PARMENIDE

Vissuto tra la seconda metà del VI secolo e la prima metà del V, Parmenide delinea, nel suo poema Sulla natura, una suggestiva immagine della filosofia come rivelazione ed insieme ricerca razionale, che si può svolgere lungo 2 diverse vie: la via dell'affermazione di "ciò che è e non può non essere" parte dalla constatazione dell'esistenza di enti e da tale constatazione perviene ad affermare l'esistenza di un "essere" generale; la via della negazione di "ciò che non è e che è necessario che non sia" si riferisce alla negazione dell'essere, al non essere delle cose. La prima è percorribile, la seconda no, poiché si può pensare e dire l'essere, mentre non si può pensare e dire il non essere ed anzi pensare ed essere per lui sono la stessa cosa. I caratteri dell'essere vengono identificati da Parmenide attraverso una serrata indagine logico- razionale intorno ai caratteri che il pensiero ha e non può non avere. L'essere deve essere ingenerato e incorruttibile, omogeneo e immobile, fuori dal tempo e indivisibile, senza fine ma non infinito. Non si può avere scienza della realtà sensibile, perché non può venire pensata secondo il pensiero del puro essere. Gli uomini seguono una terza via che è un'ibrida mescolanza del puro essere e del puro non essere; pertanto il loro linguaggio non è linguaggio vero, ma fatto di puri nomi arbitrari e infondati. Sotto un diverso profilo Parmenide ammette una forma di conoscenza del mondo sensibile: doxa o opinione, poiché il sapiente deve esperire una conoscenza imperfetta per meglio cogliere la conoscenza vera nella sua forma più pura ed anche perché se la realtà d'esperienza non è puro essere, non è neppure puro nulla e bisogna darne una qualche spiegazione pura se non vera e opinabile. E su questa premessa che Parmenide delinea una certa cosmologia e una certa concezione della natura.

 

Torna alla pagina precedente

Torna all'inizio