In ritardo/Late on
the Event-Scene
Nell'universo senza
memoria dell'accelerazione mediatica
arrivare in ritardo sull'attualità è
l'ultimo modo per ricordare
18. Uno degli effetti della
globalizzazione - sostengono i suoi avversari - è la svalutazione della
manifattura industriale del prodotto, a basso costo, rispetto
all’immagine che gli aggiunge la pubblicità. Quest’immagine,
sintetizzata dal marchio: brand o logo, è ciò che gli conferisce la
maggior parte del valore. Di qui il No Logo del titolo del libro
di Naomi Klein. La confezione materiale, ormai
parte secondaria dell’intero processo produttivo, è appaltata
ai lavoratori di paesi sottosviluppati, sfruttabili, mentre ciò che
l’azienda è impegnata a produrre veramente è l’immagine di sé. Il
marchio deve servire a vendere non un prodotto industriale, ma una
tendenza della moda, ovvero la patina simbolica dell’oggetto. Questa
dimensione “culturale” non soddisfa infatti un’esigenza pratica,
bensì un’esigenza mentale e terapeutica, perché si presta ad un uso
sostanzialmente consolatorio delle incertezze narcisistiche, di tutte le
età, ma principalmente di quelle adolescenziali. La qualità simbolica ed estetica
delle merci è sempre esistita, ma era conservatrice, e quindi lenta o
refrattaria a recepire il mutamento. Pretendeva di fondarsi sulla qualità
dei materiali (i bei tessuti, morbidi e duraturi, caldi e leggeri),
sulla comodità funzionale più che sulla reinvenzione formale. Il suo
significato simbolico era l’esibizione discreta ed elitaria, per gli
intenditori, di tratti che significavano appartenenza agli strati,
progressivamente più ristretti, della classe dominante. Oppure era
esibizione, proverbialmente derisa, delle imitazioni, per avvicinarsi
simbolicamente ai livelli superiori della gerarchia sociale. La cosiddetta alta moda del vestiario
femminile aveva ancora una dimensione di portabilità, ed era esclusiva
in termini di prezzo, ma anche in termini di gusto. Nella situazione
attuale l’esclusività della moda è assoluta, nel senso che le
collezioni non sono per nessuno, in quanto al di fuori di ogni
portabilità plausibile. Il gusto si è dissolto nel sincretismo degli
stili, e la commerciabilità viene riversata sugli accessori o sui
sottoprodotti di massa, (se non vogliamo credere alle voci ricorrenti,
secondo cui si tratterebbe di semplici attività di copertura di
traffici illeciti). Di qui l’attività di contraffazione dei prodotti
originali, con “falsi” che sono identici agli oggetti imitati, ma
sono confezionati dagli schiavi cinesi segregati negli scantinati di
Cinisello o di Casoria, invece che dagli stessi cinesi a Taiwan. Tutto cambia infatti quando la
globalizzazione permette di esportare la manifattura dove lo
sfruttamento è legale; quando la durabilità dei materiali è un
difetto invece che una qualità, e l’impegno aziendale, da produttivo
diventa “creativo”. Ciò che si crea è l’aura cultuale che
accompagna gli oggetti nelle grandi e piccole cattedrali del consumo,
visitate in pellegrinaggio dagli adepti, per impossessarsi dei feticci
che conferiscono lo status stagionale “giusto”, prima che trapassi
nella “banalità”. Il prodotto “giovanile” inoltre deve essere venduto dai giovani, che diventano così i lavoratori più impiegati, ma in situazioni di precariato e temporaneità, corrispondente alla breve durata delle tendenze e della gioventù stessa. Se a quarant’anni è quasi impossibile tornare in fabbrica o in ufficio, a trent’anni diventa difficile restare nel circuito dei venditori a contatto col pubblico. La patina simbolica dell’oggetto di
culto non scaturisce più dalla tecnica artigianale manifatturiera. Né
dall’affidabilità utilitaria dell’oggetto di produzione
industriale, pur con tutta la sua riproducibilità seriale e
massificata. La nuova simbolicità è giustapposta con l’etichetta,
che, con l’immagine incantatoria del logo, trasmuta la materia vile in
spirito del tempo. Questa alchimia è il raggiungimento di un’idealità
ossimorica, “puramente falsa”. Tende infatti all’acquisizione di
un’astrattezza, imitativa di quella dell’arte pura, che satura e
falsifica tutti i margini d’utilità dell’arte applicata. |