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1. Osservazioni di psicologia sociale sull'anoressia

 

 

1.Osservazioni di psicologia sociale sull'anoressia


1.
Da osservazioni di sintomi di anoressia in giovani donne tra i venti e i trenta anni, ritengo che si possano formulare alcune ipotesi interpretative di tali disturbi, collegandoli a due centri genetici di crisi tra loro connessi: il rapporto col padre e i modelli di femminilità offerti dalla nostra situazione culturale in un'epoca di transizione da un radicamento nel modello cosiddetto patriarcale dove la donna è Eva, materia, angelo del focolare, oggetto sessuale, a un modello o modelli emancipati in prospettiva femminista, ancora in divenire, e non chiaramente formulati e percepiti dalle giovani donne a disagio.

Tale disagio deve inoltre essere inquadrato in una prospettiva di modificazione dei ruoli e delle immagini dei due sessi tradizionalmente vissuti. Essa consiste in una moltiplicazione delle possibilità di identificarsi, ma soprattutto in una riconfigurazione dei segnali di riconoscimento sessuale che confonde, in modo inedito tra i generi, caratteri di femminizzazione e mascolinizzazione.

Infine occorre tenere presente l'intensificarsi della comunicazione rappresentativa in termini di immagini visive e di spettacolarizzazione del corpo e dei suoi comportamenti antropologicamente intesi, tipica della situazione occidentale contemporanea. Tale situazione vede la tendenza globalizzante dei modelli culturali che appare nello stesso tempo imperialistica ed ecletticamente onnivora delle altre culture, così da poter ipotizzare un doppio livello di compenetrazione interculturale: un livello strutturale economico-reticolare, ed un livello simbolico di rielaborazione ideologica in forma di ibridazione omologante, se non di marcusiana tolleranza repressiva.

 

2.
Il rapporto col padre è controverso, e diviene importante, se si considera la presenza del padre come modello di sviluppo spirituale, estroverso in direzione del mondo sociale, che la ragazza percepisce come principio di realtà in varie determinazioni: come principio di intraprendenza, come via di acquisizione di potere, come metodo di eccellenza intellettuale e padronanza della realtà oggettiva. Ciò in opposizione e come differenza rispetto al modello materno introverso e affettivamente fondato.

Il disagio interviene perché a sua volta il padre ha un modello femminile, che suppone ed esige sia incarnato dalla figlia, che spesso è invece limitato alla concezione patriarcale, che reifica la donna al corpo. Sebbene questa sia certamente una dimensione della donna da non eliminare, non può essere più la sua dimensione prevalente. E anzi la dimensione propriamente "femminile" di attrattiva sessuale integra ormai tutta la varietà di compiti, doveri e virtù, relativi alla conquista del mondo, prima di esclusiva pertinenza del maschile. Si crea una emergenza della separazione dei compiti, tra sfera affettiva e sfera del dominio attivo della realtà, all'interno di entrambi i sessi, laddove prima essa era invece percepibile solo nell'uomo, e la donna era relegata alla dimensione riproduttiva e sessuale, con tutte le conseguenze derivanti.

Il disagio si manifesta quando l'identificazione col principio "intraprendente" paterno costringe anche all'identificazione con la reazione negativa del padre effettivo, il quale non attribuisce alla figlia i compiti nuovi e paritari che la figlia ritiene di sua pertinenza e che il padre invece ritiene propriamente maschili. Per piacere al padre, ed essere accettata da lui, la figlia deve introiettare il "disprezzo" paterno per il genere femminile, mutilato di spirito e intelletto, mentre cerca in lui proprio i tratti maschili di potenza e intellettualità che il padre rifiuta in lei. La contraddittorietà di questa situazione è fortemente disturbante e porta a due "mutilazioni" o "odii". L'odio di sé come corpo femminile, oggetto sessuale, forma formosa appetita dai maschi, e il disprezzo di sé come essere inferiore, incapace di intrapresa mondana. Hanno quindi luogo due reazioni: il tentativo di nascondere la propria femminilità, rifiutando la femminizzazione e distruggendo la propria forma fisica di donna; e la sfiducia in sé, che genera la paura di essere prima o poi "scoperta", come donna, ovvero come incapace, e quindi di essere abbandonata dal padre e dal mondo.

La distruzione della forma fisica di donna assume un carattere peculiare e diventa centrale al problema, perché l'ideologia socio-estetica postmoderna mette in primo piano l'immagine, esteticizzando e femminizzando tutti i rapporti. Nel momento in cui anche il corpo maschile si esteticizza in modo femminile, il rifiuto del corpo è l'unica possibilità di sfuggire alla reificazione. Ciò sembra in apparente contraddizione con il successo della figura anoressica delle indossatrici di moda, ma tale successo può essere letto come conferma che, anche nell'attuale tabernacolo dell'ostensione della bellezza, il successo dipende dall'assottigliarsi delle forme e dall'eliminazione della specificità corporea della funzione della moda. Non è più il vestito che serve e completa il corpo, ma è il corpo che deve "disturbare" il meno possibile l'invenzione stilistica del vestiario.

La bulimia, che implica ingrassamento, ed è l'altra faccia dell'anoressia e del dimagrimento, può essere un modo opposto di nascondere la propria forma femminile, affogata e sommersa nel grasso. Entrambi i disturbi si ascrivono alla fase orale, con varie modalità. La bocca è luogo e strumento che acquisisce il cibo e lo distrugge, si nutre e aggredisce. Si mangia per isteria di conversione, ma anche per ira distruttiva. La fase orale è anche la fase in cui ha inizio la percezione della propria identità, separata dal corpo materno, attraverso la distinzione di fuori e dentro. La distruttività si ascrive di solito alla fase anale, ma il rifiuto del cibo si manifesta anche col vomito provocato intenzionalmente dall'anoressica, che dunque usa la bocca con funzioni evacuative di tipo anale. Il rifiuto del cibo è anche spargimento spregiativo della materialità, da cui ci si purifica (cibo uguale a feci), sul mondo. La bulimica invece tende ad abolire la differenza tra sé e il mondo, introiettandolo in sé e quindi eliminando in questo modo la distinzione tra dentro e fuori. Il fuori e il dentro, collegato al cibo implica per l'anoressica l'ossessione di separarsi dal mondo, di non farsi contaminare da esso. Non potendo conquistare il mondo con le armi dell'intrapresa intellettuale, l'anoressica teme che il mondo possegga lei, invadendola con la sua forma, che significa anche esporsi ad essere posseduta come corpo dai possessori maschi di intelletto.

Si può notare che mentre nel mito maschile di conquista del mondo, la donna si identifica con quest'ultimo, con la terra e il regno da conquistare e possedere, dal punto di vista femminile emancipato, la conquista è il riconoscimento della propria intraprendenza da parte di una figura paterna, il distacco dal modello reificato di madre, e la ricostruzione di un modello inedito di affettività verso il maschio, che implica anche qui l'emergere dello spirito di iniziativa. Modelli in qualche modo collaterali a questo esito della trasformazione, sono l'omosessualità femminile, che relega in altre donne da conquistare il vecchio modello della donna-materia; e l'acquisizione del comportamento maschile di riduzione dei rapporti all'utilizzazione occasionale, precaria e meramente corporea e sessuale del maschio. Un'altra fenomenologia comportamentale di malintesa emancipazione femminile è appunto l'acquisizione della libertà e della parità con l'uomo, limitata tuttavia ai rapporti sessuali, perché per la donna la sessualità resta ancora l'unica prospettiva di vita in cui farsi valere.

 

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