Autorialità e nodalità
Barthes
Nella Morte dell'autore B., dopo aver citato un brano da "Sarrazine"
di Balzac, si chiede: chi parla così? Sembrerebbe la tipica
domanda che riguarda, in narratologia, il punto di vista da cui scaturisce
l'enunciato. Ma invece di individuare il punto di vista del parlante,
sia esso personaggio o narratore, Barthes accomuna alle possibili
fonti dell'enunciato anche Balzac, autore e persona storica, per scartare
poi tutte queste possibilità, cioè personaggio, narratore,
autore, scrittore, e proporre invece come fonte dell'enunciato la
"scrittura" stessa, che a quanto si capisce potrebbe coincidere
con la lingua, (oppure con lo stile o con qualcosa a metà strada,
per esempio le potenzialità della lingua scontate di tutti
gli stili della tradizione o altro?).
Ma la scrittura è anche "il nero su bianco in cui si perde
ogni identità, a cominciare da quella del corpo che scrive".
Qui il corpo appare l'ancoraggio della scrittura alla sua origine,
o l'origine stessa. Certo il corpo è materiale e dunque sta
in uno spazio ed è uno spazio, come pure è uno spazio
la scrittura. La perdita di identità cui darebbe luogo la scrittura
sarebbe un distacco di due spazi, che per un momento sono stati continui
e poi si separano. Il messaggio dell'enunciato lascia il corpo e passa
alla scrittura, dove poi chiunque legga lo va a reperire.(Ripristinando
il contatto tra la scrittura e un corpo?) La consapevolezza di questo
distacco è la consapevolezza dell'esistenza di un'origine autoriale
che nel distacco perde la sua essenza. Tutto il problema dell'autore
e della sua presunta morte sta dunque nella perdita di essenza e non
di esistenza, e tale essenza viene da taluni ritenuta reperibile nel
testo, e da altri attribuibile ogni volta dal lettore. (La differenza
tra esistenza ed essenza sembrerebbe assimilabile anche a quella tra
significante e significato, ma la cosa è più complessa:
il significante non perde mai il suo autore, se non per ignoranza;
il significato invece è nel testo come punto di incontro tra
produzione e ricezione, e su di esso si instaura il famoso "gioco"
decostruzionista, ed in esso consiste la morte dell'autore.)
Barthes non tiene conto del concetto di autore implicito, costruito
dal testo, e non si capisce perché, fatta questa distinzione
con la persona storica dello scrittore, anche quest'ultima non possa
essere oggetto di interesse, appunto come produttore di quegli autori
impliciti che danno il loro contributo alla storia letteraria e alla
storia in generale. Tutti gli pseudonimi, per esempio quelli di Pessoa,
sono evidenziazioni dell'autore implicito che vuole distaccarsi dall'autore
storico.
Secondo Barthes: "Non appena un fatto è
raccontato", cioè diventa letteratura senza uno scopo
pratico, si distacca dalla sua origine: muore l'autore e nasce la
scrittura.(Questa è un'ovvietà, perché l'invenzione
stessa è distaccata dall'autore, nel senso che per sua natura,
non è ciò che accade a lui. Che succede poi con la storiografia?
Essa nasce con un autore, che è autore solo della tecnica narrativa,
espositiva e interpretativa, ma non è autore dell'invenzione.
La testualità mette in dubbio questo "non essere autore",
e attribuisce all'invenzione anche ciò che prima era considerato
mero fatto storico, quindi senza autore. A prescindere dal fatto che
dopo tutto sono stati i Romani a sconfiggere i Cartaginesi e nessuno
storiografo può inventarsi il contrario, paradossalmente quindi
la teoria postmoderna attribuisce alla storia un autore che nel frattempo
ha sottratto all'invenzione.) Barthes fa poi l'esempio delle culture
orali dove non ci sono autori, ma solo esecutori, e associa la nozione
di autore alla nascita dell'individualismo occidentale nel 17°
secolo.
(Non tiene conto dell'autore antico, greco o latino per esempio.)
A partire da qui l'autore regna nelle storie letterarie
e nella critica. Ciò viene messo in dubbio da Mallarmé
per cui è il linguaggio stesso a parlare, e la letteratura
è essenzialmente verbale. (l'autore di Mallarmé sembra
un pescatore che con l'esca della sua ispirazione pesca le parole
della poesia dal mare del linguaggio come fossero pesci.) La linguistica
infine rivela che l'autore è soltanto colui che dice io, cioè
un soggetto (grammaticale della scrittura) e non una persona. Tale
soggetto nasce contemporaneamente al proprio testo, e non precede,
né travalica la scrittura. Non esiste altro tempo che quello
dell'enunciazione. E' sempre ciò che i logici chiamano atto
performativo. Sono atti di "iscrizione" e non più
di espressione. Così pure non esiste un mondo precedente, che
viene poi raccontato: bensì tutto si verifica nel qui ed ora
della enunciazione.
(Posizione molto ingenua, che non vuole attuare la cosiddetta sospensione
volontaria dell'incredulità: come uno spettatore che a teatro
continuasse a interrompere gli attori, per dichiarare di non credere
alla loro rappresentazione, perché lui sa bene che sono attori
e non persone che vivono davvero le vicende. A un tipo così
gli attori risponderebbero che lo sanno anche loro e che l'attore
non è, ma finge. Anche i bambini sanno che le favole sono una
finzione e la usano come tale.
Inoltre non è del tutto vero che il soggetto interno al testo
non travalica la scrittura, perché la scrittura implica proprio
l'espansione oltre la lettera dell'enunciato, sia nel tempo che nello
spazio. Ad esempio se un personaggio è una persona, il lettore
è costretto ad attribuirgli tutti quei tratti che la sua enciclopedia,
e personale e condivisa dalla sua cultura, ritiene ad essa pertinenti,
come minimo che abbia un corpo con una testa e due braccia, anche
se la scrittura non lo descrive mai. Per esempio il racconto di Frederic
Brown "Sentinel" approfitta proprio di questa attribuzione
enciclopedica per ottenere il suo effetto di sorpresa quando il testo
rivelerà alla fine che chi parla è un extraterrestre
con un corpo differente da quello umano e un'enciclopedia diversa.
La stessa cosa dovrebbe valere per Sarrazine, la cui ambivalenza gioca
appunto sulle presupposizioni di tutti dentro e fuori la novella.
Qualcosa di simile accade per il tempo: il mondo della finzione è
un universo parallelo anche temporalmente, con una sua cronologia
del prima e del poi, che nessun lettore o spettatore si preoccupa
di collocare in un momento antecedente a quello del tempo reale della
sua vita, o della sua lettura, perché non rientra in tale tempo,
nemmeno nel qui e ora della lettura. Caso mai noi entriamo in questo
universo parallelo e viviamo immaginariamente lo spazio e la cronologia
della storia che leggiamo, senza confronto con la cronologia della
nostra vita.)
Con la morte dell'autore-Dio finisce anche l'illusione
del significato unico del testo, che diventa invece un tessuto di
citazioni. (qui è evidente che l'autore per Barthes è
principalmente il significato, come se a sua volta il significato
del testo fosse l'autore. Sembra una posizione di critica biografica
molto ingenua, che crea un autore di comodo, molto naif, per poterlo
poi demistificare.) Se anche l'autore volesse esprimersi, dovrebbe
sapere che il sé che egli vuole estrinsecare è un dizionario
preconfezionato, le cui parole possono essere spiegate solo da altre
parole. Lo scrittore non è più autore, perché
non ha più una personalità, ma un dizionario: la vita
imita la letteratura e la letteratura imita il linguaggio; tutto a
sua volta è iscritto nel dizionario.
(Qui Barthes fa varie confusioni: l'autore come Dio pone tutti i problemi
riguardo al fatto che l'opera come creatura è parte di Dio
stesso o altro e diverso da lui. Nel primo caso espressione significa
filiazione: l'opera è il figlio di Dio nella scrittura invece
che in terra. Quando muore Dio che ne è del figlio di Dio in
terra? Muore come dio e resta un uomo, quindi muore come fatto biografico
e resta fatto della storia letteraria. Inoltre il sé non è
un dizionario preconfezionato, ma è un qualcosa fatto con le
parole che ci sono nel dizionario, e quindi è insieme di meno
e di più di un dizionario: di meno perché molte parole
del dizionario non sono usate per fare questo sé; di più
perché la selezione di alcune parole dal dizionario è
già una forma che il dizionario non ha.)
(Il passaggio da autore a scrittura assomiglia anche al passaggio
da testo a ipertesto, perché in entrambi i casi si regredisce
verso l'ordine entropico del dizionario).
La critica - continua Barthes - perde di senso insieme
al significato da decifrare e spiegare. Nella scrittura invece tutto
è da districare e niente è da spiegare, essa è
percorsa, ma non penetrata, perché non c'è un sotto
da raggiungere. Il senso della scrittura è dato continuamente
per essere continuamente dissipato: esonero perpetuo del senso. (Il
senso della scrittura sembra piuttosto aggiunto al significante, che
per sua natura è un supporto, e se non supporta niente non
è neanche significante.) Il luogo in cui la fonte del senso
viene recuperata è la lettura. L'unità di un testo sta
alla destinazione. Ma anche il lettore non è da intendere come
persona, bensì come funzione che tiene insieme le tracce di
cui è costituito il testo. (Tutto considerato la questione
dell'autore è semplice: alla produzione l'autore fa l'opera,
alla ricezione l'opera fa l'autore.)
Dall'autore all'autorialità
Da un punto di vista empirico, rigoroso e formale,
l'autorialità di un autore è solo un fatto storico,
esistenziale. Lo stile e ogni tratto distintivo che attribuiamo all'opera
di un autore (e che apprezzativamente costituisce invece il senso
forte dell'autorialità) dovrebbe essere soltanto un indizio
surrogatorio della eventuale mancanza di conoscenza che una data opera
o azione sia stata fatta da una data persona, che quindi ne è
autore. In questo senso storico-esistenziale dell'autorialità
l'essere autore è coestensivo dell'essere soggetto, e si estende
non solo ai produttori di qualche manufatto o artefatto artistico,
o agli scopritori di qualche presunta verità scientifica o
agli organizzatori di qualche processo operativo, bensì, e
in modo anche più appropriato, si riferisce ai personaggi storici
in quanto autori, sia di imprese sia di qualsiasi altro gesto o atto
o frase detta o vissuto di qualsiasi tipo. Essere autore significa
quindi aver agito in tutti i propri atti, essersi comportato in un
certo modo, e semplicemente aver vissuto la propria vita qualsiasi,
lasciando una traccia o notizia di qualsiasi tipo, ma una traccia
che indubitabilmente appartiene a quella persona.
Un problema diverso, ma connesso, è invece quello di capire
chi è (nel senso di capire che personalità ha) colui
che ha lasciato quella traccia di cui è inevitabilmente autore.
Per la sovrapposizione di autore e soggetto, quest'ultimo, come il
primo del resto, è certo una funzione del suo operare. Come
il personaggio di un romanzo è sempre qualcuno che fa qualcosa,
allo stesso modo un autore è qualcuno che fa qualcosa, che
lascia una traccia. Da tale traccia possiamo arguire la forma della
sua personalità, a patto che si sia interessati a conoscerla.
In effetti il concetto di autore ha senso se vi è un interesse
per il concetto stesso, ovvero interesse per il legame tra atto e
chi lo compie. Nel momento in cui tale interesse venisse meno, non
avrebbe più luogo alcuna considerazione sull'autore. Forse
questo è in parte già avvenuto in letteratura coll'irrompere
della testualità. Ma ancor prima, coi New Critics, un autore
era soltanto una soggettività desumibile dalla somma delle
sue opere, alla maniera di Omero.
Facendo coincidere l'autore con la soggettività,
si trasportano sull'autore tutti i problemi relativi alla morte del
soggetto stesso, ma ancora una volta in realtà questi problemi
non sorgono dalla difficoltà di assegnare un agire a un dato
soggetto, ma dalla difficoltà di definire categorialmente,
la soggettività in modo stabile e generalizzato. Autore significa
invece essere in un rapporto di causa rispetto alle proprie azioni,
anche se questa causa è solo un unificarsi momentaneo nel soggetto
contingente di tutta una serie di condizionamenti e pressioni, che
comunque attraverso un agente devono però passare e manifestarsi.
In questo senso l'autore è un punto di incontro di una testualità,
che da esso riparte risultandone però modificata.
Inteso in questo senso il soggetto e l'autore saranno
pure effimeri e in parte deresponsabilizzati: saranno sempre più
simili a un nodo nella rete di una testualità perpetua e senza
limiti (globale), e tuttavia per il semplice fatto di essere un nodo,
tale nodo, soggetto, autore, resta pur sempre individuato. Il problema
diventa forse allora un problema di spessore della personalità
del nodo, di valorizzazione della funzione di nodo, e di costituenti
del nodo del tessuto del testo infinito. Vedi le considerazioni sulla
comunità virtuale.
Un nodo è un punto di incontro di flussi diversi di informazioni,
che, una volta intrecciatisi, se ne allontanano in direzioni diverse
dopo aver subito le modificazioni determinate dal contatto nodale
stesso. Ma che cosa porta determinati flussi a intrecciarsi producendo
un nodo? E in che modo, se ciò accade, un nodo si distingue
dagli altri? Un nodo è come una torta, fatta di tanti ingredienti,
come tutte le torte. Ma a parte il fatto di condividere la natura
di torta, le torte possono avere ingredienti e una ricetta diversa.
Così i nodi e gli autori.
Che cosa fa sì che flussi di informazioni si uniscano nel nodo?
La casualità della vita? Così come la vita ha un'origine
misteriosa e casuale, allo stesso modo diventa casuale tutto ciò
che al nascere della vita consegue, fino alla formazione dei nodi
come individui. Ma le forme di vita, pur nate da un'origine casuale,
vengono poi distinte e individuate sulla base di processi di differenziazione
conosciuti e conoscibili.
Descrivere in questo modo la soggettività significa subordinarla
alla funzione di nodo, cioè come punto di intreccio del tessuto
di un testo, e come strumento di un interesse comunicativo dell'informazione.
Come componente del tessuto di un testo il soggetto-nodo si individua
per la posizione occupata nel sistema di rapporti della testualità.
Qui diventa chiaro che l'idea di "posizione" è usata
solo come figura in un'immagine del mondo come serie infinita di categorizzazioni
diagrammatiche rappresentate spazialmente (posizione) ma che di fatto
sono diversificate e "graduate" compositivamente.
Come punto di passaggio della comunicazione il soggetto si individua
per la sua capacità di ricevere e trasmettere messaggi: la
vita è perciò un agire per far circolare delle informazioni.
Ma quali informazioni, e su che? Evidentemente informazioni sulla
posizione degli altri nodi da cui si riceve, e informazioni sulla
propria posizione modificata e condizionata dalla pluralità
di informazioni ricevute, ma anche per ciò stesso abilitata
a trasmettere gli effetti reciproci di tali condizionamenti, tutti
convergenti nel soggetto-nodo e rinviati da esso nelle diverse direzioni
in forma e modo inevitabilmente inediti.
L'autore è anche l'attante dei suoi atti, o solo l'agente di
un attante che lo trascende?
Funzione dell'autorialità
Collegare l'opera alla personalità di cui
era espressione, a che serviva? Non necessariamente ad aumentare la
significatività dell'effetto sul lettore per quel che riguardava
il messaggio, Ma risalendo oltre l'opera, la faceva comunque diventare
conferma significativa dell'ideologia umanistica che celebrava l'essere
umano come artefice della propria natura/cultura e del proprio mondo.
Faceva di ogni autore una specie di Robinson Crusoe. Questa esaltazione
che nasce con l'Umanesimo storico e col Rinascimento, prende via via
le distanze dalla divinità e da ogni origine trascendente delle
capacità umane, che divengono invece il prodotto del lavoro
materiale, intellettuale e spirituale dell'uomo stesso. Il genio è
solo un migliore esempio di adattamento all'ambiente. La sua inspiegabilità
razionale è solo una elevazione e sacralizzazione (insieme
residuo e sostituzione del trascendente) delle migliori qualità
di tutti. E' solo una differenza di grado, non di natura.
Tuttavia l'arte come espressione è pure una
concentrazione dell'umano nell'individuale, che a sua volta risente
del processo di liberazione dal corporativismo delle caste, parallelo
alla nascita dell'idea moderna di autore. Come l'umanesimo si libera
del trascendente così l'individuo si libera della casta, dando
luogo a ciò che verrà poi etichettato come self-made
man. Il valore dell'originalità si sostituisce polemicamente
al valore dell'appartenenza e della realizzazione di scuola, genere
o tradizione. L'artista, come Robinson, artefice della civiltà
economica e non, diventa apice ed esempio. Il valore della poetica
"espressivistica" dell'autorialità umanistica ha
la stessa funzione pedagogica, indiretta ma indubbia, della scrittura
autobiografica, da Agostino a Rousseau, al bildungsroman, ecc. Il
genere autobiografico è per sua natura costruzione della soggettività.
Il fatto che le autobiografie siano sempre in parte, e spesso del
tutto, opere di invenzione, non sminuisce per nulla il bisogno di
soggettività diffuso nella cultura occidentale moderna.
Epistemologia empirica e sistemica. Mondo meccanico
e "Wakefield".
Tecniche dell'autorialità
Ovviamente l'autore è una costruzione culturale.
Tutti siamo costruzioni culturali, anche come persone storiche e anche
se di noi rimane traccia solo all'anagrafe. Ma essere costruzione
culturale come autore significa essere costruiti in termini di specifiche
tecniche dell'autorialità. Essere autore significa incarnare
i tratti di ciò che ogni epoca e comunità attribuisce
all'autorialità, quando essa è una unità culturale
accettata e vigente. L'esempio più clamoroso per la cultura
occidentale è Omero; un caso significativo in questo discorso
è fornito ad esempio dagli autori dei dipinti della collezione
Prinzhorn a Heidelberg. Si tratta di opere di arte visiva prodotte
dai pazienti di psichiatri tedeschi e svizzeri raccolti da Hans Prinzhorn,
assistente del direttore della clinica psichiatrica universitaria
di Heidelberg Karl Wilmanns tra il 1919 e il 1920. Le singole personalità
storiche degli autori sono probabilmente reperibili nelle cartelle
cliniche, e quelle artistiche sono ovviamente ricostruibili rintracciandole
nei dipinti stessi. Tuttavia ciò che diventa invece rilevante
e costituisce il nucleo di autorialità, distribuibile fra tutte
le opere e fra tutti i costruendi autori, ma in sostanza visibili
in entità cumulativa, è la condizione per così
dire psichiatrica della loro produzione e della loro raccolta. Come
Omero coagula nella sua figura una summa di nozioni archeologiche,
individualizzate per necessità filologiche tipiche dell'Ottocento,
così nella costituzione dell'autorialità vigente nella
collezione Prinzhorn è preminente l'interesse odierno per le
vicissitudini storico-politche della collezione in rapporto a quelle
dell'arte del Novecento, in particolare vista come arte degenerata
nella Germania nazista. Questa immersione o dispersione dell'autore
singolo nell'autorialità cumulativa è affine alla relazione
che il singolo autore ha con i generi, le scuole, le correnti, i periodi,
le storie, dell'arte e fuori dall'arte.
Il problema dunque non è l'autore empirico,
ma la valorizzazione di un autore che diventa una celebrità,
addirittura nel senso spregiativo che la parola ha in inglese, in
seguito a un interesse (morboso?) per il legame di un artefatto con
una personalità. Il senso di questo legame è da indagare:
abbiamo detto che nell'Umanesimo e nel Romanticismo è celebrato
come rivendicazione dell'autonomia dal trascendente. L'invenzione
di Omero si contrappone alla prospettiva archeologica, che non ha
un immediato interesse per gli individui, ma per le civiltà,
per necessità già quindi sulla strada della democraticizzazione
antropologica che privilegia la comunitarietà sull'autorialità.
In archeologia il lavoro di individuazione è riservato alle
civiltà, e comunque è basato su una esigenza di distinzione
e limitazione per stabilire degli orientamenti spaziali e temporali.
Si vede così che l'approfondimento di un campo di conoscenze
accresce le distinzioni e la loro sottigliezza, quindi l'individualizzazione
è proporzionale alla familiarità istituibile in un ambito
di studi. A me gli egizi sembrano tutti uguali.
L'esigenza distintiva, orientativa e analitica crea
una sorta di ordinamento, che trova la sua particella indivisibile
nella persona individuata (vedi l'etimologia di individuo). E siccome
la persona ha una vita, a sua volta organizzata e gerarchizzata per
fasi, anni ed età, la creazione di artefatti viene collocata
all'interno di essa per ulteriori caratterizzazioni genetiche. L'autore
quindi è il risultato di una mania ordinativa. Oltre al fatto
della valorizzazione e delle sue motivazioni. Grandi autori, che formano
il canone, servono come elementi storici per costruire grandi tradizioni
e genealogie, onde nobilitare con ascendenza il presente (vedi Lindenberger).
La morte dell'autore si spiegherebbe col venir meno di queste esigenze.
Nella letteratura stessa, attraverso la teoria dei modi di Frye, possiamo
capire la nascita e la morte dell'autore. Il mito è creazione
collettiva. Che senso ha l'autore di tragedie o Aristofane? Siamo
già all'alto-mimetico. Siamo cioè all'enciclopedia della
tribù che contiene l'espressività del singolo. Il mito
identifica la tribù coi suoi protettori, antenati, progenitori,
attraverso una neutralizzazione e presentificazione dell'origine.
Nella Messa il sacrificio di Cristo è immanente e abolisce
la storia umana rendendola tipologica rispetto al mito di Cristo.
La fase alto-mimetica specifica alcune caratteristiche della tribù,
che vengono celebrate per la loro dimensione e misura eroica, quasi
sovrumana.
La Storia delle nazioni celebra i padri culturali e politici: Dante,
Manzoni, Garibaldi, Mazzini, Leopardi. Il mondo borghese celebra i
personaggi storici con gli aneddoti esemplari della loro vita, ma
colloca questa esemplarità nelle dimensioni della vita comune,
in cui si celebrano virtù e qualità delle classi medie:
intelligenza, sensibilità, generosità. B.Franklin scrive
l'autobiografia esemplare dell'io ideale americano.
L'autore quindi, oltre che identità prodotta
da un'identificazione, è sempre stato monumento borghese all'eroe
della classe media, e si specifica nell'artista quando l'arte diventa
espressione di una personalità che vale per la sua autenticità
soggettiva. Allora individuazione diventa originalità e valore
in quanto autenticazione. Qual è il significato dell'autentico
e il significato della svalutazione della copia e della ripetizione?
Nell'epoca delle masse la serializzazione crea un nuovo tipo di interesse,
non più per la autenticità, ma per la celebrità
presenzialistica e sensazionalistica. Quello che in politica ora si
chiama: visibilità. Non importa quindi che un evento sia vero,
ma che sia scioccante e quindi incidente con la sua traccia nella
ormai scarsa sensibilità, nella ormai poca memoria, con tutta
la permanenza ancora possibile nell'universo frammentario e frammentato
dell'informazione. La nozione di autore non può quindi valere
nell'antico senso, perché il tipo di opera di cui si può
essere autori è la presenza nei canali della comunicazione,
allorché l'autore attira l'attenzione su di sé per qualche
eccentricità sensazionale.
L'idea di autore modernista è lo sforzo di reagire alla società
di massa per la conservazione dell'autenticità borghese e umanistica
del periodo rivoluzionario e liberatorio di questa classe. Tale autenticità
diventa complessità, che è una profondità conoscitiva
sui generis, già compromessa, sia perché ha perso valore
di verità, sia perché non è segreto di saggezza,
ma è già solo accumulo quantitativo di possibilità
di senso: polisemia ambigua, allegorica della perdita di certezze
e stabilità. Quindi non accesso alla saggezza ma incremento
di senso, e infine autoriflessività quando ritiene di giungere
alla fonte di produzione stessa del senso. L'autore allora non è
più colui che fa, che agisce, ma colui che rende evidente una
complessità che oltrepassa l'umano e colloca l'umano entro
la sistemica continuità col mondo materiale e culturale, biologico,
zoologico, in una nuova catena dell'essere semiotica e simbolica:
l'ordine del simbolico è il solvente dell'autore, che diventa
nodo, punto fatico di collegamento col tutto. I frattali dimostrerebbero
la continuità di geologico e simbolico.
L'aggettivo "nodale" significa "importante",
perché l'importanza si attribuisce proprio al contatto, all'unione
e separazione degli elementi tematici che in qualche modo sono caratterizzati
per la loro trasformazione. Il divenire prevale sull'essere o si identifica
con esso. La mutabilità diventa infatti la coscienza sotterranea
della modernità e ancor più dell'attualità e
della contemporaneità. La storia si appiattisce sulla cronaca,
la crisi è perpetua e la stabilità diventa un bene vagheggiato.
Il nodo è anche punto di arrivo e di partenza, di commistione
tra sé e l'altro, sostituisce la patria in un regime reticolare
chiamato globalizzazione. Il mondo è un canale e la faticità
dell'essere è una compensazione al trauma della nascita capovolta
in terrore della morte e rimozione di essa.
Il nodo è costituito dall'esterno ed è fatto per uscire
da sé. E' un punto di vista costituzionalmente nel contesto
e dunque ha senso sitematico nel collettivo. Ciò da un lato
accentua l'essere
Definizioni di autore
1.Chi inventa, crea, concepisce idee nuove e inedite.
2.Chi agisce, fa, esegue, nella vita materiale.
Nel primo caso le invenzioni hanno un valore in sé, perché
producono un ordine di cose prima ignoto e impossibile da esperire
e realizzare. Proprio per questo si ritiene interessante e doveroso
legare il prodotto al suo creatore, riconoscendogli un merito per
il beneficio di tutti.
Nel secondo caso l'autore non fa un dono alla comunità che
la comunità non avrebbe avuto senza di lui, ma da un lato esce
dalla semplice ideazione e incide sul mondo, dall'altro colloca in
circostanze primariamente storiche il suo agire come evento di una
prassi: l'autore di un delitto, ma anche l'esecutore di un lavoro,
modificano il mondo, sono autori di tali cambiamenti, le cui modalità
sono note, ma che essi realizzano attuando una volontà. Il
primo autore rende noto l'ignoto, il secondo realizza il noto attualizzando
una potenzialità. L'inventore produce una potenzialità,
l'esecutore la realizza. Per autore possono intendersi le due cose
insieme.
Essere autore implica un conglomerato di sensi:
a) agire, eseguire, esecuzione: un soggetto fa, e si fa capo a un
soggetto
b) legare, appartenere, appropriarsi: un soggetto rivendica una proprietà,
e si fa capo a un rapporto
c) produrre, sviluppare, creare: un soggetto crea o trasforma qualcosa
che prima non c'era, e si fa
capo a un oggetto
d) potere, avere forza politica, valore, autorità
a queste aree è comune la soggettività, che di per sé
è già un senso dell'autore come demiurgo, canale, mezzo.
Definizione: l'autore è: a)qualcuno, b)che fa, c)qualcosa,
d)che gli appartiene, e)per cui è apprezzato.
Legame atemporale: Conoscenza=creatori
Volontà=attori
Legame nel tempo: anonimato=agente
Notorietà=individuazione
In tutti i casi l'autore, noto o ignoto, creatore
o esecutore, ha il carattere costante dell'individuo uno e persona.
Unificazione e personalizzazione.
Il valore dell'invenzione produce l'apprezzamento dell'autore che
riceve di riflesso il merito dell'utilità o della bellezza,
o della saggezza dell'opera.
Il valore dell'atto o dell'impresa si trasferisce sull'autore quando
produce una modificazione del mondo utile, necessaria, difficile.
Gli autori, interessanti e noti come tali, sono solo quelli apprezzati:
autore implica grandezza dell'autore. L'unicità non è
solo individuazione, attribuzione del copyright, ma unicità
dell'opera tra le opere (originalità), e dunque differenziazione
dell'opera e di chi l'ha fatta da tutto il resto (rarità).
Nel caso dell'autore come agente quotidiano, non originale, ma solo
fattuale, l'autorità sta nel legame di fatto, non di contenuto
creativo. Ma allora perché nella grandezza ci interessa il
legame di fatto, quando ciò che conta è il legame di
stile? E se gli imitatori non ci piacciono, è perché
diamo più importanza al legame di fatto che al legame di stile.
Dagli auctores all'autore [D.E.Pease, Author
(Lentricchia & McLaughlin, 1990-95)]
Nel medio evo gli "auctores" erano quegli
autori che implicavano rispetto e affidabilità: quindi il massimo
di valore in ogni disciplina, come Cicerone per la retorica, Aristotele
per la dialettica, gli antichi poeti per la grammatica (trivium);
Tolomeo per l'astronomia, Costantino per la medicina, la Bibbia per
la teologia, Boezio per l'aritmetica (quadrivium). Gli autori sono
fonti dottrinali e coincidono con la loro opera. Sono anche fondamenti
metodologici per i problemi applicativi nei secoli successivi, allorché
si richiedeva una applicazione che comportava una interpretazione.
I nuovi eventi erano accolti, tramite l'interpretazione, nei quadri
di riferimento degli "auctores". L'autorità era dunque
un prestigio più che un fatto empirico, e ciò si trasmette
fino al modernismo, sebbene si capovolga il criterio introducendo
come fonte di prestigio l'originalità. (Questo dimostra che
per modernismo occorre qui intendere l'evo moderno e la modernità,
che diventa modernismo come poetica solo nel primo dopoguerra quando
la coscienza del primato dell'originalità diviene arma di polemica
culturale). Si deve istituire un parallelismo con l'uso delle genealogie
storiche.
Il rapporto tra "auctores" (fonti e opere) e il presente
era allegorico. Ciò che non era allegorizzabile e quindi inquadrabile
nei riferimenti, non era ricordato e quindi non era avvenuto. Per
esempio le biografie personali, o erano esemplarizzabili o non avevano
senso. La personalizzazione non interessava. L'esperienza personale
era vissuta dal singolo come ripetizione del modello.
Si vede qui come nel medio evo l'autorità
derivava dal passato anche per il presente; nella modernità
invece l'autorità deriva dal presente, perché l'originalità
implica la creazione del nuovo, cioè un distacco da ogni precedente,
per ogni produzione contemporanea; il postmoderno infine si proietta
nel futuro allorché pone l'attribuzione di significato, e quindi
ogni "creatività" e autorità, alla ricezione.
Il re era correlato agli antichi "auctores",
come unica fonte di autorità: il suo governo era la sua opera.
I sudditi si sottomettono al re come si sottomettono all'autorità
degli "auctores". La scoperta del Nuovo Mondo mina l'autorità
del passato e rinnova la cultura a partire dal Rinascimento (nonostante
il classicismo); prende forma il valore del nuovo (notizie dalle nuove
terre) anche da imprese senza precedenti: le esplorazioni, la politica,
uomini nuovi. I nuovi autori la cui autorità è la capacità
inventiva, è l'interessante novità delle loro storie,
sfruttano la rottura fra i nuovi eventi e la vecchia cultura. In ciò
affini ad altre categorie, come i viaggiatori, i mercanti, i coloni,
i riformatori, gli avventurieri. Le scoperte sono alla base della
nuova autorità culturale. La differenza diventa un valore per
l'incapacità dei vecchi schemi di allegorizzare i nuovi eventi.
Il nuovo diffonde l'idea che ognuno debba interpretarsi con le proprie
appropriate parole. Da allora autore significa rottura, originalità
dagli schemi feudali, nuovi mondi, nuova autonomia. Declina l'auctor,
sale l'autore come esempio di autodeterminazione in base all'esperienza
personale e alla costruzione della propria identità.
Una volta completata la trasformazione da una società feudale
e agricola a un mondo più o meno democratico e industriale,
la sua figura si distingue da quella degli altri trasformatori con
cui aveva collaborato e si separa dalle altre attività culturali,
e diventa la categoria del genio che trascende il lavoro culturale
ordinario e comune. Come l'auctor medievale il genio si riallinea
con le leggi del Creatore e quindi è del tutto autonomo da
ogni determinazione culturale se non la propria immaginazione creativa.
Si avvia all'isolamento, anche se allo stesso tempo propaganda l'autorità
politica di un operatore culturale e la sua capacità di trascendere
il suo contesto culturale. In questo modo stabilisce la differenza
tra l'operatore culturale e l'operatore industriale che non è
padrone né dei mezzi di produzione né dei prodotti del
suo lavoro. Il lavoro del genio non è alienato e la cultura
strettamente intesa diventa un privilegio.
In una prima fase (rivoluzione borghese-industriale) l'autore (genio)
si forma e opera parallelamente al formarsi e all'operare del soggetto
autonomo: l'individuo. Entrambi tendono a diventare vittime del lavoro
alienato una volta che il processo sociale emergente (rivoluzione)
si è compiuto.
Sin dall'inizio ci sono due tendenze contraddittorie che caratterizzano
sia l'autore sia il soggetto autonomo: l'originalità del genio
che tende a differenziare e l'appartenenza a un processo collettivo
con cui l'autore individuo collabora per la sua realizzazione. Una
volta realizzato il processo l'autore individuo si distacca dallo
sforzo collettivo e vuole assumere una autorità nuova in qualche
modo analoga a quella degli antichi auctores.
La visione dei selvaggi, altri dagli europei, pose negli europei l'idea
che l'altro fosse anche dentro di loro. Questo altro dentro di loro
fu la base per lo sviluppo del soggetto autonomo. Hobbes e Locke sostennero
che in natura l'uomo è come il selvaggio, pre-politico e privo
di protezione sociale. Perciò occorreva un contratto sociale,
con un monarca a garantire i diritti e le libertà naturali.
La libertà era la realizzazione di questa nuova e altra natura
umana. Per spiegare questa nuova natura i vecchi auctores erano inutili,
e occorrevano nuove concezioni politiche per produrre nuove persone
e nuove leggi e condizioni. Risultato: rivoluzioni e guerre civili.
Vinte le rivoluzioni, gli autori cercano la differenziazione della
vita culturale dalla vita politica. Si fonda la Repubblica delle Lettere.