Io, rom!

di Santino Spinelli

Due culture in me ruggiscono forte: sono state due belve feroci che mi hanno azzannato da una parte e dall'altra. Ognuna di loro poteva annientarmi, eppure con tanta pazienza e tanta fatica sono riuscito ad addomesticarle e a conciliare le loro forze. Così oggi di una conservo la testa e dell'altra il cuore. La mia storia è diversa e simile allo stesso tempo a quella di altri rom. È simile per le tensioni, le inquietudini, le "rabbie represse" che una società inospitale inevitabilmente provoca al rom. È simile forse anche per lo choc psicologico subito a scuola la prima volta che scoprii la diversità della cultura che in me portavo, diversità non accettata dai caggé (i non-Rom) e vista sotto un'ottica completamente negativa. Rom! Rom! Rom! Ma io sono Rom! Nella scuola i rom sviluppano contraddizioni di difficile soluzione e molti complessi personali poiché nell'ambito scolastico c'e una sola visuale, una sola prospettiva di vita, funzionale ai modelli di vita dei caggé. I rom, abituati a vivere senza limiti e in spazi infiniti, spessissimo non riescono ad adattarsi e per questo rinunciano alla scuola. Preferiscono ripercorrere la strada di casa e rinchiudersi nel calore familiare, ed è chiaro che da adulti avranno non pochi problemi con il mondo circostante in cui fin dall'infanzia non vedono riflessi i propri valori, la propria ottica di vita. Troppo diversi sono i modelli di vita fra rom e caggé, e il rom è chiamato a operare una difficile scelta. La mia storia e diversa, forse perla fortuna che ho avuto rispetto a tanti ragazzi rom: la possibilità di studiare e la grande volontà di procedere nei miei studi nonostante la diffidenza, l'indifferenza, il disprezzo, il paternalismo, il pregiudizio. Gia, il pregiudizio, la tomba della verità! La formazione culturale e stata determinante per la scoperta della mia diversità in chiave positiva. Quel lumicino che serbavo nelle pieghe della mia anima e che illuminava l'amore per la mia cultura non si e mai spento (eppure sarebbe bastato un lieve alito) e oggi, a costo di numerosi sacrifici, cerco di tenerlo acceso e di proteggerlo da forti venti impietosi spirano. Tu rom come me, io ti assimilo nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo! lo sono rom, ovvero appartengo a quella minoranza etnica che dall'India del nord si e dispersa in tutto il mondo nel corso di dieci lunghi soffertissimi secoli. Ancora oggi sono sconosciute le cause di quest'esodo, ma e certo che Mahumad di Gazni attacco per ben diciassetteI'India del nord fra il 1001 e il 1027 costringendo i miei antenati lungo e travagliato cammino, fisico, morale e psicologico. Ancora serbiamo nella nostra lingua il ricordo di Gazni. Caggé ("non-Rom, ma anche "nemici") deriverebbe appunto dal nome del conquistatore persiano. La nostra lingua e lo specchio fedele della nostra storia rom, i Sinti e i Kalé (i cosiddetti "gitani"), che con i loro numerosi sottogruppi affini e diversificati costituiscono il mondo Rom, subito la durissima repressione dei persiani, dei bizantini, degli ottomani, di tutti gli Stati europei fino al recente massacro di oltre un milione di rom e Sinti durante la seconda guerra mondiale dai nazi-fascisti. Di questi stermini i libri di storia non parlano ufficialmente. Qualcuno forse ha dimenticato troppo in fretta, forse non interessala notizia non suscita certo scalpore. Il mio gruppo e quello dei rom abruzzesi, ovvero il primo gruppo arrivato in Italia, probabilmente nel corso del XIV° secolo, anche primo documento che accerta la presenza dei Rom e quel luglio 1422, una anonima cronaca bolognese contenuta nella Italicarum Scriptores di Ludovico Antonio Muratori. Proprio per la lunga permanenza in Italia noi rom abruzzesi, cittadini italiani, siamo relativamente più inseriti nel contesto sociale ed economico della società maggioritaria rispetto ad altri gruppi rom. Le attività principali esercitate dai miei avi sono sempre state quelle che lasciavano spazio all'essere e alla creatività e quelle che facilitavano i rapporti umani. Da qui l'attività di musicisti, di fabbri e calderai, di commercianti di cavalli, di lavoratori di metalli. Quindi la mia attività di musicista non è casuale. Fin da ragazzo ho cullato l'idea di cantare in romanes, di pubblicare un vocabolario della mia lingua (anche per questo scelsi di studiare lingue letterature straniere moderne all'università di Bologna, dove sto per laurearmi) e di promuovere la cultura romaní. Erano cose che inizialmente sentivo lontane e forse irrealizzabili, ma erano in me e piano piano con l'esperienza e con gli incontri successivi le ho maturate e così realizzate. Devo dire che tutto ciò che ho prodotto nella mia vita è sempre stato frutto di una lunga gestazione le cui radici spesso vanno ritrovate proprio nell'adolescenza. Fra i linguaggi che ho scelto per comunicare, senza dubbio preferisco quello musicale sia per la sua universalità, sia per la sua immediatezza. Spesso alcuni suoni ben assortiti riescono ad arrivare lì dove le parole non possono arrivare, riescono a esprimere cariche emotive che semplici e fredde sillabe spesso non riescono a realizzare. Per un popolo che non ha mai affidato alla tradizione scritta il compito di perpetuare la propria cultura, la musica e soprattutto il canto sono stati il veicolo di trasmissione della cultura e dell'etica romanes. Per un popolo spesso costretto a reprimere e a dimenticare la propria lingua, la musica è stata un indispensabile mezzo di comunicazione oltre che una valvola di sfogo e di decontrazione psicologica. Noi rom abbiamo pochissime opportunità per farci conoscere in modo positivo dall'opinione pubblica; la nostra strada è quasi sempre in salita, anche quando non vorremmo che fosse così. Le fonti informative spessissimo distorcono la nostra realtà producendo stereotipi negativi di cui i rom restano vittime. Mio padre mi ha trasmesso la sua grande passione per la musica e così ho cominciato a suonare fin da bambino, a Lanciano dove tuttora vivo con la mia famiglia. La musica mi ha cosi permesso di comunicare senza parole e via via ho imparato a suonare la fisarmonica, il pianoforte, la tastiera e il sassofono. Successivamente ho cominciato a cantare in lingua romaní. A Bologna ho approfondito la conoscenza della musica jazz e in Francia ho scoperto la musica jazz dei Rom seguaci del grande Django Reinhardt. Con il sostegno della Commissione delle Comunità Europee e il Centro di ricerche zingare dell'università Sorbona di Parigi e con l'aiuto di Paco Suarez, kalò spagnolo, ho realizzato un saggio sul tema I Rom e la musica: storia, evoluzione, creazione e interpretazione. Questa ricerca mi ha permesso di conoscere i diversi stili della musica romaní e di ritrovare le mie radici culturali e artistiche. Recentemente ho formato il trio musicale Alexian Trio (Alexian e il mio nomed'arte) con un contrabbassista e un percussionista rom macedone, proprio per valorizzare e diffondere il materiale artistico che sono riuscito a recuperare e a studiare. Il tutto è chiaramente filtrato attraverso la mia personale sensibilità e la mia interpretazione. Questa attività, dopo aver inciso diversi dischi e cassette, vedrà il culmine in una serie di concerti e nella realizzazione di un compact disc. La cosa più difficile che ho verificato nella mia vita è far capire che i rom sono delle persone normalissime con un particolare modo di porsi di fronte alla vita e di interiorizzarla. Cio che più mi stupisce è l'incredulità da parte di molte persone quando si parla loro della situazione dei rom dello squallore che si trova in certi campi riservati ai Rom ad appena poche centinaia di metri di distanza dalle loro case. Ultimamente hocercato di capire il motivo per cui i rom, nonostante siano stati barbaramente massacrati sotto gli occhi di tutti, non hanno mai trovato solidarietà fra i caggé. Eppure l'opinione pubblica sa cos'è la solidarietà, visto che spesso si leggono dei manifesti di "solidarieta per il popolo salvadoregno""... per il popolo nicaraguense", "... per il popolo armeno", " per le popolazioni sudafricane". Giustissimo, ma i rom? La realtà è che i caggé non vedono letteralmente i Rom. Senza questo camuffamento psicologico i caggé si sentirebbero assediati e la sopravvivenza stessa diventerebbe per loro una questione tormentosa invece che presupposto automatico. L'invisibilità delle differenze é alla base di un governo comodo. Ma forse i cagge, più semplicemente, hanno paura di diventare come i rom. Certamente si tratta di un conflitto fra due modi di vita fondamentalmente opposti. Da una parte i modelli dei caggé rigidi fissi, ripetitivi, statici e dall'altra quelli dei rom, flessibili, elastici intercambiabili. Da una parte una visuale di vita di tipo verticale con predilezione per i rapporti gerarchici, le differenziazioni di classe, l'arrivismo e il protagonismo esasperato; dall'altra una visuale di tipo orizzontale con una predilezione per i rapporti familiari. Da una parte il consumismo, l'utilitarismo applicato perfino ai sentimenti, per cui il "vecchietto" che non produce viene "recluso" in un ospizio; dall'altra la solidarietà vissuta nelle profonde componenti umane. Il progresso illimitato, che rende sordo chi non vuol sentire, semina illusioni e genera conflitti etnici e di classe. Il progresso genera autoinganni e distoglie l'uomo dal suo vero destino. La vita dei rom si oppone alla logica irrazionale del progresso. L'uomo puo alleviare il peso del "dolore del vivere" solo seguendo i buoni consigli di madre natura. Il progresso va contro natura. Forse anche per questo i rom preferiscono l'autoemarginazione da una società "sorda" e incomprensiva. Le mie poesie, le mie canzoni, i miei scritti sono figli legittimi di questa cultura e sono diretti a svelare quelle "verità" nascoste, verità che nascondono orripilanti atrocità compiute contro il mio popolo inerme,vere e proprie "tragedie" che sono state opportunamente nascoste dietro l'indifferenza e che non sono mai state prese in considerazione. Questa intima esigenza di giustizia è la molla che mi spinge a difendere la mia gente. Le attività a cui mi sono dedicato hanno un denominatore comune poiché tutte sono dirette alla valorizzazione della cultura che mi appartiene. Suonare, cantare, scrivere sono modi diversi di esprimere la stessa esigenza e nella mia produzione si riflettono i punti di vista, le denunce, la morale, i sentimenti di un popolo incompreso ed emarginato, curvo sotto il peso dell'ingiustizia.Affrontare questa "tragedia" come fosse un'allegra commedia è il segreto della nostra lunga esistenza.Per non disperdere il nostro patrimonio culturale che va sempre più impoverendosi, ho fondato un'associazione autonoma di rom e sinti senza scopo di lucro che pubblica una propria rivista trimestrale: "ThèmRomanó" (mondo Rom). Questo periodico rappresenta uno strumento di elaborazione culturale edi consapevolezza etnica che permette da una parte ai rom e ai sinti dipoter intraprendere il cammino della rivendicazione esistenziale e culturale e dall'altra permette ai cagge di conoscere correttamente un mondo e una realtà ancora sconosciuta nonostante sei secoli di convivenza. Gli spunti per la riflessione permettono ai rom e ai sinti di non essere semplici oggetti di studio, ma soggetti di confronto. È anche per questo "Thèm Romanó" sta organizzando in collaborazione con importanti organismi internazionali il primo concorso internazionale di poesia e narrativa "Amico Rom" aperto a tutti, rom e caggé, proprio per approfondire la conoscenza reciproca. Cio che manca al movimento di rivendicazione dei rom e dei sinti a livello internazionale è una ideologia di fondo oltre che un'unità sostanziale.All'egoismo individuale va sostituito l'interesse collettivo e al protagonismo personale una promozione culturale di ampio respiro.Occorre creare un'intellighenzia romanes che sappia sopperire a queste carenze. La strada è lunga e tortuosa e occorre armarsi di molto coraggio.

T'aven barbut baxtale' ta saste'!

 

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