In ritardo/Late on the Event-Scene



Nell'universo senza memoria dell'accelerazione mediatica,
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l'ultimo modo per ricordare

 

 

15. Feticismo dell’ipertesto e iperfeticismo

(Leonardo Terzo, 3 luglio 2001)

 

 

Il termine feticismo deriva dal portoghese “feito” e ha la stessa etimologia di “fatto” e “fatato”. Infatti il feticismo consiste nell’attribuzione di un potere magico (fatato) ad un oggetto costruito (fatto) dall’uomo. Ciò accade quando l’uomo vede l’oggetto sfuggire al suo controllo e acquisire un potere autonomo.

 

Marx parla del feticismo delle merci, perché la merce è un prodotto umano che sul mercato acquisisce un’autonomia che il suo produttore non è più in grado di dominare. La merce anzi può rivolgere contro di lui il suo potere di transvalutazione.

 

Questa però è la condizione di tutti i prodotti e di tutti i procedimenti sociali, che di necessità, in minore o maggior misura, sono destinati a sfuggire a coloro che contribuiscono a promuoverli, appunto perché sono l’effetto di processi collettivi, che l’economia, la scienza, la politica tentano, con scarsa fortuna, di comprendere e dirigere.

 

Proprio per la loro natura collettiva, infatti, tali processi diventano incontrollabili dai soggetti individuali che, di fatto, non hanno né la capacità né la possibilità di agire come soggetto collettivo e volitivo, capace di controllare gli eventi promossi.

 

Questa autonomia fatata del feticcio è l’imprevedibile vettore di valore che deriva dalla competizione e dalla negoziazione culturale (domanda e offerta) che i soggetti sociali, come individui e come gruppi, o aggregazioni d’interessi dinamiche e temporanee, imprimono al destino degli oggetti.

 

La democrazia è la misura più equa di distribuzione dell’incapacità di dominare i processi sociali, ovvero di essere apprendisti stregoni. La dittatura e i monopoli sono gli stregoni, sono cioè in grado di dominare temporaneamente i processi sociali con la magia nera della violenza

 

Il feticismo della merce deriva dal suo valore di scambio, instaurato dal convertitore generale costituito dal danaro. Il danaro sottrae la concretezza del valore d’uso agli oggetti, conferendo loro l’astrattezza imposta dalla scambiabilità.

 

L’ipertestualità opera sui testi lo stesso tipo d’astrazione, trasformandoli in materia prima informatica e quindi in merce comunicabile, ovvero in comunicabilità pura astratta (valore di scambio) a prescindere dai contenuti (valore d’uso).

 

Questo processo d’astrazione informatica è duplicato da un parallelo processo di smaterializzazione degli oggetti, trasformati in simulacri. Nella nuova economia il possesso del danaro è sostituito dall’accesso all’immagine, in senso passivo come accesso alla rete, e in senso attivo come presenza in rete con una propria immagine-sito.

 

I nuovi ricchi sono coloro che dominano il mercato dei simulacri e detengono il potere d’accesso, di distribuzione delle immagini identitarie, e d’indirizzo della comunicazione attraverso una “politica dei link”.

 

Il potere reificato nei link è la connettibilità. L’ipertesto assume agli occhi dei suoi fruitori il potere feticistico dato dalle potenzialità espansive che oltrepassano il testo in tutte le direzioni. Tali potenzialità innescano in chi naviga una fantasia d’onnipotenza connettiva. Questo iperfeticismo della rete satura ogni intenzione di percorrere specifici e determinati campi del sapere, e appaga fantasmaticamente il desiderio di possesso della conoscenza infinita.

 

L’infinitudine estatica del navigatore nel feticcio ipertestuale lo aliena così da ogni interesse effettivamente praticabile. Specularmente i monopolisti della rete s’illudono a loro volta di manipolare a proprio vantaggio la magia dell’iperfeticcio, che invece rinvia l’attenzione ipnoticamente catturata dei navigatori indefinitamente altrove.

 

Se il destino naturale e culturale dell’uomo è il trascendimento di sé, evolutivo o involutivo che sia, si può concepire un feticismo buono e uno cattivo. Il primo sarebbe quello che sviluppa un attaccamento agli oggetti come trasfusione e deposito del sé, con l’intento di trattenere in essi la memoria e l’esperienza.

 

Talvolta però il trascendimento si configura come un salto nel buio, ed è difficile dire, ad esempio, se l’alienazione delle avanguardie artistiche nella novità della forma sia stata, nel secolo scorso, un’esplorazione fallita o riuscita. Il trascendimento postmoderno è verso l’alienazione nel mezzo, e l’iperfeticismo tecnologico sembra porre la coscienza del bimillenario sotto il segno del post-umano.

 

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