I Rom e la Scuola

 di Santino Spinelli

 

La scuola europea nei confronti dei Rom ha fallito. I dati sono lì drammaticamente a testimoniarlo: l'indice di analfabetismo nel mondo romanó è ancora altissimo. Occorre partire da questa drammatica constatazione per migliorare la situazione. Le cause che hanno determinato questa realtà sono molteplici e vanno imputate principalmente alla politica repressiva e di rifiuto della cultura romaní attuata da tutti i governi europei, alla scarsa sensibilità degli enti pubblici per le questioni romaní, alla sfiducia delle famiglie romaní nei confronti della scuola, alle associazioni pro-rom che traggono profitto dall'emarginazione dei Rom, all'immagine negativa e stereotipata che i Rom hanno nella società.

Fra tentativi ed errori non tutti hanno compreso che prima di far entrare i Rom a Scuola occorre non solo avere una profonda conoscenza della storia e della cultura romani per meglio comprendere di che tipo di scuola i Rom realmente necessitano, ma risolvere problemi più profondi che attanagliano il mondo romanó da un punto di vista sociale, politico ed economico.

La storia dei Rom e della loro cultura è caratterizzata dal rifiuto e la scuola non ha fatto eccezione. Gli interventi educativi etnocentrici hanno rappresentato un mezzo di assimilazione da parte dello Stato o di conversione cattolica da parte di preti missionari o volontari cattolici che hanno profuso i più significativi sforzi per la scolarizzazione dei bambini Rom; uno sforzo immane tra mezzi inesistenti, freddezza e insofferenza di buona parte del mondo della scuola e l'ostilità degli Enti Pubblici che temevano la scolarizzazione dei Rom come motivo di insediamento di rom nel territorio. L'insediamento romanó provoca sempre un grande allarmismo. Ma ancora oggi, nonostante le normative vigenti nei diversi Paesi della Unione Europea garantiscono una scolarizzazione rispettosa dei diritti allo studio e all'identità culturale i risultati scolastici per i Rom sono scadenti. Del resto la cultura educativa intesa alla maniera dei kaggé è stata profondamente inutile nel mondo Rom sia socialmente perché non aveva nessun prestigio, l'ascesa sociale (intesa alla maniera dei Kaggé) non interessava , sia economicamente perché il successo economico legato alla professionalità scolastica contemplava un diverso rapporto con il lavoro. Altri fattori che non hanno "stimolato" i Rom a scolarizzarsi sono stati: il nomadismo, i problemi legati alla sfera economica e sociale, le difficoltà d'ambientamento, l'attività assistenzialistica a fini manipolatori delle associazioni pro-rom (il braccio di controllo dello Stato sui Rom). Negli ultimi 40 anni i mutamenti più significativi sono stati il passaggio dall'analfabetismo alle classi speciali (classi ghetto) e da queste ultime alle scuole comuni con una percentuale inversamente proporzionale al grado di studi. La frequenza più alta si è registrata nelle prime classi della scuola elementare per diminuire drasticamente nel prosieguo degli studi.

Nonostante queste difficoltà un processo di scolarizzazione nel mondo romanó è stato avviato. Ma il mondo del bambino Rom che frequenta la scuola non può essere suddiviso a fette, né tantomeno la sua crescita si realizza per sbalzi da un settore ad un altro in tempi successivi l'uno dall'altro; il bambino Rom deve vivere in tutta la sua integrità il magnifico fenomeno dell'essere al mondo, del crescere, del maturarsi in mezzo al mondo, tra gli altri e le cose che sono compresenti con tutta la loro pregnanza e specificità. Spetta alla scuola il diritto-dovere di saper progettare, organizzare, distribuire nello spazio-tempo le proprie proposte onde poter guidare, nella maniera più integrale ed armoniosa possibile, la crescita e la maturazione del bambino che le viene assegnato. Ma, se è ormai indiscutibile la presenza del bambino nella sua totalità, è anche vero ed altrettanto indiscutibile la complessità delle sue manifestazioni in ogni momento del suo esistere: quando parla, quando gioca, quando lavora, quando si muove, quando si esprime... Ed è proprio nella gestione della sua complessità che si gioca il ruolo della scuola, nella sua positività o nella sua negatività.

Tale e grande è la responsabilità della scuola.

Il ruolo dell'infanzia oggi si espande dal chiuso della famiglia al grande palcoscenico del "sociale". Il problema della crescita dei bambini Rom, della loro educazione, del loro essere felici o non, dei loro interessi per ciò che li circonda, non riguarda solo la famiglia e le persone che ruotano intorno ad essa, ma è un grande problema che tocca l'intera comunità sociale.

Gli apporti di varie discipline, da quelle più propriamente mediche a quelle psicologiche, sociologiche, pedagogiche, antropologiche, hanno ben evidenziato la grande importanza di un approccio giusto a questo periodo di vita, rilevandone la prodigiosa potenzialità che fa del bambino non un piccolo uomo in crescita ma un autentico soggetto con proprie caratteristiche, diritti, desideri, bisogni.

La scuola nei confronti degli alunni Rom, nel passato si è posta come ambiente di prevenzione del disadattamento e di recupero, con l'istituzione di scuole e sezioni speciali per gli alunni come se fossero affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali. La scuola copriva con la segregazione le proprie deficienze nei confronti dei Rom.

La totale riformulazione degli Orientamenti, rappresenta un passo significativo per la qualificazione della scuola, che in un'ottica completamente diversa ha accolto nuovi concetti, nuove riflessioni e le tante esperienze maturate in questi ultimi anni. La nuova scuola si connota di alcune caratteristiche fondamentali:

1) è la scuola del bambino, quello vero, ricco di esperienze, di potenzialità, di desiderio di apprendere, del bambino soggetto di diritti, dove la personalità infantile va considerata nel suo essere e nel suo dover essere, secondo una visione integrale che miri allo sviluppo dell'unità inscindibile di mente e corpo;

2) è la scuola delle relazioni, che favorisce rapporti ampi, sereni, stimolanti che coinvolgono tutti, grandi e piccoli, dove l'interazione affettiva rimane il principale contesto entro il quale il bambino costruisce e sviluppa le sue relazioni sociali e i suoi schemi congitivi;

3) è la scuola della progettualità che assume l'ottica curricolare alla base della propria impostazione; le caratteristiche del curricolo sono costituite dalla specificità degli obiettivi, dei contenuti, dei metodi, della molteplicità delle sollecitazioni educative e dalla flessibilità nell'applicazione delle proposte programmatiche;

4) è la scuola che favorisce il rafforzamento dell'identità personale del bambino, che contribuisce in modo consapevole ed efficace alla progressiva conquista dell'autonomia, che consolida nel bambino le abilità sensoriali, percettive, motorie,linguistiche e intellettive, impegnandolo nelle prime forme di riorganizzazione dell'esperienza e di esplorazione e ricostruzione della realtà sia familiare che quella esterna.

Il rinnovamento della scuola trova le sue prime radici con l'istituzione di scuole a tempo pieno, le attività integrative pomeridiane e antimeridiane, con l'obbiettivo di un ampliamento del tempo-scuola, ma soprattutto di maggiori opportunità educative, istruzionali, socializzanti. Nel corso degli ultumi anni le varie normative hanno dato una nuova fisionomia alla scuola nel suo insieme, aprendola ad una gestione allargata al sociale, ridefinendo la funzione del docente, oltre che direttiva e ispettiva, puntando sul diritto dovere all'aggiornamento dei docenti, proponendo occasioni di sperimentazione, prospettando una formazione culturale universitaria per tutti. Ulteriori provvediment legislativi hanno poi maggiormente ampliato la sfera di incisività della scuola affidando alla stessa il dovere di provvedere all'inserimento e integrazione di alunni portatori di handicap e alunni rom fino ad allora isolati, relegati in scuole e classi speciali e differenziali (le classi ghetto segreganti). La riflessione, poi, si approfondiva entrando nel merito della qualità della scuola e della professionalità del docente, ridefinendo il sistema di valutazione degli alunni, prevedendo momenti obbligatori di programmazione delle attività didattiche, apertura delle classi per attività di gruppo, progetti mirati al sostegno di alunni con problemi di svantaggio socioculturale. I risultati di tutte queste iniziative finalizzate ad un cambio qualitativo della scuola venivano raccordati nei nuovi programmi, che, con l'approvazione dei nuovi ordinamenti, completano l'opera di rinnovamento e riqualificazione culturale, istituzionale, professionale della scuola. Tutti questi passaggi hanno costituito un nuovo volto e una nuova sostanza della scuola:

1) Scomparsa della figura dell'insegnante "tuttologo", a favore della nuova figura dell'insegnante "qualificato" che svolge la propria opera prevalentemente all'interno di uno dei tre assi culturali portanti che sono stati individuati: linguistico-espressivo, logico-matematico, del territorio in senso ampio.

2) Scomparsa del docente "unico" a favore di una "pluralità docente": la gestione, l'animazione, la valutazione della classe non è più in mano ad un'unica figura, armata del potere assoluto di fare, disfare, non fare, ma viene affidata ad un team di docenti equamente responsabili delle due classi loro assegnate.

3) Scompare la "rigidità" della classe a favore della pratica delle "classi aperte" con formazione di gruppi eterogenei di alunni che si ritrovano insieme attorno ad un progetto, ad una attività, ad una esperienza comune.

4) Scompare la "rigidità" del tempo della scuola a favore di un "tempo lungo" distribuito in precise ipotesi a seconda delle esigenze del territorio e della scuola. Il modello delle 24 ore settimanali è ormai anacronistico" e non è più sufficiente nemmeno per una scuola che svolga un ruolo di trasmissione passiva della cultura.

5) Cambia la perceziuone del bambino non più concepito "tutto sentimento, fantasia, intuizione" ma si riappropria del proprio "bagaglio cognitivo", piantando i piedi bene in terra, proteso verso l'utilizzo delle sue potenzialità, indirizzato verso i sentieri dell'autonomia critica e della creatività.

6) Scompare la cultura ormai "obsoleta" dei programmi per far posto ad una cultura legata "al presente", alle problematiche della complessa struttura sociale, una cultura che si espande attraverso assi culturali su solide basi epistemologiche, scientifiche e metodologiche. Dentro il grande progetto culturale fanno la giusta, doverosa apparizione settori nuovi della conoscenza: la lingua straniera, i linguaggi del corpo, dell'immagine, del suono, dell'informatica, collegando il percorso istruzionale del bambino nella scuola ai percorsi che la scienza, la tecnica, la società tutta sviluppano all'esterno.

Tutti questi fattori hanno contribuito ad innalzare, anche se in proporzioni modeste, il livello di scolarizzazione nel mondo romanó. Moltissimo ancora si deve fare nei confronti della dispersione scolastica degli alunni Rom.

È compito dello Stato, attraverso i suoi organi politici e amministrativi sostenere il percorso innovativo del bambino Rom che deve essere inserito dignitosamente nella scuola all'interno del ciclo culturale europeo, onde realmente costruire un modello di scuola culturalmente ricco, educativamente completo, istituzionalmente solido, professionalmente aggiornato, socialmente integrato, scientificamente evoluto e proiettato con forza, capacità e caparbietà verso il futuro.

In questi ultimi trenta anni c'è stato un grande interesse della ricerca per la situazione scolastica degli alunni Rom che non sono più visti al negativo per quello che non sanno fare, per le loro inadeguatezze conoscitive, per le strane risposte che danno alle domande degli adulti - ma piuttosto per quello che sanno e che sanno fare valorizzando il loro saper fare in quanto culturalmente diverso, ma non illogico. Un contributo determinante per una tale nuova ottica è venuto dall'aperura all'interculturalità e anche dagli studi dello sviluppo linguistico che hanno mostrato la complessità delle operazioni con cui il bambino impara a destreggiarsi fin dai primi anni, con tutte le dimensioni del linguaggio (fonologia, semantica, morfosintattica, pragmatica), utilizzando informazioni che gli vengono dal contesto sociale in senso ampio.

Il mutamento di prospettiva che si è verificato in questi anni sullo sviluppo cognitivo sull'effetto dei media e dei processi di alfabetizzazione - è stato quello di cominciare ad interrogarsi sugli effetti che possono produrre sull'evoluzione del singolo le richieste della scolarizzazione, il carattere sistematico della conoscenza, l'uso di nuovi media di trasmissione e comunicazione, la situazione sociale organizzata in cui avvengono gli apprendimenti (la classe, il gruppo, la famiglia), il controllo dei risultati in termini di comportamenti e apprendimenti.

Ma è basilare comprendere e approfondire il giusto e fondamentale concetto di diversità ed attribuirlo come prerogativa unica ad ogni essere umano, in ogni momento della sua evoluzione e della sua crescita. La giusta applicazione di tale concetto in ambito pedagogico e didattico eliminerebbe tutti i problemi che rendono difficile la vita scolastica a moltissimi alunni e non solo Rom.

Offrire al bambino l'opportunità di maturare apprendimenti significativi, conoscere altre culture e altri linguaggi, conseguire autonomia, coltivare la curiosità, stare insieme agli altri per giocare, apprendere, deve solo essere una caratteristica fondamentale della scuola di base. La didattica che discende da tale metodologia non può non avere caratteri comuni identificabili nel contatto col reale, sempre più multiculturale, nella sua conoscenza, nella scoperta dei concetti base di ogni settore del sapere, nell'attività ludica che deve accompagnare ogni apprendimento, nella socializzazione delle esperienze che porti al confronto e poi alla critica rappresentazione delle esperienze attraverso tutti i linguaggi, nessuno escluso... Quanto più il bambino Rom sarà capace di concentrarsi, di responsabilizzarsi, di esprimersi con più canali, di ascoltare e comprendere più linguaggi, di fare, di sperimentare, tanto meno il passaggio dalla famiglia alla scuola, da una scuola all'altra gli sembrerà difficile.

D'altra parte, le riflessioni conseguenti ad ogni tipo di sperimentazione non possono non costituire oggetto di ulteriore riflessione da parte degli organi scolastici preposti per ricavarne quei suggerimenti che poi, in sede politica e legislativa, possano diventare patrimonio comune a tutto il mondo della scuola; ogni sperimentazione, così come in campo scientifico, non può durare all'infinito, né può finire senza alcuna verifica. Se così fosse lo Stato butterebbe al vento molte risorse sia in termini economici che in termini di energie e disponibilità. E il mondo della scuola è costellato di tali sprechi. Il passaggio dei bambini Rom dalla famiglia alla scuola pone ogni anno una quantità di piccoli e grandi problemi anche in una realtà di modeste dimensioni. Nel contempo cresce l'esigenza di un raccordo tra le due realtà (scolastica e familiare). Date le caratteristiche dell'educazione familiare dei bambini Rom e della loro cultura è necessario un itinerario che valorizzi i linguaggi non verbali all'interno della globalità dei linguaggi. Tale scelta è determinata da più motivazioni:

-pedagogiche, in quanto viene rilevata l'importanza dello stimolo all'espressione e comunicazione attraverso la globalità dei linguaggi;

-didattiche, in quanto i linguaggi verbali hanno subito spesso nel corso della storia della scuola una eccessiva valorizzazione a tutto danno dei linguaggi non verbali; di fatto i docenti di scuola elementare hanno tagliato sempre più spazio a tutte quelle attività legate allo sviluppo e potenziamento dei linguaggi del corpo, del colore, del movimento, della danza, del suono, dell'immagine.

Un bambino che si manifesta agli altri con la sua intuizione, la sua fantasia, per farlo utilizza come primo mezzo il suo stesso corpo, fin dal grembo materno. Il suo corpo attraverso i canali sensoriali utilizza più linguaggi e quanto più grande sarà l'orizzonte di tali linguaggi, tanto più potente, incisiva, significativa, gratificante sarà la sua presenza nel mondo lungo tutto l'arco della sua vita.

La famiglia rappresenta il contesto primario nel quale il bambino , apprendendo ad ordinare e distinguere le esperienze quotidiane e ad attribuire loro valore e significato, acquisisce gradualmente i criteri per interpetare la realtà, struttura categorie logiche e affettive, si orienta nella valutazione dei rapporti umani e viene avviato alla conquista e alla condivisione delle regole e dei modelli delle relazioni interpersonali. È estremamente importante quindi la necessità di una cooperazione costruttiva fra la famiglia, la scuola, i mediatori culturali e le altre realtà formative in un rapporto di integrazione e continuità.

Le attività espressive devono porsi come primo obiettivo quello di attivare le motivazioni del bambino Rom all'apprendere in genere e all'uso del linguaggio della musica, del corpo, della danza, del segno e del colore, in particolare, in quanto particolarmente portato , all'esperire la realtà interna ed esterna in termini di più linguaggi, verbali e non. Secondo obiettivo è quello di far acquisire al bambino Rom la consapevolezza della sua identità, della sua diversità culturale in termini positivi.

Le attività espressive crearono inoltre condizioni rassicuranti e gratificanti per molti alunni che al primo impatto con la scuola elementare manifestano disturbi conseguenti ad una miriade di cause da ricercare nella sfera familiare, emotiva, sociale, insomma in tutti quei condizionamenti che determina quella selezione negativa nei confronti degli apprendimenti scolastici. A fronte dell'insuccesso di molti alunni Rom nelle attività più formali legate all'apprendimento della lettura e della scrittura, la positiva, piacevole presenza ed operatività nelle attività legate ai linguaggi non verbali è spesso l'anello mancante che può facilitare il passaggio di quelle risposte che tardano ad arrivare e per le quali i docenti spesso sottopongono gli alunni Rom ad una "crudele tortura" nella applicazione in esercici di dettatura, copiatura…

Numerosi ricercatori ormai da vari anni hanno evidenziato la gravità delle conseguenze dovute ad uno svantaggio socio-culturale di base che si manifestano concretamente sul rendimento scolastico; i bambini Rom dimostrano scarsa capacità di concentrazione e di autocontrollo, mancanza di motivazione all'apprendere e più in generale alla conoscenza, inadeguatezza dello sviluppo linguistico e cognitivo, spesso si evidenzia una sostanziale coincidenza tra svantaggio socio-culturale e linguistico. Se di fronte a tali condizioni i soggetti culturalmente e linguisticamente diversi finiscono per trovarsi male all'interno della scuola fino all'insuccesso, ciò ovviamente dipende dal fatto che la scuola non tiene conto dei loro bisogni e delle loro peculiarità, né si sforza di conoscerli per predisporre su di essi un adeguato percorso di apprendimento.

Sul versante dei comportamenti occorre puntare ad una socializzazione degli stessi docenti che porti alla conquista di modelli comportamentali aperti, disponibili al confronto, alla critica, al cambiamento. Anche nei confronti dei genitori occorre costruire insieme modelli di comportamenti positivi e rassicuranti. È fondamentale coinvolgere le famiglie rom, sensibilizzarle e soprattutto rassicurarle (la scuola è vista spesso negativamente), per superare la sfiducia che esse nutrono nei confronti della scuola. Occorre lanciare alle famiglie rom il chiaro messaggio che la scuola non è solo dei kaggé (non rom), ma è la scuola di tutti e garantire una maggior valorizzazione della visuale romaní e del modo di porsi di fronte alla vita da parte dei Rom. Infondere fiducia quindi e creare un legame più stretto fra famiglia romaní e scuola anche con l'ausilio dell'attività dei mediatori culturali.

Il successo scolastico degli alunni Rom risiede anche nella risoluzione dei problemi che attanagliano le loro famiglie. A riguardo l'attivazione di una più stretta collaborazione fra Enti Pubblici, istituzioni, assistenti sociali dovrebbero garantire un inserimento meno traumatico delle famiglie rom nel tessuto sociale ed economico.

Le occasioni sistematiche di attività in comune creano le condizioni per costruire una immagine dello stesso bambino Rom più articolata e completa osservando che lo stesso usa strumenti espressivi e comunicativi diversi. Sembra banale e superfluo parlare di socializzazione tra adulti che in questo caso sono docenti, ma spesso proprio i docenti richiedono comportamenti agli alunni in campo sociale che nemmeno loro stessi sono in grado di attivare in un contesto di adulti. D'altra parte la scuola in passato nella sua realtà quotidiana e nella sua cultura ben poco si è interessata alle dinamiche sociali facendo prevalere il modello di una scuola chiusa, gerarchica, rigidamente verticale e omologante, dove ogni insegnante si preoccupava esclusivamente di confrontarsi con se stesso per niente coinvolto o interessato alla risoluzione dei problemi che attanagliavano i bambini Rom. La presenza di un insegnante specializzato nel settore dei linguaggi non verbali e dei mediatori culturali che si aggiungono al normale organico docenti pone l'occasione per mettere a disposizione elementi nuovi in merito ai contenuti ed alla metodologia. L'organizzazione di un progetto educativo multiculturale deve trovare le necessarie solide basi in un assetto istituzionale diverso da quello attuale che ponga in essere le condizioni per una effettiva valorizzazione della diversità.

Dal punto di vista professionale il ruolo dell'insegnante va ridefinito alla luce dell'esigenza non più procrastinabile di una formazione che sappia conciliare una formazione culturale generale ed una formazione più specifica nei campi dell'educazione, della psicologia, della didattica e nella conoscenza della storia, della lingua e della cultura romaní. A tale formazione di base dovrà seguire una sistematica e puntuale, formazione in servizio, utilizzando i canali istituzionali già presenti, ma ancora poco attivi (collegi docenti, IRRSAE, Ispettori tecnici, Associazioni rom, mediatori culturali). Tale ottica evidenzia come l'essere docenti oggi comporti un profilo di alta complessità e di grande responsabilità e richiede la padronanza di specifiche competenze culturali, pedagogiche, psicologiche, metodologiche e didattiche unite a un'aperta sensibilità e disponibilità alla relazione educativa con i bambini. Occorre superare la logica comune che vede l'infanzia come terreno di facile rapporto per ogni adulto che abbia frequentato un corso di studi di grado superiore giustificando questo con la convinzione che il grado di complessità di una scuola e il conseguente livello di professionalità richiesto per i docenti è tanto più alto quanto più elevato è il grado di istruzione frequentato. Gli studiosi ed i ricercatori di questo settore hanno ormai evidenziato la grande responsabilità dell'educatore che interviene in un'età particolarmente feconda e nella quale si possono o non si possono porre le basi per lo sviluppo delle reali potenzialità della mente umana. Lo Stato, da parte sua, non può sottrarsi ai doverosi impegni per sostenere attivamente il sistema scolastico. L'ampiezza dell'intelletto umano, data la sua capacità di essere aumentata dall'esterno, non può mai essere valutata senza considerare i mezzi che una cultura fornisce per potenziare la mente. L'intelletto dell'uomo, allora, non è semplicemente una facoltà individuale, ma è comune nel senso che la sua apertura o il suo potenziamento dipende dal successo della cultura nello sviluppo dei mezzi volti a quel fine. Emerge con forza il modello di un docente professionista che esplica la propria attività secondo lo stile del ricercatore, che, privo di certezze da far apprendere passivamente agli alunni, attiva ogni possibile strategia per portare l'alunno alla scoperta dei concetti, delle "idee-chiave" (come dice il Brunner) dello specifico settore del sapere che viene trattato in quel momento in base ad un'adeguata programmazione. Il problema dello stile professionale rimanda direttamente ad un altro più complesso che è quello della formazione, del reclutamento, dell'aggiornamento dei docenti di tutti gli ordini di scuola.

La formazione diversa dei docenti, in aperto contrasto con il dettato normativo, crea situazioni di disagio che con facilità si può trasformare in contrasto e non facilita nessun processo di avvicinamento tra due culture (quella romaní e quella dei kaggé). Nella storia delle riforme in campo scolastico è ancora assente una visione unitaria che dovrebbe dare anche indicazioni sui tempi di revisione sia degli ordinamenti delle scuole sia dei programmi delle stesse. Soprattutto manca la visione di un sostegno alla cultura romaní. La conoscenza della cultura romaní nella scuola di Stato rimane ancora qualcosa di sconosciuto. Tale ottica, che costruisce delusioni e alimenta incomprensioni e contrasti, è ormai da superare totalmente. L'impegno dei legislatori, che si esprime spesso in documenti innovativi, si deve rivolgere anche all'attivazione di tali documenti facendo diventare operative le affermazioni contenute nei testi legislativi e favorendo pari opportunità per tutti in tutti i modi possibili, una crescita della consapevolezza e dell'impegno sociale intorno ai nuovi nuclei di rinnovamento dei processi scolastici. I Rom devono diventare cittadini a tutti gli effetti con tutti i diritti e doveri e non cittadini d serie Z (zingari)! Se l'intervento politico non persegue tali obiettivi ha fallito già in partenza nella sua strategia palesando o la propria incapacità o la propria non volontà di agire in favore dei Rom.

Nel vuoto normativo che caratterizza il sistema scolastico attualmente varie realtà, per rispondere alle esigenze degli alunni Rom, hanno avviato per proprio conto delle sperimentazioni dalle diverse sfaccettature a seconda delle realtà in cui insistono, predisponendo specifici progetti o verificando annualmente la possibilità o meno di strutturare itinerari integrati. È già qualcosa, ma non basta, occorrerebbero ulteriori momenti organizzativi che possono essere così elencati:

1) individuazione di uno stesso itinerario didattico-educativo sul quale condurre sia gli alunni Rom che kaggé nel rispetto delle differenze culturali;

2) predisposizione di un corretto accordo con le famiglie rom per una adeguata informazione e un necesario coinvolgimento;

3) strutturazione di attività didattiche a carattere interdisciplinare per il collegamento con tutta la programmazione degli alunni Rom coinvolti, nei diversi ambiti di intervento;

4) organizzazione di una completa documentazione dell'esperienza in tutti i suoi passaggi più significativi attraverso vari materiali (carte, immagini, video...)

5) predisposizione di appositi incontri di aggiornamento dei docenti con l'analisi e la discussione dei vari aspetti dell'esperienza e con l'ausilio della documentazione prodotta;

6) organizzazione di specifici corsi di aggiornamento sulla conoscenza e l'approfondimento della cultura del mondo romanó.

7) insegnamento della storia, della lingua e della cultura romaní;

Questi aspetti vanno chiaramente verificati. Il momento della verifica è sicuramente un elemento determinante.

Le verifiche vanno effettuate nel campo psicomotorio, percettivo, rappresentativo, scientifico, i campi linguistico, espressivo, relazionale, antropologico.

Nei confronti degli alunni Rom la scuola dovrebbe garantire il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

1) attivazione di comportamenti adeguati alla situazione scolastica con assenza di qualsiasi tipo di discriminazione che possa provocare di ansia, tensione, preoccupazione;

2) stimolazione dell'interesse nei confronti di attività laboratoriali nuove e condotte con gruppi misti di alunni provenienti da diverse estrazioni culturali e sociali;

3) sollecitazione di rapporti socializzanti sempre più ampi e significativi con esperienze di sostegno reciproco nei vari momenti dell'attività;

4) rispetto della cultura e della lingua d'origine del bambino Rom;

Sul versante dei docenti:

1) superamento delle barriere culturali, sociali,professionali, umane che spesso tengono lontani ed anche contrapposti i docenti e i bambini Rom;

2) ridimensionamento dell'importanza dell'assetto culturale della scuola di Stato, da sempre considerata depositaria di saperi nobili, che legittima l'omologazione della diversità culturale, saperi considerati superiori a quelli legati alle esperienze della corporeità, del suono, del movimento, del viaggio, del colore, per ricostruire un assetto più equilibrato nella convinzione dell'importanza di tutti i linguaggi per lo sviluppo e la estrinsecazione delle potenzialità dell'essere umano;

3) maturazione di comportamenti nuovi, aperti al confronto, alla discussione, alla critica, nell'impegno comune di collaborare per la realizzazione di un progetto congiunto sul quale le diverse opinioni possono scontrarsi, ma debbono anche incontrarsi, nella convinzione che la validità di tale progetto si fonda proprio sulla integrazione dei contributi di tutti.

Sul versante delle Istituzioni lo Stato dovrebbe garantire: la rivalutazione dei Rom da emarginati sociali e perseguitati, a minoranza etnica, linguistica e culturale.

Il dialogo ed il confronto continuo sulle motivazioni, sugli obiettivi, sulla metodologia, sui contenuti, sulle attività condotte, permette a tutti di crescere insieme, contemporaneamente allo svolgersi del progetto e facilita, poi, la verifica e la valutazione.

Occasioni privilegiate per effettuare una valutazione a pieno campo si ritrovano in alcuni momenti particolari che gli alunni vivono nel corso degli anni, momenti nei quali essi devono coniugare tra loro diversi linguaggi, in piccoli o grandi gruppi, per esprimersi e comunicare all'interno di una situazione ben strutturata aperta al dialogo e al confronto con la diversità e la multiculturalità.

L'itinerario da percorrere può seguire due diverse direzioni: dal verbale al non verbale, dal non verbale al verbale.

I docenti, dovrebbero modificare alcuni atteggiamenti professionali non più arroccati su posizioni intoccabili e su direzione a senso unico, ma piuttosto aperta alla valorizzazione all'interno del processo insegnamento-apprendimento di tutte le attività che sviluppano e potenziano le capacità e gli interessi degli alunni. Non più docenti stretti nella morsa del tempo che manca per l'educazione linguistica e logico-matematica, ma docenti sereni nella programmazione e realizzazione di proposte aperte alle più varie possibilità.

Una scuola che opera attraverso una metodologia basata sulla valorizzazione di tutti i linguaggi e aperta alla valorizzazione della differenza culturale che il soggetto possiede, sicuramente assume le caratteristiche della scuola del futuro.

La metodologia della globalità dei linguaggi si prefigge lo scopo dello sviluppo della personalità di ognuno in una graduale presa di coscienza di se, dei propri bisogni e mezzi espressivi. È incentrata sul sentire, l'immaginare, l'esprimere. I suoi presupposti sono: la motivazione e il principio del piacere.

Educarsi alla globalità dei linguaggi significa percepire intensamente le proprie possibilità espressive percependo sé (il proprio se corporeo) ma anche "l'altro". Il fatto di entrare in comunicazione con l'altro riduce le cause del disadattamento sociale perché consente all'individuo di esprimersi secondo la propria potenzialità espressiva, senso-corporale. L'educatore dovrebbe cercare di capire quale particolare sensazione consolatoria viene richiesta dal bambino Rom. Gli obiettivi da raggiungere sono:

-la concentrazione,

-l'attenzione nel sentire sia il mondo attorno che quello interno;

-la percezione consapevole di tutti i sensi e delle loro associazioni sinestesiche;

-la propria concezione, l'espressione con tutti i linguaggi;

-la riflessione sul percepito e sulle tracce espressive;

-la comprensione delle tracce proprie e del gruppo;

-l'associazione analogica fra sé e le altre realtà interpretate con il movimento;

-la consapevolezza della propria individualità percettivo-immaginativa, che comporta il rispetto degli altri nella loro espressività;

- la fierezza d'appartenere alla sua cultura d'origine.

La lettura dei comportamenti senso-motori del bambino tramite prove sulla sua entità corporea sensoriale non è necessaria solo per una considerazione del suo corpo-storia, ma anche per una programmazione di stimoli individualizzati, al fine di un apprendimento basato sulla motivazione. In questa impostazione metodologica sulla conquista dell'Io-corpo, si delineano due possibilità parallele:

-il sapere come vissuto della realtà, che comporta conquista e trasformazione attiva, contrariamente alla passività del sapere indotto dalla parola;

-il comunicare nel riconoscimento della possibilità corporea, globale con tutti i linguaggi, con rafforzo della fiducia nella propria possibilità di espressione e comprensione "dell'altro" nelle sue modalità espressive.

Questo metodo ingloba il complesso della manifestazione motoria di un individuo, rivalutata sotto l'aspetto strumentale ed esecutivo, sia l'insieme delle motivazioni psicologiche e delle intenzionalità che ne sono alla base. Il bambino entra in possesso delle basi di ogni conoscenza. L'insieme delle prime forme di conoscenza legate al movimento, cioé l'intelligenza sensomotoria, precede il linguaggio e si basa sul contatto e sull'uso che il bambino fa degli oggetti che popolano il suo ambiente di vita. In questo modo egli organizza le sue azioni e le sue esperienze che diventeranno in seguito il contenuto del suo pensiero: la stratificazione di immagini affettive-sensoriali riemerge sinesteticamente secondo qualificazioni e quantificazioni simboliche.

L'educazione psicomotoria intende operare attraverso l'attività corporea, non solo a livello motorio, ma anche affettivo e intellettivo, al fine di favorire tutti gli aspetti della personalità. Essa si rivolge sia ai soggetti normali che a quelli in difficoltà particolari, affinché diventino padroni del proprio corpo e quindi del mondo esterno. La globalità dei linguaggi si basa sulla comunicazione a livello ritmico, tattile, visivo, motorio e consente un'effettiva coscienza di sé poggiando sulla indisciplina del corpo dalla mente. Affinché ciò si verifichi è necessario l'approccio interdisciplinare nel vissuto corporeo espressivo globale in cui movimento, voce, tono muscolare, uso delle dita, delle braccia, del corpo, favoriscano il rapporto con la realtà e quindi l'acquisizione del proprio schema corporeo, dell'orientamento spazio-temporale, dell'interiorizzazione dell'essenza delle forme e infine nella crescita della persona.

Obiettivo principale è quello di dare la possibilità di una graduale presa di coscienza di sé, dei propri mezzi espressivi, per favorire lo sviluppo della personalità. Tenendo conto del vissuto di ogni bambino Rom, della sua cultura, del suo ambiente e delle particolari espressività culturali, consente la percezione di sé affine e diverso dagli altri nel comprendere ed apprendere, arricchendo la propria identità umana, nell'integrazione di diversità. Nel vissuto prenatale, attraverso l'educazione corporea (il tatto, il ritmo, la estensione e la contrazione, la stimolazione plurisensoriale) si consente il raggiungimento della percezione profonda di sé: dai moti d'animo psichici, al tono muscolare a quelli fisici.

Il tatto è il senso più importante del nostro corpo; esso ci da la coscienza della profondità o dello spessore e della forma di ogni oggetto; è la prima forma di apprendimento ancestrale dell'IO; è il confine totale tra le sensazioni interne ed esterne.

La mano è mediatrice dei contatti che si formano per mezzo del tatto: peso, consistenza, misura, comportamento della materia. La manipolazione impone un rapporto tonico-muscolare diretto e continuo con la materia, che è comunicativo.

Alle relazioni tattili si associano quelle psicologiche-comunicative con la realtà esterna. Infatti, da come le mani di un bimbo si muovono modificano la materia o rimanendone con disagio imprigionate, si può ricavare il suo atteggiamento alla vita. Frequente è il rifiuto iniziale per l'impiastricchiamento che coincide con la non disponibilità al coinvolgimento anche in altre situazioni; il rifiuto di sentirsi le mani legate o il piacere di liberarle dimostrano in senso più generale sicurezza o insicurezza.

Altro elemento della metodologia della globalità dei linguaggi è il ritmo, elemento essenziale di comunicazione sincronica con il mondo esterno, dalla respirazione alla parola, alla deambulazione, alla musica, all'architettura...

Tutti gli organismi di difesa (dalla pianta all'uomo) si contraggono mentre si estendono in una situazione ottimale; possiamo aggiungere che questi organismi hanno veicolata questa loro pulsione emozionale di contrazione ed estensione da un liquido. Le piante hanno la linfa, l'uomo il sangue; questo liquido segue delle leggi ritmiche e questo ci fa capire che quella degli organismi viventi è una costituzione musicale: il flusso melodico emozionale e le pulsioni ritmiche. Probabilmente proprio perché i Rom ricevono un'educazione che non reprime queste leggi ritmiche che è particolarmente dotato per le attività musicali, creative e psicomotorie.

Riflettiamo sul fatto che noi percepiamo molto con la nostra pelle. Una grande emozione ci provoca ad esempio rossore, pizzicore, bruciore, ecc... Una grande rabbia impressa ci procura brividi. Poi tutta questa sensazione prende corpo: rossore, sudore gelato ecc... Prendiamo così coscienza di un confine del corpo che, a questo punto è il confine delle emozioni.

Il colore ha un grosso significato ed è uno dei rivelatori dei processi più profondi a livello inconscio. Una persona irritata che scoppia dalla voglia di gridare ce lo rivela con il colore della pelle e così una persona impaurita (in cui si realizza la fuga dalla superficie di questo liquido che chiamiamo sangue) impallidisce.

Per questo motivo abbiamo la possibilità di intenderci, oltre le differenze, con il tono muscolare se lo prendiamo in considerazione. Questo dovrebbe essere alla base della preoccupazione degli apprendimenti, dell'educazione in famiglia e della rieducazione in quei soggetti fragilissimi che hanno alle spalle storie traumatiche, non solo handicap psicofisico, ma sociale. Si tratta allora di ridare corpo alle persone, non perché non ce l'hanno, ma perché l'hanno contratto, incapace di lasciarsi andare. Ridare corpo significa ridare un contenimento ottimale,che permette al bambino di ascoltare e di ascoltarsi con e in tutti i sensi.

È importante dunque, richiamare l'attenzione del bambino Rom su alcune parti del corpo, partendo da quelle più utilizzate per arrivare a quelle più difficili da percepire. Attraverso l'alternanza fra mobilità e immobilità, il bambino si esercita, giocando, a controllare il proprio corpo, a muoverlo con fantasia, spinto dalla forza del suono. Si dia ampio spazio alla stimolazione delle capacità associative (strumento musicale e corpo), fino ad arrivare alla danza, momento conclusivo in cui i bambini Rom e kaggé verificano compiacendosi quanto hanno acquisito. La danza è un'occasione di forte aggregazione per il gruppo, ma ancor più è un'attività unificante, perché si fa con la mente e con tutto il corpo. I docenti devono rendersi conto che le attività musicali, artistiche e psicomotorie hanno tanta importanza quanto le attività logico-matematiche e linguistico-espressive.

La conoscenza del mondo, per un bambino, è di tipo plurisensoriale e tra tutti i sensi il tatto è quello primario globale che completa e all'occorrenza vicaria le sensazioni visiva e uditiva, dando le informazioni utili alla conoscenza di tutto ciò che ci circonda: qualità e quantità, che racchiudono tutti i concetti di peso, consistenza, grandezza, viscosità, determinando associazioni e differenze. Il senso del tatto nel mondo romanó è molto valorizzato e sviluppato, fra i kaggé invece il senso del tatto viene trascurato, come non importante, secondo gli adulti che sono stati a loro volta condizionati da una educazione limitativa, orientata alla preminenza di vista e udito, connessi ai linguaggi parlato e scritto.

L'educazione all'immagine e alla comunicazione visiva, connesse a quella sonora-musicale,già stimolate dai mass-media, sono ormai attuate nella scuola, ma l'educazione tattile è stata presa in considerazione molto poco, nonostante nei nuovi programmi si insista sull'apprendimento corporeo e sulla motricità. Il tatto lo si può esercitare non solo con i polpastrelli delle dita, ma con tutta la superficie del corpo.

Un bambino che tocca un oggetto ne apprende la forma, le curve, i bordi, la struttura. Inoltre afferra, spinge, tira e così apprende le proprietà del mondo fisico, compresi i principi della costanza della forma e della conservazione della materia, della trasformazione della stessa che gli fa percepire il proprio potere sulla realtà. Se provassimo a spiegare a parole tutte le sensazioni che prova fisicamente, ci troveremmo sicuramente in difficoltà e il bambino certamente non capirebbe, se non attraverso suoni onomatopeici che evocano l'azione e le sensazioni: liscio, ruvido. Dobbiamo quindi riconquistare questo strumento di conoscenza diretta che la natura ci ha dato e che è alla base del linguaggio, avendo inscritto in ciascuno di noi sulla pelle tutte le "impressioni emotoniche e foniche" delle vibrazioni interne, compresa la voce materna, veicolate dal liquido amniotico in "morfoparole" materiche ed affettive.

Ritornando al bambino, in particolar modo, a quel bambino che ha difficoltà di elaborare mentalmente dietro alla spinta del tatto (difficoltà scomparse con l'intervento del colore), potremo rilevare la necessità di educare gli alunni alla conquista del corpo e dell'ambiente, partendo dal tatto (senso primario), esteso nell'intera superficie del corpo e non limitato soltanto ai polpastrelli della mano.

Pensiamo ai bambini piccoli che salgono le scale e che danno suono ritmico a tutta la loro azione, prevedendo gli appoggi con "accenti vocali". Possiamo dire che contare è cantare; queste che fa il bambino sono infatti tutte misurazioni di sé con la realtà; è come contare il dislivello. Questo linguaggio che conta e canta in tutte le sue qualità, in un bambino è spontaneo ed è un prelinguaggio globale, universale che racconta lo sforzo, la paura, la sicurezza, il dubbio, la vittoria... Allo stesso modo nella cultura mediterranea greca cantare era muoversi non come succede nei cori occidentali in cui tutti sono impalati a cantare. I suoni vocalici vibrano ad altezze diverse ( e sono udibili da noi) nella zona centrale del corpo che potremmo paragonare ad un flauto, in cui gli intervalli sono connessi alle modalità respiratorie. Le vocali sono i suoni delle emos-azioni. Tutto ciò che è chiuso sinesteticamente ci porta a movimenti scuri. La sonorità in U ad esempio ci porta al buio, al chiuso, all'oscuro ed è evocativa dell'utero materno, in cui la vibrazione sferica armonica era una "UUUUUUU" continua. A mano a mano che si sale verso una O piena che vibra nella zona dello stomaco, si verifica uno sblocco. In A (petto) c'è una completa apertura. La E che vibra nella gola è l'unica vocale che ha in se la razionalità ed è la vocale della misura. La I indica una grande eccitazione. Dopo queste considerazioni possiamo vivere le vocali con il corpo.Sinesteticamente parallela a quello dei suoni, c'è la realtà dei colori. Abbiamo i colori freddi (blu, azzurro) che sono quelli della profondità; il rosso dà invece una sensazione intermedia, mentre il giallo viene proprio avanti. allo stesso modo i suoni scuri sono quelli della profondità, quelli in I dell'altezza, quelli in A dell'apertura, quelli in O della centralità. Le vocali diventano così musica. È importante scoprire che siamo sensibili a sette variazioni vibrazionali, 7 note, 7 colori dell'iride, alle vocali con i punti di vibrazione corporea.

È importante proprio per integrare e valorizzare culture diverse scoprire i prolungamenti e accenti vocali nei canti di tutte le civiltà umane. A questo proposito si può fare una riflessione sui canti di lavoro che sono importantissimi. Infatti lavorare IN-SIEME significa respirare insieme con lo stesso ritmo, per cui qualunque sia la provenienza etnica, il periodo storico, lo sfondo ambientale, la soggettiva condizione (compresi disadattamento o handicap) l'uomo comunica e si fa capire attraverso le emozioni che esprime in infinite sfumature delle vocali.

Diciamo subito che il nostro corpo ha dei punti di ingresso privilegiati, quelli della "Mappa tattile", di sensibilità al mondo esterno, che ci fanno in questa azione percepire l'interno. le emozioni,cioé le emos-azioni, le azioni del sangue, tutto quello che è psichico in noi prende corpo attraverso le funzioni del tono muscolare. Il nostro tono emotivo è cioé strettamente connesso con il nostro tono muscolare. In una situazione di paura e di difesa, questi punti si chiudono, si contraggono mentre, in una situazione di fiducia, di benessere, si aprono. Il più importante è il centro del Corpo, con l'azione respiratoria che registra ogni sfumatura emotiva.

Dopo aver riflettuto un po' sulla qualifica di questi elementi sul piano fisico, si può avere più chiara la connotazione di quello che noi siamo in quanto ognuno di noi è tendenzialmente più acqua o più fuoco o più terra o più aria.

La terra rappresenta la condensazione e comprende anche i metalli, i minerali, sempre soggetti a trasformazioni attraverso l'azione dell'Aria,dell'Acqua, del Fuoco. È l'elemento che esalta gli effetti degli altri. Il Fuoco, forza vitale che chiamiamo affettività, è alla base delle dinamiche emotive.Il fuoco è un elemento puro nella cultura romaní.

La Terra attraverso il fuoco può trasformarsi ancora. È come dire che si può rimanere congelati ma il congelamento dipende da una mancanza di affettività per cui,dove interviene questo fattore esterno, ci si può plasticamente ritrasformare, è il motore della vita fisica e psichica. L'animale uomo che prende coscienza di se, è specificamente bisognoso di un ambiente esterno affettivo in quanto da solo non ce la fa a trasformarsi. Questo ci fa capire quale grande funzione terapeutica ed educativa possiamo avere sull'altro. Siamo l'animale più dipendente (anche come autonomia corporea nella quantità di tempo) dal contenimento dell'altro e quindi dal suo investimento affettivo. L'affettività allora è una cosa fondamentale che invece viene sempre più atrofizzata dalle modalità, dai ritmi del nostro vivere, dagli schemi dalle gerarchie, dalle vericalità, dalle convenzioni, dalle istituzioni (compresa quella scolastica); essa non riguarda soltanto i rapporti tra genitori e figli, ma anche l'estensione della personalità di ciascuno nel mondo e quindi la rete di affettività che tale persona riesce a connettere intorno a sé. Per questa ragione l'isolamento si accompagna alla patologia che può diminuire attraverso l'integrazione sociale. Questa integrazione di tipo psicologico passa per la corporeità.

Nella scuola i Rom sviluppano contraddizioni di difficile soluzione e molti complessi personali perché nell'ambito scolastico c'è una sola visuale, una sola prospettiva di vita, funzionale ai modelli di vita dei kaggé che mettono in crisi le conoscenze e la cultura del bambino Rom. I bambini Rom, abituati a vivere senza limiti e in spazi infiniti con la loro mentalità e la loro cultura non omologata, spessissimo non riescono ad adattarsi e per questo rinunciano alla scuola. Preferiscono ripercorrere la strada di casa e rinchiudersi nel calore familiare, ed è chiaro che da adulti avranno non pochi problemi con il mondo circostante in cui fin dall'infanzia non vedono riflessi i propri valori, la propria ottica di vita. Diversi sono i modelli di vita fra Rom e kaggé, ma non inconciliabili. Occorre evitare che il bambino Rom venga chiamato ad operare una difficile, spesso drammatica, scelta .

La scuola è il microcosmo della società multiculturale e ha il compito primario di armonizzare le differenze più disparate: un bambino ben integrato nella scuola non avrà problemi da adulto nella società. Dal segno, alla voce, al movimento:

trasposizione di un linguaggio negli altri

 

Diventa interessante e divertente interpretare il segno in movimento, coinvolgendo tutto il corpo. In uno spazio abbastanza ampio, ciascun bambino viene invitato a raccogliersi (accucciato) davanti al proprio foglio e a guardare la linea eseguita, per poi danzarla, facendo attenzione nel riproporre il percorso grafico tracciato precedentemente. Le linee possono essere pure cantate: la linea retta che taglia il foglio a metà si interpreta con una voce costante e senza alcuna oscillazione; diverso è per quella fatta di curve dove il tono vocale sale e scende in continuazione; le linee spezzate in vari tratti sono le più simpatiche; interpretarle è un gioco di attenzione, poiché c'e alternanza tra canto e silenzio (silenzio = pausa, negli spazi vuoti che interrompono di tanto in tanto il percorso grafico). Infinite sono le linee da inventare, infinite le possibilità di interpretazione con i linguaggi del corpo.

Si è notato, nella maggior parte dei casi, che i bambini sicuri nel tracciare dimostrano delle imprecisioni (dovute a disattenzioni) nella riproduzione motoria del segno, viceversa quelli incerti nella traccia grafica sono piu attenti e precisi nell'espressione motoria (pur dimostrando timore nell'azione).

Molteplici e quasi sempre soggettive sono le risposte che possiamo dare, ma è il caso di evidenziarne una in particolare: il bambino che traccia lentamente, talvolta anche in modo incerto, ha più occasioni di penetrare l'immagine, di farla propria fissandola nella mente e di riproporla quasi fedelmente con il corpo.

Il bambino che graficamente esegue d'istinto, velocemente, dietro l'urgenza di esprimersi, il più delle volte brucia l'immagine mentale, la traccia interna che diventa indispensabile, nel momento in cui gli viene richiesto di esteriorizzare con il movimento.

Diverse sono le osservazioni per il canto delle linee. In questo gioco i bambini più veloci e apparentemente più decisi nel tracciare confermano la loro sicurezza: non hanno paura di far sentire la loro voce, cantano abbastanza correttamente il percorso grafico eseguito (diversamente da quello motorio) poiche il cantare la linea li obbliga a una attenzione meticolosa.

I bambini dal tratto incerto, quasi sempre sono i piu timidi e poco riescono nel "compito"; tirar fuori la voce per loro è un grosso sforzo emotivo; vuol dire affrontare il gruppo, sottoporsi al giudizio degli altri, sovrastando il silenzio.

Da quanto detto, risulta che l'espressione motoria finalizzata crea meno problemi della emissione vocale: la voce è situata nel profondo rispetto al movimento. Una volta fra i giochi preferiti vi erano:

- a stikkhie

- a strusle

- a la morra.

Erano dei giochi semplici e non richiedevano grandi sforzi ne grandi mezzi; erano attinti dalla tradizione popolare locale.

"A Òtikkhie" è un gioco molto pratico: si mettono a terra su di un mattone degli spiccioli e da debita distanza si cerca di far cadere i soldi con una pietra. I soldi caduti rappresentano la vincita.

"A Òtrusie" è un gioco che consiste nel tirare degli spiccioli vicino al muro. Vince gli spiccioli dell'avversario chi si avvicina maggiormente al muro.

"A la morra" è un gioco che consiste nel pronunciare un

numero ed indicarne un altro con le dita di una mano simultaneamente contro un avversario che si esprime allo stesso modo. Vince il punto chi indovina il numero pronunciato risultante dalla somma delle due mani.

 

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