TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

L’ICT CHE VERRÀ


di Carlo D’Ottone e Guido di Gennaro

Nel quadrante informatico dell’Italia scocca l’ora per l’azzeramento del ritardo accumulato nei confronti degli altri paesi europei. L’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA) ed il Dipartimento della Funzione Pubblica (DFP) attraverso documenti, studi di settore, consulenze e gruppi di lavoro hanno messo a punto la strategia definitiva che porterà il nostro Paese alla pari del resto d’Europa.

A partire da giugno, con successive ed incalzanti conferenze stampa, il prof. Rey (AIPA) e l’On.le Bassanini (DFP) hanno delineato le direttrici di attacco al "gap" informatico indicando gli strumenti e quantificando i tempi di realizzazione e le risorse impegnate nel progetto. Tuttavia in questa faraonica operazione non hanno affrontato il problema del tipo di software sul quale poggiare il sistema informativo della pubblica amministrazione: hanno preferito imboccare la strada della comoda "non scelta" che ci porterà, se non si correrà rapidamente ai ripari, ad una assoluta dipendenza e ad un analfabetismo informatico diffuso.

Altri paesi hanno scelto la via dell’open-source / free-software: la Francia ha intenzione di utilizzarlo su tutti i mail-server della pubblica amministrazione, Israele lo ha adottato per motivi di sicurezza, il Messico sta informatizzando le sue 130.000 scuole con corposi risparmi, la Cina, infine, intende servirsene per mantenere saldamente la sua indipendenza anche nel campo informatico senza tuttavia isolarsi.

Ciò che colpisce è l’assoluta assenza di una qualsiasi valutazione tecnica, economica o politica sull’argomento da parte di chi ha pianificato interventi di sviluppo di tale rilevanza.

La questione è di certo conosciuta: proposte di accademici giacciono nel sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dedicato alla società dell’informazione, a testimoniare che la scelta non è di poco conto e che l’alternativa del software libero non è soltanto una moda o una tendenza di alcuni "romantici" sistemisti.

È ben noto che i programmi proprietari e soprattutto i formati proprietari condizionano l’utente privato e/o pubblico, il quale è asservito agli umori economici del produttore; questo significa che il cambiamento di un solo byte nel formato proprietario costringe l’utente ad acquistare il nuovo software.

È altrettanto ben noto che la mancanza del sorgente impedisce di conoscere cosa fa effettivamente il software: non si è dimenticato il grosso scandalo scoppiato un anno fa intorno alle voci che Windows avesse nascosto al suo interno un meccanismo (la cosiddetta NsaKey) che avrebbe consentito al governo americano di entrare furtivamente nel computerche lo utilizzava; e nonostante le smentite, i dubbi sono rimasti: senza sicurezza nelle informazioni non può esistere una sicurezza nazionale né economica né politica né militare.

Anche la Comunità europea ha pubblicato un interessante documento sull’argomento, dove esperti del settore valutano positivamente l’opzione dell’open-source, ma è rimasto unica testimonianza di un’occasione che deliberatamente non si vuol cogliere.

La pervicacia con la quale sono stati richiesti sacrifici economici ai cittadini europei per unificare la moneta, simbolo di indipendenza, si contrappone al supino e silenzioso sottostare alla dipendenza tecnologica pur disponendo delle risorse per rendersi autonomi in un campo riconosciuto strategico per l’Europa.

L’incertezza dell’obiettivo finale scaturisce dall’esame di ciò che DFP e AIPA propongono: lo sviluppo di una diffusa cultura informatica contrasta con l’adozione di software chiuso che al massimo può generare le competenze che un tempo erano patrimonio dell’operatore di sala macchine. L’economicità, la facile reperibilità del software, l’abbondante documentazione in tutte le lingue e la libera circolazione delle idee sono i fattori che fanno diffondere spontaneamente la cultura dell’informatica.

Ormai è storia: la vasta diffusione negli anni ‘80 degli home-computers (Commodore 64, Spectrum e Texas Instruments) ed in particolare di quei modelli i cui produttori non esitavano a pubblicizzarne le specifiche per allargare la schiera degli utenti, le direttive del governo d’oltralpe che obbligarono i produttori a fornire manuali in lingua francese per rendere questo strumento rapidamente popolare, mentre in Inghilterra la BBC diffondeva i primi corsi di programmazione sullo Z-80. Da quel momento abbiamo iniziato a perdere terreno per l’insensibilità della politica verso l’informatica e anche se oggi c’è la volontà di recuperare, l’obiettivo che le istituzioni si prefiggono di raggiungere contrasta con il metodo adottato.

Una diffusa cultura informatica, una larga base di specialisti a tutti i livelli si può formare soltanto creando le condizioni di ambiente tali che la crescita avvenga spontaneamente, dal basso e non imposta con direttive o prescrizioni. E per far ciò è necessario rendere disponibili tutte le risorse necessarie, gli stimoli a partecipare, dare concreti ritorni al merito e all’impegno del singolo o delle organizzazioni: tutto questo porta all’abbattimento di strutture oligarchiche di gestione ed alla creazione di sistemi reticolari di produzione, partecipazione, sviluppo e certificazione del software.

La maggiore difficoltà che si riscontra valutando la possibilità di uno sviluppo industriale derivante da investimenti nell’open-source è l’incertezza dei ricavi dovuta alla indisponibilità dei brevetti e alla non esclusività del codice, parametri questi alla base di qualsiasi iniziativa imprenditoriale. È un problema, quello del modello di sviluppo industriale economicamente sostenibile, sul quale si è dibattuto a lungo con argomentazioni valide da parte dei fautori e di coloro che non vedono grandi possibilità di affermazione di aziende che si impegnassero nella produzione di prodotti open. Né possiamo trarre grosse indicazioni proprio da parte di coloro che investono e rischiano i propri capitali in tali imprese, tutti gli stocks dei distributori LINUX, ad esempio, a fronte di una iniziale crescita, sull’onda della new-economy, hanno visto drasticamente ridimensionare le quotazioni che sono tornate ai valori iniziali di ingresso dimostrando un alto tasso di volatilità.

Sicurezza, autonomia ed economicità sono i tre punti su cui un sistema nazionale informatico deve basarsi. Quanto al primo elemento, la sicurezza, siamo perplessi di fronte all’ultima realizzazione dell’AIPA, la G-NET, una rete che collega tutti gli uffici di Gabinetto dei ministeri sulla quale dovrebbero viaggiare dati strategici per la nazione. L’architettura si basa su software proprietario, senza sorgente, di cui solo il produttore conosce le eventuali back-doors ed è stato più volte oggetto, su altri server, di intrusioni e danneggiamenti senza che i responsabili potessero direttamente intervenire non conoscendo il codice. Tra l’altro tutta l’architettura è clonabile visto che si è ricorsi anche per il software di base a prodotti commerciali permettendo a chi fosse interessato a farlo di crearsi in casa una propria G-NET sulla quale effettuare tutti i test di intrusione. Se in questa rete sono presenti dati strategici per la nazione, esiste un giustificato timore per la poca intrinseca sicurezza; se altrimenti l’importanza delle informazioni non riveste un tale carattere di riservatezza, ci si chiede perché siano stati investiti tanti miliardi nel progetto. Lo stato di Israele, che vive di sicurezza, ha scartato un’opzione simile alla G-NET, pur ottenendo la disponibilità dei sorgenti dal produttore; ha invece privilegiato l’opzione open-source che per semplicità di struttura e funzionalità offre maggiori garanzie. Sarebbe interessante poter disporre della documentazione dei test comparativi e delle motivazioni di tale scelta.

La sicurezza sistemistica offerta dall’open-source è rafforzata dall’indipendenza dal fornitore, quello dell’informatica sembra l’unico esempio di dipendenza esclusiva di uno Stato da un’azienda, situazione abnorme cui al momento nessuna autorità sembra dimostrare sensibilità ed interesse.

Un’ultima osservazione sul perché della scelta open-source: la P.A. non ha mai saputo sapientemente gestire la sua condizione di gigantesco cliente per spuntare prezzi di acquisto limati su quelli industriali ma si è limitata ad accettare sconti percentuali, anche apparentemente cospicui, su forniture gigantesche ma soprattutto vincolanti nel tempo.

Ma l’ingresso dell’open-source nella P.A. necessita di un’organizzazione che eviti sbandamenti dovuti all’assenza di un attento servizio marketing aziendale; è quindi necessario prevedere una struttura che sappia garantire la qualità e gestire l’inserimento del software libero e nello stesso tempo incentivare lo sviluppo dei prodotti necessari alle istituzioni.



 
 


AIPA – Presentato il piano per l’informatica 2001 - 2003

Il 3 agosto 2000, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella sede dell’AIPA, alla quale abbiamo partecipato, il prof. Rey, presidente dell’AIPA e l’on. Bassanini, ministro della Funzione Pubblica, hanno presentato il nuovo piano triennale per l’informatica della P. A. 2001 – 2003.

Il piano, che solo per il primo anno del triennio sfiora la ragguardevole cifra di 5.000 miliardi di lire di investimenti, si colloca in uno scenario profondamente innovato dopo la prima fase del processo di informatizzazione: riferisce Rey che è stato raggiunto l’obiettivo di due stazioni di lavoro ogni tre dipendenti, che la metà delle postazioni sono in rete locale, che le amministrazioni si stanno collegando alla RUPA; che sono già sperimentati la patente elettronica, il sistema informativo per i residenti all’estero, il mandato informatico, il fisco telematico, il sistema di interconnessione Catasto-Comuni, l’interconnessione delle anagrafi comunali. Ma a qualcuno degli attenti giornalisti intervenuti non sfugge il classico atteggiamento borbonico che dietro l’apparente attenzione ai diritti del cittadino cela l’impegno ad attivare quelle procedure che consentano di raggiungere un pieno sistema impositivo fiscale. Nello scenario delineato da Rey si colloca il piano complessivo di intervento per l’amministrazione elettronica del paese, varato dal governo a giugno scorso, nel quale sono individuati gli obiettivi strategici e le specifiche azioni per l’utilizzo delle tecnologie ICT ai fini dell’ammodernamento della P. A.. Questo piano di e-government, con un onere finanziario per il 2001 di 1.335 miliardi di lire, investe nei campi dell’istruzione, della formazione, della ricerca, con milioni di ore di formazione di base, apertura di centri multimediali, cablatura e collegamento ad internet di gran parte delle scuole, formazione dei docenti. La realizzazione della carta di identità elettronica e l’attuazione della firma digitale completano il piano che dovrebbe consentire di migliorare l’efficienza operativa interna delle amministrazioni, offrire ai cittadini servizi integrati, garantire l’accesso telematico a informazioni e servizi delle amministrazioni.

Mentre regna confusione circa le scelte strategiche ed i ruoli dei soggetti deputati ad operare, neppure l’obiettivo appare chiaramente individuato.

Questo, in sintesi, è lo scenario che si dispiega a chi abbia la pazienza di leggere la documentazione prodotta, confrontandone i contenuti con le opzioni di altri Stati dove l’informatica assume valenza strategica per la nazione.

Il piano di "e-government" (DFP) ed il "Piano Triennale" (AIPA) non aprono alcun orizzonte culturale, vero punto di forza di un’azione incisiva, ma si limitano ad incrementare a dismisura quella politica burocratico-gerarchica, fatta di cospicui investimenti ed interventi di massa, che ci relega sempre più in basso nelle classifiche delle ICT. Il far seguire corsi sulla videoscrittura e su un foglio di calcolo a migliaia di pubblici dipendenti non produce cultura né competenza informatica ma soltanto abilità ad eseguire un certo numero di operazioni: per favore non chiamiamola "Formazione" salvo non si ritenga fine ultimo dell’operazione sfornare migliaia di cyber-dattilografi!


Congresso AICA a Taormina

Nello splendido scenario di Taormina, si è tenuto dal 27 al 30 settembre 2000 il congresso annuale AICA sul tema "Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione come motore di sviluppo del Paese". Per l’A.N.I.P.A. sono intervenuti il presidente Raffaele Pinto, il vicepresidente Carlo D’Ottone, Domenico Savino e Renato Mastrosanti, i cui interventi hanno suscitato un interessante dibattito. Come tema principale degli interventi, l’ANIPA ha annunciato la volontà di dare esecuzione ad un proprio progetto per lo sviluppo di software aperto nell'ambito della Pubblica Amministrazione.

Il progetto, denominato "SOFTWARE NOSTRUM" per enfatizzare il principio di libera partecipazione e coinvolgimento del maggior numero di persone, tipico dell'open-source, pone come obiettivo oltre quello di sviluppare procedure per le istituzioni anche l'ampliamento ed il miglioramento della cultura informatica in Italia.