttora un bravo rilegatore che ha una fotocopiatrice. Andammo da lui, Munari posò la foto sul piano, fece un paio di prove che stracciò, indi chiese al rilegatore di mettere una ventina di fogli nell’apposito contenitore. Mise in moto la macchina, sempre parlando con noi e muovendo le mani per spostare di continuo la foto senza mai guardare il risultato. Dopo neppure due minuti erano pronti 12 magnifici autoritratti. Uno lo regalò all’esterefatto rilegatore, un paio li tenne per sé, donandomi gli altri. "Vedi – mi disse – si può preparare una mostra personale in qualsiasi museo del mondo in pochi minuti, basta che le cornici siano pronte" Ancora oggi mi chiedo perché ha preferito una prima mondiale alla Sincron, 40 metri quadrati di galleria ancora oggi senza telefono… Lei, che mi pone domande, non solo ha un ritratto fattole da Munari, ma possiede quasi tutte le sequenze che hanno portato al risultato finale, comprese alcune varianti tecniche molto belle ed un ritratto a colori. Un giorno potrà prestarle a qualche distratto museo italiano… La mostra del 1996, dato il limitato spazio della Sincron, era logicamente ristretta, per farla completa ci vorrebbe un grande museo.

D: Munari ha attraversato in modo del tutto personale molte delle correnti principali dell’arte contemporanea: il futurismo, l’arte astratta, l’arte concreta, l’arte cinetica, l’arte optical, l’arte concettuale, il ready-made, l’happening, l’arte povera. Potremmo includere nel filone dell’arte concettuale gli "Olii su tela" del 1980, presentati alla Sincron qualche mese prima di essere esposti in una sala della Biennale di Venezia. Come nacque questa mostra?

R: Fin dal 1970 sentivamo spesso in galleria questa domanda: "Maestro, perché non ci fa una bella mostra di olii su tela?". Nel 1980 Munari accontentò queste amene persone. La rassegna era molto precisa, niente era lasciato al caso, tutti gli olii che macchiavano le tele erano stati catalogati, descritti e per alcuni c’erano pure i disegni delle piantine di lino, canapa e cotone. In definitiva tutti gli artisti che lei ha nominato, Munari compreso, avevano l’intenzione di stupire e scioccare un pubblico disattento e poco colto, spesso neppure informato. Penso che ci siano riusciti!

D: Parliamo della mostra Filipesi del 1981 alla Sincron. Strutture geometriche, solide, appese al soffitto, ben definite, ma leggere e vuote. Ci può raccontare la genesi di questo lavoro? Lo si può considerare una specie di variante delle più famose macchine aeree o macchine inutili?

R: Ritengo che l’idea di Munari (probabilmente collegata alla famosa lampada a maglia e cerchi metallici del 1964) fosse di riempire un determinato spazio con il minimo materiale possibile, con l’intenzione finale di evidenziare il vuoto. Quando arrivò in galleria il tutto pesava pochissimo. Alla fine la galleria era piena di strutture piramidali, doppie piramidi, piramidi a base quadra ma tronca dalla parte della cuspide, legate da fili talvolta esili e colorati. I tubi erano d’alluminio o d’altro materiale leggero. L’effetto era maestoso e sapendo che Munari le aveva realizzate da solo, queste piramidi mi fecero pensare… a quanti morti erano costate le piramidi d’Egitto.

D: Mi spiega l’importanza di evidenziare il vuoto?

R: In pratica era una personale tutta appesa!

D: Parliamo della mostra "Tensione e Compressione" del 1990 alla Sincron, che ha anticipato quella tenutasi a Milano l’anno successivo e intitolata "Alta Tensione". Si tratta di legni collegati da fili di cotone che imprimono tensione creando una struttura rigida. Si tratta di oggetti di arte povera, anzi poverissima: segni solidi campati in aria, gesti poetici creati nel mezzo del bosco, divertimenti, un omaggio agli alberi, i veri abitanti del nostro pianeta, cosa sono?

R: Io ho visto, a Monteolimpino, Munari montare in parte una di queste stupende strutture da lui chiamate "Tensione e compressione". I legni li cercava pazientemente nel vicino bosco, scegliendoli con estrema cura. Realizzare da soli anche la più semplice di queste "sculture" è difficilissimo e mi commossi vedendo Munari all’opera. Tutti, critici compresi, le definirono "giochetti". Conservo ancora i disegni di come doveva essere allestita la mostra ed i progetti dei supporti in legno, dipinti in colore verde erba. I visitatori rimasero stupiti quando entrarono in galleria, vedendo queste strutture leggere ma rigide e compatte, la cui caratteristica è che nessun legno o rametto d’albero tocca l’altro. Bellissimi disegni a colori completavano la rassegna semplice e raffinata.

D: Flexy prodotto da Danese in tiratura illimitata è uno dei multipli più belli e affascinanti. Esiste un importante manifesto dei multipli in cui si spiega che cosa sono e in cui si dichiara che nascono allo scopo di "comunicare, per via visiva, una informazione di carattere estetico ad un pubblico vasto e indifferenziato". Munari ha prodotto molti multipli perseguendo il progetto di un’arte alla portata di tutti, anticipando certa arte elettronica riproducibile all’infinito e fruibile perciò da tutti. Questo progetto ha oggi ancora senso?

R: Flexy è uno degli oggetti estetici più belli creati dall’uomo da quando è sceso dagli alberi. E’ un folletto vispo, allegro e simpatico e, come il suo creatore, flessibile ma non domabile. L’unica differenza con Munari è che talvolta fa i dispetti.

Il primo, come il secondo manifesto dei multipli, è nato alla Sincron sul finire degli anni sessanta. Munari ci aiutò a perfezionarli entrambi ed io gli chiesi di presentarli col suo nome, cosa che accettò. I poteri economico e politico, generalmente insensibili all’Arte, sanno trasformare ogni cosa in denaro. L’Arte però opera in tempi lunghi e sa scavalcarli, talvolta sa pure vendicarsi…

D: Munari viene spesso accomunato al dadaismo sia per l’aspetto ludico sia per la sua capacità di presentare oggetti trovati di bellezza rara, un esempio tra tutti è quello documentato nel libro il 'mare come artigiano'. Ma gli oggetti trovati da Munari hanno anche un valenza didattica oltre che estetica, insegnano ad osservare la natura e le sue forme costruttive, per questo sembra forzato o affrettato l’accostamento di Munari al dadaismo. Cosa ne pensa?

R: La capacità di Munari, anche manuale, di trasformare qualsiasi cosa in Arte mi ha stupito sin dai primi contatti. Baldassare Castiglioni nel suo "Cortegiano" parlando di Raffaello definì questa capacità col termine di "sprezzatura", che è l’apparente semplicità con la quale alcuni artisti sono capaci a fare qualsiasi cosa. Precisa inoltre che, oltre alle doti naturali, questi artisti hanno un rigoroso metodo di lavoro ed un allenamento spesso quotidiano. Personalmente, dal 1948 ad oggi, ho conosciuto solo due artisti con questa caratteristica, il siriano Sami Burhan e l’italiano Guido Zanoletti. Consiglierei a Lei, dott. Zaffarano di evitare l’incasellamento di Munari in scomparti rigidi, è tempo sprecato.

D: Munari non è mai stato preso molto sul serio: Munari come archimede pitagorico, quello dei giochi per bambini, delle favole inventate o illustrate. Insomma un artista che usa il gioco, che non fa le opere in bronzo ma con del cartoncino, che non crea su ispirazione opere monumentali ma che stanno in valigia o in un pacchetto di pochi centimetri. Perché secondo lei è sempre stato preso così poco sul serio ?

R: Il "Sistema" ed il potere hanno subito capito la pericolosità di Munari ed hanno fatto di tutto per tirarlo dalla loro parte e servirsene, ma non ci sono riusciti. Così spesso Munari ha dovuto lavorare in condizioni di semiclandestinità, sovente s’è rifugiato culturalmente all’estero od in poveri spazi come la Sincron dove il valore primo è la dignità immediatamente seguito dalle qualità di lavoro. Quando non si hanno altre armi in mano l’unica possibilità di sopravvivenza è la cultura.

D: In base a quali osservazioni lei ritiene che certi "poteri" abbiano compreso la pericolosità culturale di Munari?

R: Apra uno spazio come la Sincron e lo capirà…

D: Parliamo del progetto didattico dei Laboratori per bambini. Alcuni sostengono che rappresentano anche un modo per apprendere dalla spontaneità dei bambini i segreti della semplicità. Quali sono secondo lei i motivi fondamentali che hanno spinto Munari, unico artista di questo secolo, ad interessarsi così intensamente ai bambini?

R: Moltissimi anni fa dissi a Munari: "Bisognerebbe operare con i bambini prima che il potere li condizioni". Penso perciò d’avere dato il mio modesto contributo alla nascita dei laboratori per bambini, dove si cerca di sviluppare la creatività dei piccoli prima che forze negative la distruggano.

D: Munari ha sempre irriso molti simboli della nostra era: l'utilità, lo spreco, il lusso, eccetera; ma lo ha sempre fatto evitando i clamori della cronaca e i gesti platealmente rivoluzionari. Lei s'è mai sentito influenzato da Munari?

R: Penso di no. E’ logico che c’erano molti punti di contatto, delle scelte di vita comuni. Il lusso, il denaro, il progresso ad ogni costo, la fretta, non sono mai stati problemi di Munari, il quale aveva tempo per tutto e per tutti. Per lui il tempo non era denaro ma un valore molto più alto.

D: Esiste un progetto unico dietro l’intera opera di Munari in cui l’arte è solo il mezzo per esprimere la vita, o per delineare un uomo più civile, più creativo, più rispettoso dell’ambiente, meno conformista?

R: Si, c’era e c’è tuttora un progetto unico. Lei è giovane ed i risultati li vedrà nel futuro.

D: Qual è, se è possibile sintetizzare, il ricordo più bello e quello più curioso o imprevisto della sua più che ventennale attività a costante contatto con il grande maestro Bruno Munari?

R: Una cosa che colpì tutti i presenti, io compreso, fu quando Munari nella solita trattoria "da Citria" (vedendo i padroni in difficoltà nel servire) andò in cucina e ne uscì con quattro-cinque piatti in sola volta. Poi disse: "Ho imparato da piccolo aiutando i miei, ora sono un po’ fuori allenamento". Per il resto dovrei scrivere un libro.

D: Lei si è mai trovato in disaccordo con Munari?

R: Una sola volta, per Lucio Fontana del quale evidentemente non conosceva bene tutto il lavoro precedente.

D: Ci sono state altre occasioni in cui Munari ha espresso giudizi inaspettati sulle opere di colleghi suoi contemporanei?

R: Se Munari parlava di un collega ne parlava sempre bene.

D: Esistono dei lati di Munari ancora sconosciuti? Può suggerire nuove zone inesplorate?

R: Ritengo di conoscere abbastanza bene il lavoro di Munari, ma ogni volta che nel suo studio e col suo permesso aprivo un cassetto, trovavo cose nuove od antiche mai viste.

Ci vorranno decenni per ordinare il suo lavoro di ricerca e non basteranno i soliti 3-4 critici. Si dovranno costituire gruppi di studio molto affiatati composti possibilmente di giovani critici, mentalmente liberi. L’eredità culturale di Munari sarà, per il figlio Alberto molto colto ma inesperto di cose d’arte, un bel problema. La Sincron gli fa mille auguri e sarà al suo fianco se lo ritenesse opportuno.

Lei mi chiede se ci sono zone inesplorate nel lavoro di Munari. I critici ed i giornali più o meno specializzati sono relativamente precisi quando parlano di macchine inutili, negativi-positivi, xerografie bianco/nero e a colori, olii su tela, curve di Peano, eccetera, ma sembrano ignorare le textures, i quasi simmetrici, le variazioni sui visi umani, le prove d’autore (non le prove tecniche ma i veri e propri quadri-collages), i nomi propri costruiti quasi sempre sotto dettatura ed in pochi secondi, eccetera. Gli autoritratti ed ancor più i ritratti eseguiti xerograficamente per alcuni amici privilegiati, sono dei capolavori che pochi hanno visto e, devo ricordalo, qui alla Sincron o nel libro del ’92 "Amici della Sincron".

Ci vorrebbero molte pagine per spiegare queste ultime cose elencate!

D: Un’ultima domanda: Munari quanto ha inciso nella sua attività di gallerista?

R: Munari ed io abbiamo lavorato per oltre 25 anni a "parità di doveri". A differenza di tutti gli italiani che potrebbero scrivere un libro sui diritti ma poche righe sui doveri, di diritti non abbiamo mai parlato. Per l’esattezza non abbiamo neppure parlato di doveri. La regola che ci ha permesso di lavorare in grande scioltezza ed armonia fu poi precisata da Munari nella prefazione al libro "Amici della Sincron": "Alleniamoci a mantenere l’equilibrio".

Ho circa 90 lettere e buste di Munari (sarebbero una fortuna in mano ad un editore coraggioso) che vanno dal 1968 fino a quando Munari fu in grado di rispondere alle mie lettere. Sono cariche di invenzioni grafiche, umorismo, progetti per il futuro, trappole di ogni tipo non facili da individuare. Alcune devono avere richiesto ore di lavoro, anche le buste sono una miniera di idee. Ho molte opere di Munari, ma queste lettere valgono di più…

Per chiudere posso dire che ognuno di noi ha rispettato lo spazio dell’altro.

Brescia, marzo 1999

Nome di Armando Nizzi costruito graficamente da Bruno Munari

Nome di Armando Nizzi costruito graficamente da Bruno Munari

home