In ritardo/Late on the Event-Scene



Nell'universo senza memoria dell'accelerazione mediatica,
arrivare in ritardo sull'attualità è
l'ultimo modo per ricordare

 

 

5. Il dispositivo combinato. Il grande fratello e la logica dello zoo
(Leonardo Terzo, 20 Settembre 2000)

 

Siamo altri figli ormai,
Cuori di stirpi sopraffatte

Canto dei Bantù Shiva

 

Nei favolosi Anni Sessanta si usava dire che l’uomo massa aveva un gusto sicuro: messo di fronte al bello e al brutto, sceglieva senza esitare il brutto, o meglio quella sottocategoria del brutto allora molto discussa che era il kitsch. La coscienza critica e metacritica di quel periodo peraltro era il segno che si era entrati ormai in un’epoca diversa, che poi si sarebbe chiamata postmodernità.

L’uomo postmoderno è diverso perché non ha possibilità di scelta: l’ibridazione impera, la commistione è d’obbligo, la confusione è matematicamente garantita. Non possono più aver senso né il kitsch, né l’estetica del trash, sommersi nel cinismo multiculturale e antiquatamente ancorati all’analisi del prodotto. Ben oltre l’analisi del processo, l’attenzione critica è attratta ora invece sull’estetica del mezzo, vale a dire sul dispositivo tecnologico di produzione dei beni simbolici, (ma ora tutti i beni lo sono).

I media si potenziano per combinazione, organizzando ciberneticamente (cyborg) telefono, radio, magnetofono, televisione, videoregistratore, videocamera, computer, posta elettronica, foto digitale ecc. Tutto ciò converge nel dispositivo pseudo-interattivo e sadomaso del grande fratello, rapidamente demonizzato e immediatamente metabolizzato, ad ennesima dimostrazione che ogni invenzione o conglomerato di invenzioni ha i difetti delle sue qualità e viceversa.

Tuttavia la manipolazione mediatica della perversione scopofila e della simmetrica complicità esibizionistica (che capovolge in illusione di potenza l’angoscia per un super-io troppo severo) è la progenie miserabile di antenati nobili, reperibili nello sviluppo secolare della tradizione occidentale moderna.

Il grande genere inventivo della modernità è stato il romanzo realistico, precipitato di molteplici elementi culturali. Fra questi era preminente l’interesse documentario per gli aspetti di un mondo, capitalistico e borghese, allora in via di formazione e stabilizzazione. L’interesse documentario spingeva ad esempio De Foe a far passare Robinson Crusoe e Moll Flanders per storie vere, che il pubblico leggeva con ingorda e moralistica curiosità. Dickens teneva inchiodate le famiglie a piangere e a ridere intorno al caminetto sulle vicende di Pip e di Pickwick. Verso la fine dell’Ottocento il realismo cercava per i suoi protocolli nuovi fondamenti su basi velleitariamente scientifiche col naturalismo di Zola e altri.

Nel grande fratello l’interesse documentario si riduce a normalizzato voyeurismo quotidiano, su cui un indispensabile lavorio di regia e scenografia tenta di innestare una qualche economia espressiva e consequenziale. Andy Warhol o chi per lui aveva filmato a camera fissa l’Empire State Building per 24 ore, ma performance di questo tipo non raccoglierebbero davanti al televisore nessuna percentuale di share.

Invece già Swift nei Gulliver’s Travels ci aveva insegnato che osservare l’umanità troppo da vicino ci obbliga a vedere i suoi aspetti più schifosi. Come nell’attesa di spettacolari incidenti alla partenza delle gare automobilistiche, si spera infatti di poter osservare in diretta vergogne psicologiche, deformità caratteriali, aggressioni morali, masochismo diffuso.

Qui mira e qui ti specchia secol superbo e sciocco! Ma Leopardi sarebbe sprecato, perché la condizione dello spettatore morboso è appunto l’ansia di spiare "around the clock" non più l’abusata pornografia del corpo, ma una pornografia dell’anima già sperimentata in programmi di concertata spudoratezza emotiva.

La contraddizione latente è che la pornografia è tale se fruita in élite. La scissione della visibilità del programma su due mezzi "dimezzati", internet e il televisore, presentifica clandestinità e socialità, in un nuovo ermafroditismo fruitivo. Dopo l’uomo massa, dopo l’uomo virtuale, dopo il cyborg, siamo voyeuristicamente in attesa del nuovo mostruoso gradino dell’evoluzione creaturale.

Forse ciò che il gruppo di reclusi sottolinea alla nostra percezione è la logica dello zoo. L’uomo contemporaneo, strappato alla sua natura culturale, è costretto a vivere nella gabbia di una virtualità olografica, imitazione protesica di un’imitazione merceologica di un’imitazione estetica. Scopre così non la somma delle sue scissioni, ma delle sue coassiali schiavitù. La rincorsa delle mode finisce logicamente dentro una vetrina. Col pretesto zoologico di documentare la vita di esemplari non in via d’estinzione, ma in via di malformazione, la schiavitù ritorna di moda come zoo mondializzato. Aspettiamo le proteste degli animalisti. Da anima.

 

 

 

 

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