CIRCOLARE DEL MINISTERO DELL'AMBIENTE DEL  8 OTTOBRE 1996, N. GAB/96/15326


Principi e criteri di massima della valutazione di impatto ambientale
(G.U. n. 277 del 26 novembre 1996)


IL MINISTRO DELL'AMBIENTE


A tutte le amministrazioni dello Stato
Alle regioni
Alle province
Ai comuni
Ai commissari di Governo
e, per conoscenza:
Alla Commissione per la Comunità europee

Per definire compiutamente il quadro logico, tecnico e giuridico nel quale si colloca la procedura di valutazione di impatto ambientale e, quindi, individuare i principi che devono guidarla, occorre muovere dalla constatazione che essa, come risulta, del resto, espressamente dal preambolo alla direttiva 85/337/CEE, costituisce uno degli strumenti necessari per realizzare l'obiettivo più generale della protezione dell'ambiente e della qualità della vita.
Più in particolare, è stato sottolineato, a livello comunitario, che la migliore politica ecologica consiste nell'evitare fin dall'inizio i guasti ambientali, tenendo conto, in tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, delle eventuali ripercussioni sull'ambiente, attraverso l'adozione di procedure per valutare queste ripercussioni.
Coerentemente con tale obiettivo la V.I.A., per sua natura, non può e non deve essere limitata alla compatibilità o meno del progetto, di volta in volta oggetto di esame, con l'ambiente sul quale esso viene specificamente ad incidere.
Una siffatta restrittiva configurazione dell'istituto appare del tutto inadeguata alla responsabilità che la CEE ha inteso addossare agli Stati membri in materia di qualità della vita, responsabilità che va riferita, evidentemente, al livello sovranazionale, come è, del resto, confermato dall'art. 7 della direttiva, riguardante, l'obbligo di circolarità delle informazioni concernenti le ripercussioni ambientali di progetti nazionali su altri Stati membri.
Sussiste, peraltro, anche in sede comunitaria, una evidente incongruenza tra la funzione e gli scopi della V.I.A. e la sua collocazione procedurale a livello di singola progettazione, ovverosia in un momento in cui un insieme di scelte di principio appare già definito, laddove sarebbe stato più logico prevedere la sua applicazione a monte, nella fase di piano o di programma, per tenere conto, preventivamente, di tutte le alternative attivabili, come del resto, ora previsto dai disegni di legge n. 64, n. 149 e n. 422 attualmente all'esame del Senato.
La circostanza, tuttavia, che la valutazione avvenga, nell'attuale quadro normativo, sui singoli progetti non può certamente alterarne il contenuto, che rimane quello di stabilire la sostenibilità di quel determinato progetto dall'ambiente.
Tale apprezzamento, che presuppone anche la stima della capacità di carico ambientale, non può trascurare, da un lato, gli impatti cumulativi e sinergici di più progetti, dall'altro, la ricerca di altre soluzioni, non solo come individuazione di misure mitigative nell'ambito di quel determinato progetto, ma anche come alternativa a quest'ultimo.
È ben vero che allo stato attuale della normativa, in ragione dell'infelice scelta di impostazione di cui si è fatto cenno, il giudizio di compatibilità ambientale non può avere ad oggetto ai sensi dell'art. 3, primo comma, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, i contenuti degli atti di pianificazione e programmazione, ma ciò sembra significare esclusivamente che il Ministero dell'ambiente non può, in sede di V.I.A., incidere direttamente su tali contenuti imponendo prescrizioni che vadano in contrasto con tali strumenti primari.
Rientra, invece, nell'ambito di valutazione, proprio della V.I.A., il giudizio circa la non accettabilità dello specifico progetto, sotto il profilo ambientale, ove siano ipotizzabili scelte diverse, ancorchè la loro concreta realizzazione richieda un intervento a monte sugli strumenti di piano e di programmazione in atto.
In questo caso, infatti, il Ministro dell'ambiente ha il potere-dovere di emettere un parere negativo sul progetto, posto che il suo giudizio non ha ad oggetto i contenuti degli atti di pianificazione e programmazione, bensì esclusivamente la sostenibilità per l'ambiente di una determinata opera, ancorchè conforme a tali atti, in comparazione con altre soluzioni accettabili, restando rimessa alla sede competente ogni decisione circa scelte diverse.
Una volta affermato un siffatto principio, va da sè che la valutazione di impatto ambientale debba avere ad oggetto non solo i contenuti tecnici, ma, altresì, quelli economici del progetto esaminato, essendo di tutta evidenza che, a parità, ad esempio di ripercussioni ambientali, il parere positivo potrà riguardare il progetto meno costoso, ovvero, a parità di costi, quello avente minore impatto ambientale, attraverso comunque, una analisi dei costi e dei benefici sociali in rapporto ai costi ambientali.
Ciò, del resto, si ricava non solo dalla logica complessiva del sistema, quale si è sopra delineata, ma anche dalla specifica normativa tecnica di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, che prevede l'acquisizione, in sede di V.I.A., di una serie di elementi significativi.
A tale scopo vanno richiamati, ad esempio:
l'art. 4, comma 3 (illustrazione da parte del committente dei risultati dell'analisi economica dei costi e benefici nonchè del tasso di redditività interna dell'investimento);
l'art. 4, comma 4, che in ottemperanza, del resto, ad una precisa indicazione contenuta nell'art. 2 dell'allegato III alla direttiva CEE, impone la prospettazione delle principali alternative prese in esame dal committente con l'indicazione delle principali ragioni delle scelte sotto il profilo dell'impatto ambientale;
l'allegato III, il quale, con riferimento alle infrastrutture lineari di trasporto, ovverosia alle opere che più delle altre sono suscettibili di soluzioni alternative, espressamente prevede che nella descrizione del progetto debba essere giustificata la scelta di tracciato, non solo raffrontando la soluzione prevista con altre alternative, ma evidenziando le motivazioni della scelta in base a parametri di carattere tecnico, economico e ambientale.
Fattori questi che danno ragione della pertinenza necessaria del giudizio ambientale anche a questi elementi.
Un siffatto quadro ricostruttivo, che appare coerente con i principi informatori della V.I.A. sia a livello comunitario, sia sotto il profilo concettuale e logico dell'istituto, non appare scalfito dalla circostanza che, in base all'art. 3, primo comma, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, gli atti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale "costituiscono parametri di riferimento per la costruzione del giudizio di compatibilità ambientale".
Tale previsione, infatti non può essere interpretata nel senso che il potere di valutazione ambientale sia un potere preordinato esclusivamente a muoversi nell'ambito degli strumenti primari, e debba limitarsi, quindi alla verifica di compatibilità delle specifiche soluzioni progettuali con l'ambiente nel quale, in base alla pianificazione, l'opera sia comunque destinata a collocarsi, ove coerente con detta pianificazione.
Infatti una siffatta riduttiva visione della V.I.A., appare inconciliabile con l'altra previsione, anch'essa contenuta nello stesso art. 3, terzo comma, secondo la quale il quadro di riferimento programmatico deve descrivere "le eventuali disarmonie di previsioni contenute in distinti strumenti programmatici".
Tale indicazione, infatti, non avrebbe alcuna utilità concreta se non riguardata alla luce del potere del Ministro dell'ambiente di valutare, in sede di V.I.A., le possibili soluzioni alternative, anche svincolate dallo strumento di pianificazione nel quale l'opera progettata si inserisce.



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