IMMANUEL KANT

(Konigsberg 1724-1804)

Tedesco - Prussiano di origine scozzese, studiò filosofia, matematica e teologia. Nell'attività letteraria si possono distinguere 3 periodi: nel primo, fino al 1760, prevale l'interesse per le scienze naturali; nel secondo, fino al 1781 prevale l'interesse filosofico; nel terzo prevale la filosofia trascendentale. Le sue opere più importanti sono "Critica della ragion pura", "Critica della ragion pratica" e "Critica del giudizio". Vive pienamente l'Illuminismo ed il suo pensiero è il frutto maturo dell'Illuminismo, anche se vi sono alcune istanze che preannunciano il Romanticismo. Fonda il criticismo che pone la ragione di fronte al tribunale di se stessa per comprenderne i limiti e le effettive possibilità di conoscenza. Ciò avviene perché, in seguito al fallimento del razionalismo e dell'empirismo e quindi del pensiero scientifico, si pone il problema di comprendere l'effettiva validità della scienza e la corrispondenza con la realtà oggettiva. Il razionalismo, partendo da assiomi, sfocia nel dogmatismo, come dogmatica è la sua asserzione di una ragione infinita; di contro l'empirismo, partendo dall'osservazione di dati empirici, quindi mutevoli e contingenti, con Hume sfocia nello scetticismo negando la certezza riguardo il mondo fenomenico. Inoltre il razionalismo deduttivo - analitico nei suoi procedimenti logici conferisce universalità ai suoi enunciati ma non concretezza, in quanto il predicato non è altro che una specificazione ulteriore del soggetto. Es.: i corpi sono estesi. Il razionalismo partendo da principi primi non fa altro che specificare sempre di più l'enunciato che resta astratto, ma specifica principi universali; l'empirismo, invece, è concreto ma non universale, in quanto prende in esame solo i casi particolari, aggiungendo nel predicato qualcosa di più al soggetto. Es.: quel corpo è tondo. Kant, raccogliendo le istanze del suo tempo che vedevano vacillare le certezze nelle scienze, a causa del fallimento sia del razionalismo che dell'empirismo, volle verificarne la portata, vuole vedere se le scienze cosiddette esatte, compresa la metafisica, fossero da considerarsi certe e universali. Per questo volle stabilire, col criticismo, i limiti della ragione umana. Secondo la sua filosofia tutto ciò che sarà rientrato, dopo opportuna verifica, entro questi limiti sarà da considerarsi scienza a tutti gli effetti, mentre ciò che cade al di là di questi limiti non può configurarsi ugualmente come scienza sicura e universale. A garantire il vero giudizio su questi limiti della ragione sarà la ragione stessa, non condizionata da alcuna altra istanza (religione, credenze, educazione, altre filosofie), quindi libera, decondizionata, autonoma. Il punto fondamentale della filosofia kantiana consiste nella centralità del soggetto: il soggetto pensante, cioè l'uomo, è l'unico ordinatore della realtà esterna, in quanto grazie alle forme a priori insite nella sua mente, egli elabora i dati pervenutigli dall'esperienza. Non è importante quello che è fuori, i dati percepiti l'uomo li ordina con la propria mente, quindi il mondo è come lo vede il soggetto. Questa operazione è detta rivoluzione copernicana, in quanto come Copernico nel campo della cosmologia pone il Sole e non più la Terra al centro dell'universo, così Kant nel campo della gnoseologia, cioè della conoscenza, pone il soggetto e non più l'oggetto al centro della realtà. Es.: è come se noi avessimo tutti quanti occhiali fissi azzurri, vedremmo il mondo azzurro, quindi il mondo sarebbe azzurro. I principi universali sono uguali a tutti. Lo spazio ed il tempo sono per Kant forme a priori, cioè concetti universali, principi fondamentali che ci hanno permesso di fondare la matematica, la fisica e la geometria. Il campo del sentimento è un campo a parte. Per determinare i limiti della ragione e quindi la validità delle scienze che in essi sono racchiusi, Kant elabora il giudizio sintetico a priori che è 1) il giudizio con cui la ragione giudica la validità delle sue conoscenze; 2) la modalità attraverso cui avviene la conoscenza. Questo giudizio si avvale di due elementi: quello sintetico è dovuto ai dati che ci provengono dall'esterno (a posteriori), e quello a priori che si avvale delle forme a priori (trascendentali) insite nella nostra mente che elaborano ordinando il dato sintetico (empirico). Per materia della conoscenza s'intende la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza; Per forma s'intende l'insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana ordina, secondo determinati rapporti, tali impressioni. Kant distingue tra fenomeno e cosa in sé: il primo è la realtà come ci appare tramite le forme a priori, mentre la seconda è la realtà considerata indipendentemente da noi e dalle forme a priori e quindi ci è sconosciuta. Nel periodo critico già nella "Dissertazione" Kant prese in esame i concetti di spazio e di tempo e, differentemente da Newton, che nella sua fisica aveva stabilito l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti, Kant concepisce lo spazio ed il tempo come forme a priori soggettive e universali (l'elemento sensibile deve essere ordinato con le forme di spazio e di tempo). Il problema delle scienze e della loro necessità e universalità è affrontato poi nell'opera di Kant "Critica della ragion pura". In quest'opera, divisa in 3 parti, estetica trascendentale, analitica trascendentale, dialettica trascendentale, Kant esamina 3 momenti della conoscenza umana: estetica o sensibile, intellettiva, razionale. Nell'ambito di questa indagine Kant ripercorrendo i vari gradi di conoscenza (sensibile, intellettiva, razionale), vuole accertarsi dell'universalità e necessità delle scienze. La ragion pura o necessaria si oppone alla ragion pratica, e si occupa di tutto ciò che riguarda il modo di ragionare teoretico mentre la pratica è tutto ciò che presuppone una scelta. Trascendentale perché dipende dalle forme a priori. Nell'"Estetica trascendentale" Kant prende in esame la conoscenza sensibile: il primo momento di essa è dato dal contatto dei nostri sensi con i dati dell'esperienza. Questo è il momento passivo; questi stessi dati vengono poi elaborati dalle forme a priori di spazio e di tempo, per cui noi abbiamo la percezione del fenomeno e questo è il momento attivo. Sulla conoscenza sensibile si basano la matematica e la geometria in quanto scienze derivanti dal dato a posteriori a sintetico, elaborato dalle forme a priori di spazio e di tempo. Le forme a priori della sensibilità, spazio e tempo, si chiamano anche intuizioni pure. Lo spazio è la forma del senso esterno e del disporsi delle cose; il tempo è la forma del senso interno, cioè una forma a priori che sta a fondamento dei nostri stati interni e del loro disporsi in un ordine di successione. Queste forme a priori non hanno contenuto e senza l'esperienza non esisterebbero. La matematica e la geometria sono quindi accertate come scienze universali e necessarie in quanto la loro conoscenza si basa sul giudizio sintetico a priori. Nell'"Analitica trascendentale" Kant esamina le modalità con cui la mente concettualizza la conoscenza sensibile. L'elemento sintetico qui è costituito dal dato proveniente appunto dalla sensibilità, mentre le forme a priori sono le categorie o concetti puri. Le categorie sono 12 ed appartengono alle 4 classi categoriali classiche: qualità, quantità, relazione e modalità. Questo procedimento cognitivo consente di garantire alla fisica il suo ruolo di scienza universale dimostrata. In una sezione dell'analitica trascendentale chiamata schematismo trascendentale, Kant si propone di risolvere il problema del collegamento tra le categorie ed affermò che questo tramite è il tempo in quanto ogni categoria può concepirsi come uno schema immerso nel tempo. In un'altra sezione chiamata deduzione trascendentale, Kant si propone di risolvere il problema di come le categorie si colleghino tra loro dando luogo ad una conoscenza organica del mondo, cioè a come si può superare la visione parziale del mondo che darebbe ogni categoria se non si organizzasse insieme alle altre per fornircene una visione globale. Il compito di ordinare i concetti tra loro è esplicato dall'Io penso che è una categoria suprema che elaborando i dati di ogni categoria li organizza in una visione globale della realtà. L'Io penso stabilisce anche i limiti della ragione. Nella "Dialettica trascendentale" Kant affronta il problema se la metafisica può essere considerata come scienza. Con la "Dialettica" Kant si propone d'indagare la sfera razionale della conoscenza (sensibilità, estetica, dialettica). Nell'ambito di questa trattazione Kant prende in esame le idee della ragione, cioè anima, mondo, Dio. L'anima è l'idea della totalità assoluta dei fenomeni interni; il mondo è l'idea della totalità assoluta dei fenomeni esterni; Dio è inteso come totalità di tutte le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste. Kant vuole giungere al giudizio su tali idee, per stabilire che la metafisica cade nei limiti della nostra ragione o al di là di essi, quindi se è o no una scienza. Per far ciò Kant prende in esame le discipline che fino ad allora avevano trattato i problemi inerenti la metafisica: la Psicologia razionale, che ha come oggetto l'anima; la Cosmologia razionale, che ha come oggetto il mondo e la sua totalità; la Teologia razionale che ha come oggetto Dio. Riguardo alla psicologia Kant afferma che essa è fondata su "paralogismi, cioè ragionamenti errati". Questi hanno solo l'apparenza della logica, ma in realtà non si avvalgono di nessun elemento sintetico (nessun dato, sfuggono al giudizio sintetico a priori, poiché non c'è l'elemento a posteriori). Per quanto riguarda la cosmologia, egli afferma che anche questa è una pseudo-scienza, in quanto si avvale di antinomie. Queste sono veri "conflitti della ragione" che si concretizzano in coppie di affermazioni opposte, ugualmente possibili perché non verificabili, dove l'una afferma (tesi) e l'altra nega (antitesi). Es.: il mondo è finito o il mondo è infinito? Nel mondo tutto è semplice o composto? Nelle cause cosmiche vi è un essere necessario o tutto è contingente? Kant divide queste antinomie in matematiche (le prime 2) e dinamiche (le altre). Le antinomie dimostrano l'illegittimità dell'idea del mondo. Per la teologia, mancando dell'elemento a posteriori e cioè dell'esperienza di Dio, Kant afferma che essa non può considerarsi scienza. Secondo il filosofo, Dio rappresenta l'ideale della ragion pura, cioè il modello supremo di ogni realtà e perfezione. Riguardo le "prove dell'esistenza di Dio" Kant le raggruppa in 3 classi.

1) prova ontologica, che pretende di ricavare l'esistenza di Dio dal semplice concetto di essere perfettissimo;

2) prova cosmologica, che gioca sulla distinzione fra contingente e necessario;

3) prova fisico-teologica, che fa leva sull'ordine, sulla finalità e sulla bellezza del Mondo per innalzarsi ad una Mente ordinatrice, identificata con Dio. Nella "Dialettica trascendentale" quindi Kant stabilisce il carattere non scientifico della metafisica, ma comunque si pone il problema della genesi di tali idee (anima, mondo, Dio) e conclude che esse sono espressione dell'immaginazione dell'"Io penso" che è sfuggito dai limiti propri della realtà. La metafisica è comunque un'esigenza della ragione in quanto le sue idee (anima, mondo, Dio) hanno una funzione regolativa. Infatti senza tali idee noi non avremmo alcuna spinta per portare avanti il nostro pensiero, le nostre ricerche, le nostre aspirazioni. Infatti noi viviamo come se potessimo giungere alla comprensione del cosmo, perciò portiamo avanti la scienza. Senza queste idee l'uomo sarebbe fermo, molto più indietro nello sviluppo e nel progresso. La ragione serve anche a dirigere l'azione e quindi accanto alla ragione teoretica abbiamo anche la ragione pratica. Kant distingue tra una ragion pura pratica, che opera indipendentemente dall'esperienza e dalla sensibilità, e una ragione empirica pratica, che opera sulla base dell'esperienza. La "Critica della ragion pratica" serve a distinguere in quali casi la ragione è pratica e pura, cioè morale, e in quali casi essa è pratica senza essere pura. La ragione pratica non ha bisogno di essere criticata nella sua parte pura, perché in questa essa si comporta in modo perfettamente legittimo, obbedendo ad una legge universale. Invece nella sua parte legata all'esperienza la ragione pratica può darsi delle massime, cioè delle forme di azione, dipendenti dall'esperienza e perciò non legittime dal punto di vista morale. Anche la ragion pura pratica presenta dei limiti; infatti la morale risulta profondamente segnata dalla finitudine dell'uomo e necessita di essere salvaguardata dal fanatismo, ossia dalla presunzione di identificarsi con l'attività di un essere infinito. Nel campo morale la ragione umana non è condizionata dai fenomeni come nel mondo della conoscenza, ma dal fatto che la ragione incontra la resistenza della natura sensibile dell'uomo. Kant non restaura nel campo morale l'assolutezza della metafisica. Alla base della "Critica della ragion pratica" vi è la persuasione che esista nell'uomo una legge morale a priori valida per tutti e per sempre, che il filosofo ha il compito di constatare. Kant non ha alcun dubbio sull'esistenza di una legge morale assoluta o "incondizionata": infatti o la morale è una chimera, in quanto l'uomo agisce in virtù delle solo inclinazioni naturali, oppure, se esiste, risulta per forza incondizionata, presupponendo una ragion pratica pura, cioè capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili. Questo implica 2 concetti di fondo strettamente legati tra loro: la libertà dell'agire e la validità universale e necessaria della legge. Essendo incondizionata, la morale implica la capacità umana di autodeterminarsi al di là delle sollecitazioni istintuali, facendo si che la libertà si configuri come il presupposto della vita etica. Essendo indipendente dagli impulsi del momento e da ogni condizione particolare, la legge risulterà anche universale e necessaria. Per Kant la morale è ab-soluta, cioè sciolta dai condizionamenti istintuali. Se l'uomo fosse solo sensibilità la morale non esisterebbe perché l'uomo agirebbe sempre per istinto; se l'uomo fosse pura ragione la morale perderebbe di senso in quanto l'individuo sarebbe sempre nella "santità etica", cioè in una situazione di perfetta adeguazione alla legge. La "Critica della ragion pratica" si divide in 2 parti: la Dottrina degli elementi e la Dottrina del Metodo: la prima tratta degli elementi della morale e si divide in Analitica , che è la regola della verità, e Dialettica, che è l'esposizione e la soluzione dell'antinomia della ragione pratica. La Dottrina del metodo tratta del modo in cui le leggi morali possono accedere all'animo umano. Kant distingue i principi pratici che regolano la nostra volontà in massime ed imperativi. La massima è una prescrizione di valore soggettivo. Gli imperativi sono prescrizioni di valore oggettivo e si dividono in imperativi ipotetici e imperativi categorici; i primi prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini ed hanno la forma del "se… devi"; i secondi ordinano il dovere in modo incondizionato ed hanno la forma del "devi". Solo l'imperativo categorico, che ordina un "devi" assoluto, e quindi universale e necessario, ha in se stesso i contrassegni della moralità. L'imperativo categorico ha 3 formule-base, di cui solo la prima fa parte della "Critica della ragion pratica": 1) "Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale": questo ci ricorda che un comportamento risulta morale solo se la sua massima appare universalizzabile. 2) "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona che in quella di ogni altro, sempre come fine e mai come mezzo" cioè "rispetta la dignità umana" 3) Agisci in modo che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice": Questo sottolinea l'autonomia della volontà, poiché il comando morale è il frutto spontaneo della volontà razionale. Abbiamo poi la formalità della legge, che ci dice come dobbiamo fare ciò che facciamo. Se quest'ultima non fosse formale, ma prescriverebbe contenuti concreti, sarebbe vincolata ad essi perdendo la libertà e l'universalità. Le norme etiche concrete in cui si incarna l'imperativo categorico esistono solo in funzione di esso, che è ciò che le suscita e le giustifica. L'imperativo etico è anche anti-utilitaristico, poiché se la legge ordinasse di agire in vista di un utile, si ridurrebbe ad una serie di imperativi ipotetici, e comprometterebbe la sua libertà, perché sarebbero gli oggetti a dare una legge alla volontà, e la sua universalità, poiché gli scopi sono soggettivi. Quindi non si deve agire per la felicità, ma solo per il dovere. Il rigorismo kantiano esclude dall'etica emozioni e sentimenti che sviano la morale o ne inquinano la severa purezza, mentre l'unico sentimento accettato è il rispetto della legge. Kant sostiene che non è morale ciò che si fa, ma l'intenzione con cui lo si fa, essendo la volontà buona l'unica cosa incondizionatamente buona al mondo. Il dovere e la volontà buona innalzano l'uomo al di sopra del mondo sensibile e lo fanno partecipare al mondo intelligibile (noumenico), dove vige la libertà; questo mondo esiste solo come forma del mondo sensibile. La rivoluzione copernicana morale consiste nell'aver posto nell'uomo e nella sua ragione il fondamento dell'etica, al fine di salvaguardarne la piena purezza. Kant polemizza contro tutte le morali eteronome, che pongono il fondamento del dovere in forze esterne all'uomo, facendo scaturire la morale da principi materiali. Egli ha racchiuso in una tavola i diversi motivi etici teorizzati dai filosofi ed individua i limiti di ciascuno, che risiedono nel fatto di non riuscire a preservare l'incondizionatezza della legge morale. Le varie religioni o filosofie possono interpretare in modo diverso la volontà divina, distruggendo così l'universalità del valore morale. Il razionalismo aveva fatto dipendere la morale dalla metafisica, mentre l'empirismo l'aveva fatta dipendere dal sentimento. Contro il razionalismo Kant afferma che la morale si basa unicamente sull'uomo e sulla sua dignità di essere razionale finito e non dipendente da preesistenti conoscenze metafisiche. Contro l'empirismo Kant sostiene che la morale si fonda unicamente sulla ragione, in quanto il sentimento risulta qualcosa di troppo facile e soggettivo. Secondo Kant è la legge etica a fondare e a dare un senso alle nozioni di bene e di male. Nella "Dialettica" Kant prende in considerazione l'assoluto morale, o il sommo bene. La felicità non può mai erigersi a motivo del dovere, perché metterebbe in forse l'incondizionatezza della legge etica. Tuttavia la virtù non è ancora quel sommo bene a cui tende irresistibilmente la nostra natura, che consiste nell'unione di virtù e felicità. In questo mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, in quanto lo sforzo di essere virtuosi e la ricerca della felicità sono 2 azioni opposte, poiché l'imperativo etico implica la sottomissione degli istinti. Virtù e felicità formano l'antinomia etica per eccellenza e Kant rileva come i filosofi greci abbiano vanamente tentato di scioglierla, per quanto riguarda questa vita, o risolvendo la felicità nella virtù come gli Stoici, o la virtù nella felicità come gli Epicurei. L'unico modo per uscire da questa antinomia è di postulare un mondo dell'aldilà in cui possano realizzarsi la virtù e la felicità insieme. I postulati di Kant sono quelle esigenze interne della morale che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa, ma che di per se stesse non possono essere dimostrate. I postulati tipici di Kant sono l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio. Riguardo il postulato dell'immortalità, Kant afferma che poiché solo la santità rende degni del sommo bene e poiché la santità non è realizzabile nel nostro mondo, si deve per forza ammettere che l'uomo, oltre il tempo finito dell'esistenza, possa disporre, in un'altra zona del reale, di un tempo infinito grazie a cui progredire all'infinito verso la santità. La realizzazione del sommo bene, ossia della felicità proporzionata alla virtù, comporta il postulato dell'esistenza di Dio, ossia la credenza in una volontà santa ed onnipotente, che faccia corrispondere la felicità al merito. Kant pone come postulato anche la libertà, che è la condizione stessa dell'etica, che nel momento stesso in cui prescrive il dovere presuppone anche che si possa agire o meno in conformità di esso. Egli la classifica come postulato perché ritiene che l'idea di libero arbitrio non possa venire scientificamente affermata, in quanto il mondo dell'esperienza si regge sul principio di causa-effetto. Tuttavia Kant sostiene che se nel mondo fenomenico vige il determinismo, nel regno della cosa in sé potrebbe trovare posto la libertà. La teoria dei postulati mette a capo ciò che Kant definisce primato della ragion pratica, consistente nella prevalenza dell'interesse pratico su quello teoretico e nel fatto che la ragione, in quanto è pratica, ammette proposizioni che non potrebbe ammettere ne suo uso teoretico, come la metafisica. Se i postulati fossero delle verità dimostrate o delle certezze comunque intese, la morale scivolerebbe immediatamente verso l'eteronomia e sarebbero la religione o la metafisica a fondare la morale. Kant sostiene che non sono le verità religiose a fondare la morale, bensì la morale, sia pure sotto forma di postulati, a fondare le verità religiose. Dio non sta all'inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine, come suo possibile completamento. L'uomo è colui che agisce seguendo solo il dovere per il dovere con la ragionevole speranza nell'immortalità dell'anima e nell'esistenza di Dio. La "Critica del Giudizio" studia il sentimento. Il sentimento tende a figurarsi il mondo fisico in termini di finalità e di libertà e rappresenta soltanto un'esigenza umana che non ha valore conoscitivo o teoretico. Per Kant i giudizi sentimentali costituiscono il campo dei giudizi riflettenti in contrapposizione al campo dei giudizi determinanti. I giudizi riflettenti sono i giudizi sentimentali, che si limitano a "riflettere" su di una natura già costituita mediante i giudizi e ad apprenderla attraverso le nostre esigenze universali di finalità e di armonia. I giudizi riflettenti esprimono un bisogno che è tipico di quell'essere finito dell'uomo. La parola Giudizio assume il significato filosofico di organo dei giudizi riflettenti, ossia di una facoltà intermedia fra la conoscenza e la morale. I 2 tipi fondamentali di giudizio riflettente sono quello estetico, che verte sulla bellezza, e quello teleologico, che riguarda il discorso sugli scopi della natura. Entrambi sono giudizi sentimentali puri, cioè derivanti a priori dalla nostra mente, ma, mentre nel giudizio estetico noi viviamo immediatamente o intuitivamente la finalità della natura, nel giudizio teleologico noi pensiamo concettualmente tale finalità mediante la nozione di scopo. Nel primo la finalità esprime un venir incontro dell'oggetto alle aspettative estetiche del soggetto, mentre nel secondo essa esprime un carattere proprio dell'oggetto. Kant parla nel primo caso di finalità soggettiva o formale, e nel secondo caso di finalità oggettiva o reale, ma anche il giudizio teleologico esprime un bisogno soggettivo della nostra mente di rappresentarsi in modo finalistico l'ordine delle cose. Nella "Critica del Giudizio" il termine estetica assume nuovamente il significato di "dottrina dell'arte e della bellezza". Il bello è l'oggetto di un piacere senza alcun interesse. I giudizi estetici sono caratterizzati dall'essere contemplativi e disinteressati, poiché non si curano dell'esistenza o del possesso degli oggetti, ma solo della loro immagine o rappresentazione. Il bello è ciò che piace universalmente, senza concetto. Il giudizio estetico si presenta con una tipica pretesa di universalità, in quanto esige che il sentimento di piacere provocato da una cosa bella sia condiviso da tutti, senza che il bello sia sottomesso a qualche concetto o esprima un piacere dipendente da una conoscenza. Kant, quando difende l'universalità del giudizio estetico, intende asserire che nel giudizio estetico la bellezza è vissuta come qualcosa che deve venir condiviso da tutti. Kant distingue tra il campo del piacevole, che è ciò che piace ai sensi nella sensazione, ed il campo del piacere estetico, che è il sentimento provocato dall'immagine o "forma" della cosa che diciamo bella. Il piacevole da luogo ai "giudizi estetici empirici", scaturienti dalle attrattive delle cose sui sensi e legati alle inclinazioni individuali, e perciò privi di universalità. Il piacere estetico è qualcosa di "puro", che si concretizza nei "giudizi estetici puri", scaturienti dalla sola contemplazione della "forma" di un oggetto e solo giudizi di questo tipo hanno la pretesa dell'universalità, in quanto non soggetti a condizionamenti di vario tipo. Fondando il giudizio di gusto e la sua universalità sulla mente umana, Kant è pervenuto ad una rivoluzione copernicana estetica, incentrata sulla tesi secondo cui il bello non è una proprietà oggettiva od ontologica delle cose, ma il frutto di un incontro del nostro spirito con esse, cioè qualcosa che nasce solo per la mente ed in rapporto alla mente. Per sublime s'intende un valore estetico, che in tutte le varie sottospecie è prodotto dalla percezione di qualcosa di smisurato o di incommensurabile. Kant distingue 2 tipi di sublime: quello "matematico" e quello "dinamico". Il sublime matematico nasce in presenza di qualcosa di smisuratamente grande: di fronte a queste cose nasce in noi uno stato d'animo ambivalente. Da un lato proviamo un dispiacere, perché la nostra immaginazione non riesce ad abbracciarne le incommensurabili grandezze, dall'altro proviamo un piacere, perché la nostra ragione è portata ad elevarsi all'idea dell'infinito, in rapporto a cui le stesse immensità del creato appaiono piccole. Scoprendoci portatori dell'idea di infinito, che attesta la nostra essenza di esseri superiori alla natura, trasformiamo l'iniziale senso della nostra piccolezza fisica in una consapevolezza della nostra grandezza spirituale. Il sublime dinamico nasce in presenza di strapotenti forze naturali. Anche in queste situazioni avvertiamo inizialmente un senso della nostra piccolezza materiale, nei confronti della natura ed in seguito un sentimento della nostra grandezza ideale, dovuta alla dignità di esseri umani pensanti, portatori delle idee della ragione e della legge morale. Il sublime si differenza dal bello perché nasce dalla rappresentazione dell'informe e si nutre del contrasto tra immaginazione sensibile e ragione, provocando fremito e commozione. La natura è bella quando ha l'apparenza dell'arte e l'arte è bella quando ha l'apparenza o la spontaneità della natura. Per produrre oggetti belli è indispensabile il genio, che è la disposizione innata dell'animo per mezzo della quale la natura da la regola dell'arte. Le prerogative del genio sono l'originalità o la creatività, la capacità di produrre opere che fungono da modelli o esemplari per altri, nell'impossibilità di mostrare scientificamente come compie la sua produzione ed esso è inimitabile ed esiste solo nel settore delle arti belle. Per Kant gli scienziati non sono dei geni, perché non creano niente di nuovo ed egli preannuncia il Romanticismo. Infine Kant afferma che l'unica visione scientifica del mondo è quella meccanicistica, basata sulla categoria di causa- effetto e sui giudizi determinanti. La finalità del reale, oltre che essere appresa immediatamente nel giudizio estetico, può anche essere pensata nel giudizio teleologico, in virtù del concetto di fine. Nella nostra mente vi è una tendenza irresistibile a scorgere nella natura l'esistenza di cause finali, sia intrinseche che estrinseche. Di fronte all'ordine generale della natura non possiamo fare a meno di "concepire una causa suprema (Dio) che agisce con intenzione". In sede etica avvertiamo l'esigenza di credere che la natura, in virtù della sapienza ordinatrice di Dio, sia organizzata per rendere possibile la libertà e la moralità. Il giudizio teleologico, con tutto ciò che esso implica, è privo di valore teoretico o dimostrativo, in quanto il suo assunto di partenza, la finalità, non è un dato verificabile, ma soltanto un nostro modo di vedere il reale.

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