3. Modelli e personaggi
        

       3.1 Genere e modelli di coesione

       3.2 Personaggi e generi

       3.3 Rappresentazione e performance

       3.4 Modelli di unità e modelli cronotopici

 

 

 

 

 

 

3.1 Genere e modelli di coesione  


Il genere è anche un modello di coesione, quindi uno dei mezzi o modi di trasformare gli episodi in trama, collegandoli in un ordine: logico, cronologico, simbolico, seriale (o ripetitivo/iterativo). Ciò che conta è il legame conforme ad un’attesa culturale e quindi plausibile. Dalla coesività si passa alla coerenza e quindi all’unità. Quando Aristotele parla di catarsi ritiene che sia un effetto raggiungibile solo se la trama della tragedia ha certi requisiti di consequenzialità e proporzione e anche di contenuti. Da un punto di vista meccanico la catarsi è un rilassamento dopo che è stato suscitato uno stato di tensione. 

La catarsi è un effetto di diversi fattori:

a)    La rappresentazione stessa. Solo se i fatti sono rappresentati, cioè finti, siamo in grado di purificarci dalla pietà e dalla paura. Quindi primo requisito è il distacco dalla realtà.

b)    Poi ci deve essere un argomento interessante, capace di suscitare pietà e paura, che non ci lasci indifferenti. Quindi altro requisito è l’interesse, che nasce solo da cose per noi significative nella nostra vita e nella nostra cultura.  

c)  Infine la problematicità del giudizio, e dunque anche dell’interpretazione dei fatti: pietà e paura devono essere in contrapposizione. Dice Aristotele: se una persona buona viene punita, ciò provoca pietà ma non paura; se una persona cattiva viene punita, ciò provoca paura, ma non pietà. Per provocare pietà e paura insieme la persona punita deve essere allo stesso tempo buona e cattiva. Ciò che succede deve creare una tensione tra sentimenti e valori opposti, prima dell’agnizione e della catastrofe. 

L’effetto di catarsi dipende dunque dal fatto che, senza subirne realmente le conseguenze, a causa del distacco, vediamo in gioco degli interessi per noi significativi, che vengono organizzati in modo conseguente, cioè diventano una trama. 

I tipi di trama contribuiscono a formare i generi, che dunque sono anche modi di articolare un sistema culturale. Le storie sono modi di percorrere il sistema di valori e di norme di una comunità, che ne mettono in evidenza le connessioni e la struttura. La coerenza di una trama, e quindi di una storia, dipende anche dal sistema d’attese del pubblico che si può chiamare genere. Il fatto che noi facciamo fatica a capire i generi del teatro giapponese come il No e il Kabuki, dipende appunto dal fatto che gli interessi articolati da quelle rappresentazioni sono lontani dai nostri. 

Quindi quando parliamo di catarsi, non parliamo solo di un concetto non chiaro che, se non fosse stato usato da Aristotele, avremmo potuto benissimo ignorare, ma parliamo di qualcosa che s’identifica col senso del rappresentare stesso, per il suo essere avvicinamento, a distanza, di schemi che sono individuabili proprio perché li teniamo a distanza, e attraverso i quali cerchiamo dei modelli e dei parametri di valorizzazione dei modi di vivere e di morire. Rappresentare e/o raccontare è un processo (processione) che unifica, nella drammatizzazione, azione e pensiero, prassi e teoria.  

A questo punto si prospetta una serie di argomenti: i tipi di unità e coerenza, i personaggi e i ruoli; infine il rapporto dell’arte con ciò che arte non è, ovvero la storia e la filosofia, quindi i generi non propriamente letterari e i generi non propriamente artistici.

 

 

3.2. I personaggi e i generi.


Anche i personaggi sono legati al genere, per le loro caratteristiche, come ad esempio la capacità di agire, e per le loro funzioni, come agenti di interessi di cui sono rappresentanti, incarnazioni e portavoci. Un personaggio è sempre un agente sociale, rappresenta un nucleo significativo di una molteplicità; è se stesso e insieme un membro di una comunità, un modello di umanità, sia Cristo, sia Giuda, sia Caino, sia Abele, sia Amleto, sia Leopold Bloom.  


Naturalmente ci saranno varie gradazioni di singolarità o di tipizzazione. Una maschera come il miles gloriosus sarà più generica di un personaggio di Joyce, ma Falstaff riesce ad essere tutte e due le cose: una maschera e un individuo. 


Se prendiamo le varie coppie di innamorati: Romeo e Giulietta, Troilo e Cressida, Petruccio e Caterina, Isabel Archer e John Osmond, sono tutte coppie molto singolari e insieme modelli di un tipo di rapporto. Ma i personaggi che formano le varie coppie di innamorati di Midsummer Night’s Dream sono tutti uguali, perfettamente fungibili gli uni con gli altri, e questo fa parte del messaggio specifico di quell’opera, ovvero che l’amore è una cosa labile, misteriosa e inspiegabile, può essere eterno, ma anche immediatamente sostituibile con un altro.


La tipicità tende ad essere un ruolo, quindi ripetibile e diffuso, una sorta di modello statistico di comportamenti tra l’unicità e la completa sostituibilità. Questi due estremi possono essere più o meno apprezzati, e quindi sostituiti da termini apprezzativi o svalutativi: approfondito può essere opposto a superficiale, tipico può essere opposto ad astruso, significativo può essere opposto ad eccentrico, essenziale a irrilevante.  


E’ stato fatto notare che spesso, e anche in Shakespeare, i personaggi comici tendono ad essere più stereotipati di quelli tragici. Si può dire che la commedia "antica" (Aristofane) era più satirica e aveva come obiettivo dei bersagli reali, cioè persone vere. La "commedia nuova" (di Plauto e Terenzio) aveva per scopo una critica non più personale, ma sociale, e quindi a questo scopo si interessa più ai tipi ricorrenti. Il bersaglio è il comportamento, non chi lo mette in essere, il peccato e non il peccatore. Nella tragedia invece si mette in discussione un modello comunitario genealogico, primitivo.  


In un mito il personaggio è un dio e quindi può fare qualsiasi cosa, di solito una metamorfosi. In un morality play, che è un dramma allegorico, il personaggio avrà una valenza precisa in uno schema con effetto didattico e illustrativo. In una fiaba (folk tale e fairy tale) il personaggio avrà un puro valore funzionale. In una favola (fable) la funzionalità sarà legata alla cosiddetta morale. Sia nell’allegoria, sia nella fiaba la plausibilità non è realistica, ma appunto finalizzata agli intenti del genere. Per esempio in un cartone animato Gatto Silvestro può precipitare in un burrone o essere colpito da un colpo di fucile e rialzarsi dopo un momento di sorpresa e stordimento come nulla fosse; nelle favole gli animali parlano, ecc. Nella pornografia i personaggi si individuano per le parti del corpo che privilegiano nei rapporti sessuali. 


(In The Mexican abbiamo, come ormai capita nel cinema contemporaneo, vedi Titanic, un insieme o un’accozzaglia di generi. Ho reperito i seguenti: il nero criminale d’azione; il rosa, col litigio iniziale dei fidanzati e la riunione finale; il nuovo genere omosessuale, che consiste in storie d’amore che se non fossero tra omosessuali sarebbero melense banalità, ma invece, siccome sono tra personaggi dello stesso sesso, questo fatto le fa sembrare nuove. Poi c’è la favola folklorica messicana, che riprende i moduli della letteratura orale, con le varie versioni che si sovrappongono.  


Ma ciò che mi ha fatto collegare questo film al nostro discorso sui generi è un aspetto del cartone animato. Ad un certo punto viene nominato Speedy Gonzales, e subito dopo succedono delle cose che sono tipiche del cartone animato come quelle che succedono appunto a Gatto Silvestro o a Speedy Gonzales. Il cartone animato ha la stessa velocità della farsa, perciò il personaggio di Speedy è particolarmente appropriato come segnale del genere, e non può succedere nulla di irreparabile in seguito agli incidenti, per quanto catastrofici sarebbero nella realtà. Persino la sparatoria finale tra il killer che ha rapito la ragazza e il protagonista accade con quella leggerezza tipica dei fumetti.  

E questo spesso ha fatto dire che i cartoni animati danno un’idea sbagliata e pericolosa ai bambini, perché fa credere che si possa buttare uno dalla finestra e questo poi si rialza come nulla fosse. Oppure si fanno vedere personaggi che si sparano addosso allegramente e poi ci si lamenta se i ragazzi sottovalutano le conseguenze reali di possibili atti di violenza. Lo stesso discorso si può fare per la pubblicità. Si è sempre detto che la pubblicità esagera e dice cose non vere, ma nessuno si aspetta che lo spettatore della pubblicità creda davvero a ciò che la pubblicità dice e quindi non è il caso di censurare queste esagerazioni, anche se sono non verità. Poi però ci si accorge che la gente, continuamente bombardata da immagini del mondo iperbolico rappresentato nella pubblicità, finisce per credere che le cose siano veramente così, e quindi di conseguenza finisce per credere a tutte le panzane che vengono dette dagli uomini politici alla televisione. Comunque un carattere comune di queste miscellanee di generi è la lunghezza. Per esaurire il repertorio di tutti i gusti occorre più tempo.)  


In una tragedia i personaggi tendono ad individuarsi in rapporto all’interesse fatalistico-esistenziale delle loro vicende. Nelle opere di Shakespeare questo interesse riguarda due temi tragici ricorrenti. Il primo è il problema della successione dinastica, (McBeth, King Lear, Hamlet) che è politico e storico, ma che riguarda, in una prospettiva ciclica e astorica, anche il semplice succedersi delle generazioni (Romeo & Juliet, The Tempest, King Lear). L’altro tema è la volontà di farsi creatori del proprio destino (Coriolano, Antonio e Cleopatra, Richard III), che nella tragedia, dove questo tentativo non riesce, è il problema della libertà rispetto alle costrizioni del fato; o rispetto alle costrizioni della società, nella commedia, dove la riuscita è più facile e frequente.
 


Naturalmente il tema della libertà, del superamento dei limiti (vincoli sociali, morali, di natura), come in Faustus, nella tragedia omonima di Marlowe, e di altre figure titaniche, è una specificazione del tema di tutte le tragedie, cioè la volontà di sottrarsi alla morte.
 Nell'estetismo questo tema si tramuta nella volontà di mantenere la bellezza, in Dorian Gray. Perfino Pinocchio ha qualcosa di Faust, volto in senso buono, e quindi con la Fata Turchina al posto di Mefistofele. I limiti da oltrepassare sono quelli della sua natura di burattino (bambino cattivo e disubbidiente) per diventare un bambino vero (buono e ubbidiente).


In una commedia il personaggio tende di più alla tipicità sia del ruolo scenico, sia del ruolo sociale, e sembra maggiormente dotato di immunità fisica e psicologica contro la morte o la pazzia, similmente ai personaggi dei cartoni animati.  

 




3.3. Rappresentazione e performance.  


Ci sono diversi modelli di unità e diversi modelli di connessione: causale, magico, retorico, contrastivo, assurdo. Uno dei modi dell’unità è l’unità d’azione, di tempo e di luogo, che implica dei sistemi di ripartizione: ore, giorni, anni, case, villaggi, città, nazioni. Vedi generi come il campus novel, il western, la fantascienza. I generi sono dunque legati ai luoghi o cronotopi. 


Il principio dell’unità contiene forse ciò che emergerà in seguito come principio della performance, o esecuzione che coincide con la rappresentazione, dove arte e vita si sovrappongono, quando cioè, per esempio nei programmi del tipo del Grande Fratello, ciò che si vede non è una rappresentazione, o finzione che rimanda a una storia e a un mondo rappresentato, ma vuole essere un pezzo di vita reale in tempo reale. 


L’unità d’azione, di tempo e di luogo, non vale per l’epica e la narrativa, perché il fine dell’identificazione dello spettatore o del lettore col racconto è di altro tipo: è un rinvio al passato degli antenati (come la Storia per i moderni) o un invito ad un’osservazione delle vicende altrui, viste attraverso finestre esemplari sul mondo, per istruirsi, (ma comunque in un tempo immaginario determinato o indeterminato, che non è quello che stanno vivendo nello stesso momento gli spettatori). Nella modernità la narrativa prende il ruolo della saggezza mitica, che ora però nella narrativa viene scoperta e non ritrovata. 


Nel teatro postmoderno la performance ritorna a coincidere con la vita, tuttavia non per identificazione col mito (vedi il dogma dell’Eucaristia; il rito per definizione non è una rappresentazione, ma un rinnovarsi dell’evento mitico), ma perché trascina la vita in un’esperienza neo-dionisiaca performativa, che diventa il fine di una poetica di tipo para-salvifico, che va dalla ricerca dell’autenticità allo straniamento e quindi alla performance.

 

 

3.4. Modelli di unità e modelli cronotopici  


Il fatto che i generi formulaici privilegino il cronotopo ovvero il mondo-contesto spazio-temporale, o utilizzino, come nel rosa, il rapporto interpersonale come spazio, implica una consapevolezza quasi deterministica di geografia e storia, anche quando ne prescindono in senso letterale, come appunto quando non interessa il contesto storico se non come ideologia dei rapporti umani (rosa) o come tecnologia (SF) o concezione epistemologica (giallo). L’unità è data dal fatto che si vive in quel mondo, in quelle condizioni imposte dal contesto, e tutto ciò che avviene nella storia avviene per vari motivi, ma ciò che interessa è che avvenga trasfuso nell’iconografia, (e quindi nella tecnologia) da quel mondo specifico derivante (cavalli e pistole, o salotti e balli, o castelli, sotterranei e prigioni, o campi di battaglia e dilemmi strategici.) 


Il legame seriale è ripetitivo e quindi statico, non si sviluppa, ma si combina per variazione o varietà combinatoria come il caleidoscopio, l’avventura e la pornografia. La ripetizione può essere interpretata a sua volta in modi molto diversi. Può essere l’eterno ritorno del tempo ciclico, o invece una serialità che è versione massificata del tempo ciclico. 


La presentificazione del cosiddetto “tempo reale” somiglia o no alla performatività e/o alla sincronicità simbolica? La performatività si esaurisce in sé, la sincronicità permane in una stasi senza sviluppo significativo. Nella sincronicità simbolica nessun senso è detto o dato, speso, attribuito e quindi perso. L’istantaneo, a sua volta, per la sua brevità sembra pressoché il nulla, ma in qualche modo misterioso tiene in piedi la comunicazione e quindi il tutto. (Framme/a/ontologia potrebbe essere definita la scienza della comunicazione contemporanea, fatta di frammenti, collezionati come un’antologia che costituisce la vera ontologia del mondo presente.) 


Anche per quel che riguarda le unità, vi sono modelli di unità storicamente realizzati e modelli possibili. Ci può essere l’unità di luogo e non quella di tempo o viceversa. O azioni parallele (vedi L’uomo senza qualità, di Robert Musil), o un’unità di luogo allargata, sostituita da un’unità di pertinenza dei vari luoghi dove si svolgono tratti d’azione ritenuti rilevanti, come nel montaggio cinematografico. L’unità di pertinenza si converte in un’unità di “presenza ai fruitori”, per cui l’unica unità che conta è quella sulla scena teatrale o sulla pagina del libro, o sullo schermo. L’unità di luogo dove si svolge la storia raccontata tende a scomparire sotto l’unità di presentificazione al lettore-spettatore-fruitore, cioè sotto l’unità della performance o esecuzione. Ciò è possibile sempre a causa del patto fruitivo.  


Qual è il tipo di unità di pertinenza dell’ipertesto? L’ipertesto trova tale unità di pertinenza nella scelta parziale dell’itinerario fruitivo del lettore, all’interno delle possibilità totali di percorrenza permesse dai link. La diversità sostanziale tra testo e ipertesto è che il lettore riduce, ritaglia la sua parte "parziale" nella totalità dell’offerta autoriale. L’iper in più rispetto al testo è la residualità, mai del tutto esperita. Il lettore non legge l’ipertesto se non qualitativamente, ma dal punto di vista quantitativo solo parzialmente e quindi in modo particolare e soggettivo. 


La libertà del soggetto si attua nella dispersione della soggettività postmoderna, quando cioè non si crede più all’individuo. Questo perché la morte dell’autore è anche la morte del lettore? Sì se entrambi sono intesi come ideali. Muoiono cioè il lettore e l’autore implicito o modello, e nascono i loro corrispondenti empirici. Il lettore dell’ipertesto legge dei frammenti che riytaglia e ricuce parzialmente da un testo maggiore parcellizzato. L’ipertesto è frammentarietà più unità ipotetica potenziale e parziale. Abbiamo perciò tre ordini di cose: 1.L’ipertesto totale virtuale, 2.Un database frammentato e depositato, 3.Una certa quantità di frammenti, collegati dal lettore nelle realizzazioni fruitive.  


L’unità di pertinenza, nella tradizione letteraria si esprime come unità di effetto, dalla catarsi in poi.

 

 

 

 

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