In ritardo/Late on the Event-Scene



Nell'universo senza memoria dell'accelerazione mediatica,
arrivare in ritardo sull'attualità è
l'ultimo modo per ricordare

 

                                  

      10. Effimero e superfluo nella civiltà dei media 
       (Leonardo Terzo, 4 Febbraio 2001)

 

L'effetto più  impressionante dell'accelerazione mediatica  è la durata effimera, al limite  della  sparizione, delle notizie,  degli interessi e della realtà stessa.  La realtà, come esperienza e coscienza, sparisce, risucchiata da due forze,  apparentemente irresistibili ed egualmente  capaci di  formarla  e  trasformarla, destinandola  subito dopo alla dimensione dell'oblio o dell'inesistente: la virtualizzazione, necessaria a significare, e la voglia di futuro, che è pulsione a dimenticare.

Ciò determina alcuni aspetti, ancora non del tutto compresi,  dello "splendido  mondo  nuovo" in cui ci capita di vivere. Uno di questi è il disinteresse per il passato,  detto più pomposamente "morte della storia".  Si  tratta di  un modo  di vivere in cui la  spinta  al nuovo, che pure era tipica, sia dell'ideologia illuministica del progresso, sia delle poetiche delle avanguardie  artistiche del Novecento, fondate sull'originalità, acquista connotazioni diverse. 

Il  passato non è più un fardello, di cui occorre liberarsi per recuperare il meglio dell'umanità, che la "civiltà" ha represso e corrotto.  Né  è uno stile e una visione del mondo di precedenti generazioni, che si vogliono sostituire nei posti di potere, sbandierando nuovi manifesti. È semplicemente un mondo a parte, non ostile, bensì inutile, perché costituito da una tecnologia ormai inservibile. Di questa tecnologia superata fa parte l'uomo stesso, per cui entriamo nell'era del post-umano.

Questa  inutilità non  riguarda infatti solo la Storia, coltivata a suo tempo come  origine di coscienza e radice di identità comune, ma anche qualsiasi passato prossimo,  scalzato dalla scansione dell'obsolescenza tecnologica, che rinnova  il suo armamentario ogni due o tre anni. Altre conseguenze  sono la "riformattazione" della  geografia in termini di ambienti informativi, e lo scarico di adrenalina nell'economia, con l'iniezione (nel vitalismo  infantile  e nei sogni  di ricchezza e successo di ogni età) di interessi inattesi che, come "impensato" consumistico e virtuale, sostituiscono l'ormai sterile e inerte "impensato" filosofico.

Altra conseguenza è la virtualizzazione, ovvero la formazione dell'esperienza per traduzione e trasporto sui mezzi di un'economia espressiva della comunicazione. Per un verso è sempre stato così, a partire dal fatto che la realtà viene esperita attraverso quel mezzo di comunicazione primario che è la lingua. Solo che l'economia espressiva della cultura digitale ha una plasticità estremamente più fluida di quella esperita dalla comunità dei parlanti nella realtà reale, e permette di creare una varietà incontrollabile di mondi  virtuali e comunità parallele dove le economie espressive favoriscono la dispersione di coscienza, di soggettività, di ruoli, funzioni, identità, e infine del senso della comunità stessa.

Il problema politico e culturale della contemporaneità diventa perciò l'elaborazione di strumenti di gestione dei flussi comunicativi, capaci di regolare la velocità, e la selezione delle informazioni, su gradi di volatilità, viscosità e permanenza del sapere e quindi dell'esperienza, fra i quali il cittadino, titolare del diritto alla formazione, alla trasparenza e alla padronanza dei dati e dei mondi, possa muoversi e agire con adeguata consapevolezza.

Per essere messi a disposizione, questi strumenti  devono essere prima inventati e poi distribuiti alle coscienze. Allo stato attuale il problema della permanenza nella memoria è più che altro affrontato, a scopo di lucro, dagli uffici studi delle agenzie del potere economico, che in parte coincide con la comunicazione stessa. Ciò non toglie che le scoperte e le invenzioni concepite per fini di sfruttamento pubblicitario e di belligeranza commerciale possano essere convertite al rafforzamento e all'estensione della democrazia. 

Per ora gli artifizi della retorica mediatica a fini di persuasione e permanenza dei messaggi nella memoria si fondano principalmente sull'iterazione, e sulla spettacolarità di effetti speciali abbinati a suggestioni emotive. Si tratta di massaggi al nervo ottico e auditivo, con associazioni esplicite o subliminali a bisogni fisiologici primari, quali cibo e sesso. Il loro scopo sembra quello di sostituire la memoria col riflesso condizionato. La narratività è usata solo per brevi episodi con accumulo e scarico catartico di aggressività, che nelle situazioni della vita reale si è costretti invece a reprimere. La ripetizione sembra comunque il mezzo principale per far sopravvivere ciò che resta del ricordo. Essa trova la sua manifestazione più evidente nel martellamento di spot pubblicitari, ma anche nella serializzazione di prodotti letterari, televisivi e cinematografici. 

Pubblicità e invenzione si uniscono poi per creare aure d'attesa intorno ai cosiddetti "eventi", che sono tali appunto per l'aspettativa che li precede. La loro durata si sposta così in una fascia temporale antecedente, invece che susseguente, che anticipa e prescrive l'atteggiamento fruitivo con cui consumarli. Tale atteggiamento diventa una componente essenziale di carattere performativo, da eseguire all'unisono con i protagonisti. La presenza sul luogo dell'evento ne esaurisce per lo più il consumo, a prescindere dalla qualità della percezione dei significanti visivi o auditivi, più o meno distinguibili nel frastuono contestuale. La cosiddetta musica techno è per eccellenza l'espressione di questa condizione, e perdura in un tempo indeterminato mista a ritmi fisiologici destabilizzati.

La ripetizione attinge massimamente i suoi fini quando si stabilizza invece in periodicità. Essa comunque cerca la permanenza per via di accumulo quantitativo, sovrapponendosi il più possibile ai messaggi concorrenti. L'altra via è quella che dovrebbe operare per sottrazione, selezionando i messaggi destinati a durare per interesse qualitativo. Ma le tecniche di questo tipo sono rare e ancora da inventare o perfezionare.

È opportuno chiedersi se l'effimero non sia anche, proprio per questo, superfluo. Si ritiene che superfluo sia ad esempio il lusso, ma oggetti lussuosi, come gioielli o palazzi, sono spesso più duraturi delle civiltà che li hanno prodotti. Lo scambio di posizione tra bisogni primari e bisogni indotti, come pure tra beni materiali e beni simbolici, è tipico delle società sviluppate. Nella civiltà della comunicazione tutti i beni sono simbolici, reali e virtuali in modo ambivalente. Così la necessità del superfluo è un vecchio paradosso, che trova conferma e smentita allo stesso tempo quando un vero evento catastrofico getta temporaneamente una civiltà del consumo in condizione di penuria e di fame. Siamo tutti assuefatti alla comodità e allo spreco, ma solo finché c'è qualcosa da sprecare.

                                                                                                                                                       

        

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