In ritardo/Late on the Event-Scene
Nell'universo
senza memoria dell'accelerazione mediatica,
arrivare in ritardo sull'attualità è
l'ultimo modo per ricordare
8. Osservatori, osservati e l’illusione
del potere.
(Leonardo Terzo, 1 Dicembre 2000) In un mondo dominato dagli schermi, la
metafora del Grande Fratello, dal punto di vista logistico, è utilizzata in
modo per lo meno curioso. Per Orwell infatti si trattava di un meccanismo attraverso il quale il potere
controllava tutti i sottoposti, invadendo la loro sfera privata,
estrovertendola così in quella pubblica. Il potere tecnologico era il
fondamento della dittatura, anche perché rendeva accettabile la sua
intrusività, permeando ogni aspetto della vita dei singoli, manipolando la
lingua e ogni altro mezzo di comunicazione. La
dittatura si caratterizza infatti anche per la riduzione della sfera
privata, e la democrazia per il suo allargamento. Quanto più ampia è la
gamma delle decisioni che posso prendere, nel rispetto delle leggi comuni,
senza doverne render conto nella sfera pubblica, tanto più grandi saranno la libertà e la
democrazia della società in cui vivo. La
televisione non è uno strumento che permette a chi la gestisce di guardare
nelle case di chi ascolta, ma al contrario entra nelle case di chi ascolta
per farsi guardare. Fatto strano, farsi guardare è diventato il desiderio
più grande della nostra società. Sembra anzi la fonte del potere perché, lungi dal permettere all’osservatore
di controllare l’osservato, contamina l’osservatore inducendolo ad
uniformarsi agli esempi messi in mostra. La
logica dello zoo è così sostituita dalla logica della pubblicità. Ciò
sembra deporre a favore di coloro che sostengono che l’uomo è dominato
dall’istinto di imitazione. Il conformismo domina a tal punto la specie
umana, che persino il vitalismo ribellistico dei giovani riesce ad
esprimersi solo in comportamenti di imitazione tribale. Insomma l’individuo
si riconosce solo quando si specchia in una condivisione, persino nei casi
in cui intende far valere la sua alterità. Ciò che è
interessante negli effetti della televisione è il capovolgimento
strategico, che riesce a uniformare con mezzi non coercitivi. In realtà si
tratta di ciò che Marcuse ha chiamato “tolleranza repressiva”, che
comunque talvolta non esclude la censura vera e propria, sia legale sia
economica. Forse però si
dimentica che nella logica dello zoo il potere non appartiene agli animali,
esposti al ludibrio dei passanti, ma ai gestori dello zoo, che organizzano l’esposizione
evidenziandone soprattutto la spettacolarità, ovvero la mostruosità, sia
nel senso etimologico sia nel senso corrente del termine. Inoltre nell’assimilazione
crescente tra ciò che è dentro e ciò che è fuori lo schermo, si perde
gradualmente il senso di distinzione tra mondo e rappresentazione, tra sfera
pubblica e privata, tra immediatezza (possibile) della visione ed esigenze
tecniche, ma anche “politiche”, del mezzo che, appunto, media tra
osservatori e osservati. Osservatori e
osservati sono entrambi, per così dire, assorbiti dentro il mezzo, che
diventa uno pseudo-specchio, li pone inaspettatamente a contatto, e inizia
quel processo di indistinzione tra realtà e virtualità, che peraltro è
comune a tutti i mezzi di comunicazione, a cominciare dalla lingua.
Antropologi e linguisti si sono affannati negli ultimi quarant’anni a
spiegarci che non siamo noi a parlare la lingua, ma è la lingua che parla
noi, cioè stabilisce le categorie entro le quali ci riconosciamo ed
esistiamo. È a questo punto che osservatori e osservati finiscono per
condividere la stessa sorte. Ma questa
identificazione si riflette in due diverse funzioni della spettacolarità.
Una è quella dichiarata, della presunta assoluta veridicità dei
comportamenti presentati all’osservazione, che ci fa credere di osservare
gli altri per curiosità e simpatia, persino con un fine conoscitivo, quasi
nei panni di antropologi che osservano e classificano non con distacco, ma
con interesse, i costumi della loro stessa tribù. L’altra funzione
è quella censurata, e consiste nell’illusione di poter osservare non
visti, non perché ci vergogniamo di essere dei voyeur morbosi, ma perché
ci illudiamo di essere, come il vero Grande Fratello di Orwell, i detentori
del potere. Questo potere
ci si illude di esercitarlo cogliendo gli aspetti più privati, e per ciò
stesso colpevoli, della vita altrui. Vedere una persona che beve un bicchier
d’acqua è uno spettacolo noioso, ma vedere la stessa identica azione dal
buco della serratura è un estremo piacere, perché sembra ed è una
prepotenza sadica. Se i protagonisti dell’esperimento guidato che si
intitola al Grande fratello diventano dei divi, è perché il sadico non
può non amare chi gli procura il piacere del potere.
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