ROM ITALIANI E ROM STRANERI

di Santino Spinelli

 

tratto da "l'Urbanistica del Disprezzo" Campi Rom e Società Italiana
a cura di Piero Brunello ed. Il Manifesto

 

 

Il mondo romanó (zingaro) è costituito essenzialmente da 5 gruppi principali: Rom, Sinti, Kalé (gitani della penisola iberica), Manouche (francesi) e Romnichals (inglesi). In Italia sono presenti solo i primi due gruppi. I gruppi sono divisi in un'infinità di comunità o sottogruppi aventi ognuno proprie peculiarità tradizioni, dialetti ed etnonimi che li distinguono dagli altri. Quella romaní è un'entità culturale paradigmatica e transnazionale che risente dei condizionamenti storici, politici, religiosi, economici, linguistici, sociali e culturali dei paesi ospitanti. Tanta diversità per un popolo unico, che ha come patria d'origine l'India del Nord, è dovuta anche all'assenza di scrittura propria nel corso dei secoli passati. La tradizione orale, esposta alle influenze esterne continue e minacciose, è stata all'uopo adattata per sopravvivere in un ambiente circostante perennemente ostile. La diaspora ha così allontanato i vari gruppi rom e le varie comunità tanto da renderli realtà culturali a se stanti. Tanti secoli di repressioni, di lutti, di paure, di dolori hanno portato i Rom, Sinti e Kalé, Manouche, e Romnichals meglio conosciuti dall'opinione pubblica come rom, a sviluppare uno spiccato senso di individualismo e di autoprotezione. Il Rom braccato, costretto a vivere alla macchia, poteva contare solo su se stesso e sui membri della sua famiglia, diffidava perfino dei Rom della sua stessa comunità a cui non era legato da vincoli di parentela. Ancora oggi questi atteggiamenti di difesa sono evidenti. Un esempio: nonostante siano tantissime le comunità rom, i membri di ognuna di esse sostengono che il proprio gruppo rom è quello "vero", ed è facile sentirgli dire: "Me ©ha©ho Rom!" (io, il vero rom, quello giusto, quello doc). I Rom abruzzesi, a cui io stesso appartengo, non si sottraggono a questo atteggiamento, e ciò provoca l'esclusione da qualsiasi gruppo estraneo, sia esso rom che non-rom, o forse l'autoesclusione da gruppi di diversa appartenenza. I Rom abruzzesi sono passati progressivamente negli ultimi quarant'anni da un sistema di vita prevalentemente nomade a uno seminomade fino ad arrivare ad oggi, con l'adozione di un sistema di vita sedentario che ingloba la quasi totalità delle famiglie insediate nelle regioni dell'Italia centro-meridionale. Alcune famiglie sono anche nel Milanese e nel Bolognese. Sono pochissime quelle che ancora attuano un nomadismo stagionale, alternando viaggi nel nord Italia nel periodo estivo per poi trascorrere l'inverno nelle residenze abituali, completamente estinte le famiglie nomadi. La scomparsa del nomadismo incide fortemente anche sui rapporti con gli altri gruppi. Le cause che sono alla base della scomparsa del nomadismo fra i Rom abruzzesi vanno ricercate nel boom economico degli anni '60, che ha investito la società italiana e ha cambiato il sistema economico. L'industrializzazione, l'evoluzione tecnologica, la razionalizzazione del processo produttivo hanno soppiantato le attività tradizionali dei Rom abruzzesi: piccolo artigianato, commercio e allevamento dei cavalli e attività connesse. Queste attività, esercitate nelle fiere di diverse città italiane, alle porte delle quali i Rom si accampavano per diversi giorni, esigevano un continuo girovagare ed erano fonte di guadagno. Con la progressiva riduzione delle attività tradizionali e la conversione delle stesse in attività più redditizie (commercio di auto usate) o che richiedevano maggiore stabilita in un luogo, il nomadismo è oggi praticamente scomparso tra i Rom abruzzesi. Un apporto determinante è stato dato anche dalle politiche locali votate ad una maggior apertura nei confronti dei Rom Abruzzesi, con l'assegnazione di case popolari. La mia vita si è sviluppata lungo tutto questo cambiamento che ha investito tante famiglie di Rom abruzzesi, fra cui anche la mia famiglia. In questo lasso di tempo, infatti, i Rom abruzzesi hanno cambiato il loro tenore di vita e molte famiglie, oggi, le stesse alle quali un tempo le autorità non permettevano di entrare nelle fiere perché prive di documenti e di stabile dimora, sono ricche, alcune ricchissime. Sono veramente poche, pochissime, le famiglie che non hanno un tenore di vita accettabile. Così i Rom abruzzesi, come pure i Sinti italiani, che esercitano le tradizionali attività di giostrai e circensi, che nel loro insieme rappresentano i Rom di antico insediamento in Italia, grazie alle condizioni di vita raggiunte, vorrebbero ben "apparire" ed essere ben considerati dall'opinione pubblica, anche in relazione alle loro attività. Per questi motivi il recente e recentissimo arrivo in Italia dei Rom provenienti dai territori della ex Jugoslavia non è stato gradito. Questi "nuovi" Rom italiani rappresentano nel loro insieme una esigua percentuale rispetto al numero di rom di antico insediamento, eppure sono quelli che maggiormente attirano l'attenzione dei mass-media per le pessime condizioni di vita in cui, loro malgrado, sono costretti a vivere. Taluni sostengono che questi Rom sono avvezzi a tali miserie per tradizione o costume e che perciò scelgono di vivere in tal modo. Nulla di più falso, nessun essere umano sceglie di vivere di stenti, di miserie e di sporcizia se non è costretto. Spesso, essendo cittadini stranieri, non hanno il permesso di soggiorno (ma molti sono scappati dalla guerra!) e quindi, secondo le norme vigenti non possono essere assunti o svolgere alcun lavoro e le attività più "nobili" che possono esercitare per sopravvivere sono: l'accattonaggio e il piccolo furto. Molti vivono stipati nei campi nomadi, veri e propri ghetti dall'aspetto ripugnante, situati nei quartieri degradati delle città, sovraffollati, in condizioni igienico-sanitarie precarie, costretti a condividere uno spazio vitale con comunità romanès estranee, rifiutati, disprezzati, minacciati dai residenti. Questi Rom vivono le loro frustrazioni, le loro angosce, la loro miseria in una logorante rassegnazione e disperata allegria al tempo stesso, e a farne le spese sono soprattutto i bambini, vittime innocentissime di una stolta rappresaglia razziale (Milano, Pisa, Roma ecc., ecc.) e della "legalizzata" e scandalosa pulizia etnica di casa nostra. L'arrivo dei Rom della ex Jugoslavia è stato vissuto dai Rom italiani innanzitutto come una minaccia alla propria immagine e alla propria dignità, una reazione, forse inconscia, a un passato fatto di stenti, di umiliazioni e di miseria che hanno superato, un ricordo che forse vorrebbero rimuovere. Pero, ci sono anche altre motivazioni come, per esempio, la concorrenza nella mendicità o i ripetuti furti che alienano simpatie e amicizie a quelle famiglie romanès italiane che fanno dell'accattonaggio o della piccola vendita porta a porta le principali fonti economiche e di sostentamento. Da sottolineare anche che, da parte delle istituzioni e delle organizzazioni di volontariato, c'é stato un impegno a favore dei Rom della ex Jugoslavia come mai si è verificato nei confronti di quelli italiani. I Rom di antico insediamento fanno sicuramente meno "notizia", è meno facile "abbindolarli" e rappresentano una "merce" meno pregiata per certe organizzazioni tentacolari pro-rom che da trent'anni imperversano in Italia per ottenere finanziamenti dagli enti pubblici in nome e per conto dei Rom, i quali in realtà non ottengono nessun beneficio. È vero che occorre, per amor di verità, distinguere e rispettare il sano e onesto volontariato da parte di persone sensibili e solidali nei confronti dei Rom. Tuttavia certi enti morali e organizzazioni diretti da caggé (non Rom) senza scrupoli, si sono arrogati il diritto di rappresentare i Rom nelle sedi istituzionali, di strumentalizzarli a piacimento, di soffocare eventuali iniziative non gradite e soprattutto di controllarli. Le loro discutibili attività, che spessissimo hanno fini personali, rappresentano uno sperpero pubblico di denaro e un grande ostacolo al movimento di rivendicazione romanó in atto. Hanno quindi il grande demerito di ritardare in Italia il processo di emancipazione dei Rom e Sinti, che all'estero ha invece già raggiunto notevoli dimensioni. I rapporti, fra le varie comunità romanès non sono idilliaci, ma conflittuali. I Rom abruzzesi tendono a classificare se stessi come Rom e come caggé i non rom. Gli altri gruppi, o comunità di rom, vengono classificati genericamente come Sinti o Rom slavi da cui tendono a mantenere una certa distanza per le diverse abitudini, le diverse tradizioni, le diverse esigenze e per il diverso, e spesso incomprensibile, dialetto parlato. I Rom della ex Jugoslavia, per la loro tendenza a chiedere l'elemosina facendo tremare le mani, vengono chiamati anche "Tremaròle" e da qualcuno, con disprezzo, anche "gavalé". Quest'ultimo termine ha un'accezione fortemente dispregiativa e si avvicina al significato di "miserabile". Esso e utilizzato in maniera impropria perché è un aggettivo che deriva dal sostantivo gàve che significa "villaggio, paese" ed e quindi sinonimo di caggió (non rom), ma resta invariato il peso del disprezzo che questo termine comporta. È chiaro che per il caggió, che rappresenta l'opinione pubblica, disinformato e diffidente, che ha anche un modo diverso di concepire la solidarietà e di relazionarsi con gli altri, l'atteggiamento di auto affermazione e di difesa che i Rom palesano e i contrasti esistenti fra le varie comunità sono incomprensibili. Non sa spiegarsi perché nessun gruppo rom si senta vicino agli altri, né tanto meno comprende perché i nuovi arrivati non abbiano cercato di avvicinarsi a quelli di antico insediamento. Del resto, i pochissimi rom che hanno superato questi conflitti e il particolarismo di gruppo sono dei pionieri di un lungo, difficile e faticoso cammino. Gli attriti che si elevano come barriere divisorie fra le comunità romanès sono, in ultima analisi, il risultato di un insieme di cause fra le quali possiamo sicuramente citare: le politiche attuate contro i Rom dalle autorità, basate da sempre sul rifiuto della romanipé e dirette alla frantumazione delle comunità e dei gruppi rom, anche attraverso il razzismo istituzionalizzato, che provoca nei soggetti più deboli l'allontanamento dalla propria tradizione e dal mondo romanó con il rifugio nell'assimilazione e nella spersonalizzazione; la scarsissima conoscenza della propria storia e delle proprie origini da parte degli stessi Rom e Sinti che impedisce loro di avere un quadro completo del mondo romanó e dell'importanza della propria identità culturale; la dilagante disinformazione sul mondo romanó che genera stereotipi negativi e pregiudizi che sono, a loro volta, alla base delle manifestazioni razziste e xenofobe contro i rom; l'attività deleteria (per i Rom) delle già nominate organizzazioni, in forte attrito fra di loro e in concorrenza, pronte a scagliare i propri "zingarelli", ignari ed incoscienti, contro gli altri; le immagini manipolate dai mass media che elevano a modelli culturali semplici fatti sociali, così che l'errore di un singolo porta alla condanna di tutte le comunità romanès e al rifiuto della cultura romaní. L'insieme di queste cause sfocia in una guerra invisibile e freddissima nei confronti dei Rom che miete quotidianamente vittime, sotto l'apatico sguardo dell'opinione pubblica che viene lasciata nella totale confusione e nella disinformazione. Le "democratiche" e "civili" misure attuate contro i Rom sono ormai legalizzate e comunemente accettate, anzi pubblicamente sembrano "giuste" e "opportune", in realtà rappresentano una repressione disumana e vergognosa indegna di una società moderna. I Rom a questa repressione rispondono con l'autoesclusione, l'indifferenza e l'apatia verso tutto ciò che è estraneo al loro mondo. Disillusi e senza speranza di poter accedere alla società maggioritaria se non al prezzo della spersonalizzazione, i Rom prendono le distanze da tutti gli estranei alla propria famiglia e da tutto ciò che non rientra nella sfera degli interessi personali. Da qui l'atteggiamento di ostilità e di rivalsa manifestato da tutti i gruppi e le comunità romanès. Gli eventi passati ci hanno divisi. Oggi, noi Rom, Sinti e Kalé, Manouche e Romnichals abbiamo il dovere e il diritto di ricomporre la nostra unità, nel rispetto delle nostre differenze. È chiaro che i particolarismi che dividono i gruppi rom vanno al più presto superati. Ogni gruppo e ogni comunità ha pari dignità, poiché ognuno rappresenta un tassello di quel grande mosaico culturale, sociale, linguistico e umano che i Rom rappresentano con il loro mondo, e che i nostri padri hanno saputo difendere caparbiamente e orgogliosamente in condizioni difficilissime, nelle quali altre minoranze etniche sono scomparse. Ogni nucleo romanó è depositario di una parte della "verità romaní" e della "romanipé (ziganità)"; da qui l'importanza di tutte le comunità, anche, di quelle più piccole, anche di quelle più povere. Se non riusciramo a rispettarci tra di noi, come possiamo pretendere di farci rispettare dai caggé? Occorre superare le divisioni e gli attriti fra i vari gruppi e le varie comunità romanès, il becero paternalismo di certi preti, le organizzazioni pro-rom sfruttatrici e manipolatrici, le teorie stupide di certi "scienziati degli zingari" secondo cui i Rom e i Sinti non sono in grado (e per loro non lo saranno mai) di promuovere la propria cultura; sarebbe come dire "solo gli americani o i giapponesi sono in grado di promuovere la cultura italiana, perché gli italiani non sono in grado": nulla di più falso e deleterio per la dignità del nostro popolo. A che serve valorizzare la cultura romaní, senza però minimamente valorizzare gli stessi Rom e Sinti? Così, invece di costituire un valido supporto, le organizzazioni pro-rom pretendono di trascinare i Rom come cuccioli al guinzaglio e usarli come marionette. Purtroppo l'incoscienza e l'ingenuità ideologica di alcuni Rom e Sinti compiacenti fanno la fortuna di queste organizzazioni. L'amicizia di certi "benefattori" e studiosi o pseudo tali, espressa nei confronti dei Rom, nasconde in realtà l'arrivismo personale, la commercializzazione della cultura romaní. La cultura e la lingua romaní in tal modo non sono più una donazione che i Rom e i Sinti fanno al mondo intero, spontaneamente e di propria volontà, per farsi conoscere, per farsi amare, per iniziare un cammino nuovo e costruttivo, ma di esse vi è un vero e proprio sciacallaggio e una vera e propria estorsione senza alcuno scrupolo. Chi vuole veramente aiutare i Rom ed esprimere sinceri sentimenti di solidarietà, senza alcuna forma di paternalismo, si impegna a non arrogarsi il diritto di rappresentarli, ne di oggettivarli e neanche di assisterli, ma li aiuta ad esprimersi, a prendere coscienza dell'importanza della propria identità culturale e ad essere protagonisti della propria cultura, rimuovendo gli ostacoli che la società ha posto. Di questi "veri" amici i Rom e i Sinti hanno bisogno. I Rom e i Sinti devono avere la possibilità di poter decidere liberamente della loro vita e non seguire i cliché "imposti", come per esempio "Non si e più Rom se si lavora, si studia, non si ruba, non si chiede l'elemosina, non ci si sposa con una o uno dello stesso gruppo, ecc.". Queste goffe e stolte pseudo-teorie rappresentano una cappa dannosa che non favorisce un rinnovamento, ma costringe i Rom e i Sinti a essere emarginati e a vivere anacronisticamente. Il passato dei Rom, che deve essere conosciuto e valorizzato, aiuta a comprendere meglio il presente e a delineare la strada da intraprendere per il futuro. Anche i nostri padri, rispetto ai loro predecessori, si sono dovuti adeguare ai loro tempi, rinnovarsi per meglio convivere con l'ambiente circostante e con l'attualità. Un tempo non esistevano le influenze dei mass media, esistevano altre forme di pericolo e altre necessità di difesa e di protezione. Oggi, occorre acquisire gli strumenti "giusti" per difendersi dalle nuove forme di repressione. L'analfabetismo, i rapporti endogamici e il nomadismo erano un tempo validissime "armi" di difesa, poiché limitavano i contatti con il mondo esterno. Oggi, soprattutto l'analfabetismo è la principale causa della nostra debolezza. È penoso vedere un Rom che in un municipio non è in grado di richiedere un certificato di nascita. Con i tempi che corrono, per restare se stessi, occorre essere "preparati". Da qui la necessità di un rinnovamento seguendo l'antico esempio dei nostri padri. Rinnovamento necessario per chi vive nella sofferenza, nella incertezza, nella crisi di identità, nella situazione conflittuale di dover condividere i valori etici tradizionali romanès e le esigenze complesse della "modernità". Il nuovo secolo dovrà vedere Rom, Sinti e Kalé, Manouche e Romnichals raccogliere sfide insidiosissime sul piano politico, economico-sociale e scolastico educativo se non vorranno sciupare ciò che i loro avi hanno saputo difendere anche a costo della vita: la libertà di esistere. La posta in palio è altissima, si gioca sulla loro pelle e su quella dei loro figli. Per questo nessuno si può arrogare il diritto di rappresentarci e di dirci ciò che è "meglio" per noi, soprattutto se questi "consigli" nascondono interessi personali. Che siano quindi i Rom, i Sinti, i Kalé, i Manouche e iromnichals a decidere in piena autonomia e nel rispetto della libertà individuale e a scegliere la strada da seguire. Questa opportunità deve essere garantita e tutelata. La vera rivendicazione e l'effettiva emancipazione da parte del movimento romanó che comincia a delinearsi in Italia passa attraverso il sacrificio economico e l'organizzazione autonoma degli stessi rom, nonché attraverso il reciproco rispetto, la solidarietà, il confronto costruttivo "interno" prima che "esterno". Tutte le forme di assistenzialismo mortificano la dignità del nostro popolo. Occorre rifiutare di essere considerati semplici "oggetti di studio" e porsi invece come soggetti di confronto che possono avvantaggiarsi attraverso il reciproco scambio con la società maggioritaria. Occorre "ripulire" la nostra immagine troppo distorta e demonizzata dai mass media. C'é la necessità di informare correttamente non solo sulla loro storia, la loro cultura, le loro tradizioni, la loro arte, ma anche di combattere le strumentalizzazioni. È tempo che iRom prendano coscienza, attraverso un' adeguata opera di "educazione", dell'importanza della propria identità culturale, della propria storia e delle proprie origini, dell'esistenza della lingua romaní comune, veicolo di comunicazione mondiale e lingua delle future generazioni rom, e delle leggi esistenti anche a livello comunitario e regionale a sostegno della cultura romaní. Occorre che, attraverso un'adeguata scolarizzazione che non allontani dalla propria cultura, ma al contrario la rafforzi, i Rom acquistino i mezzi necessari per difendersi e al tempo stesso diventino dei soggetti attivi all'interno della società maggioritaria che li ospita, senza dover rinnegare le proprie origini e senza essere cittadini di "serie B". Con pari opportunità di altri cittadini italiani i Rom e i Sinti potrebbero cosi accedere a finanziamenti che permettano loro di promuovere direttamente la propria cultura e di organizzarsi in sua difesa. I Rom e Sinti così "educati" darebbero un grande impulso al movimento rivendicativo con enormi benefici per tutti i gruppi e tutte le comunità romanès. Che ben vengano le manifestazioni che permettono di divulgare e valorizzare la cultura romaní, a patto che siano i Rom e i Sinti i veri protagonisti e non mera cornice. Il confronto costruttivo, quello che passa attraverso l'incontro diretto e un rapporto di conoscenza fra l'opinione pubblica e il mondo romanó, restituisce ai Rom, Sinti, Kalé, Manouche e Romnichals la loro dignità e ai caggé fornisce l'occasione per accostarsi a un notevole patrimonio umano e culturale. Occorre dare all'opinione pubblica gli strumenti per far conoscere la mentalità romaní e la nostra filosofia di vita. Si farebbero dei grandi progressi sulla strada che porta alla città della felice convivenza. Il caggió che riesce a superare l'alone di mistero e di pregiudizio che avviluppa il mondo romanò e ad entrare nella realtà culturale romaní ne resta affascinato e quanto meno sorpreso per i valori etici, per il calore umano e per la verità che vi scopre. A questo riguardo posso citare l'esperienza delle due edizioni della manifestazione "Prin©karanÞ, Conosciamoci. Incontro con la cultura romaní", organizzate con la collaborazione di numerosi organismi internazionali, che ha dato l'opportunità a migliaia di persone di entrare in contatto diretto con rom di varia nazionalità. La corretta informazione, da una parte, e la "giusta" educazione dall'altra, sono gli elementi imprescindibili per favorire 1'incontro fra mondo romanó e società maggioritaria, per un miglioramento globale della situazione. Un "rinnovamento" e un "incontro" necessari per restare se stessi e per non essere stritolati dalla morsa dell'intolleranza, del razzismo, della guerra invisibile, dell' opportunismo. I Rom, Sinti e Kale, Manouche e Romnichals devono avere l'opportunità di scegliere i sistemi di vita più adatti e rispondenti alle proprie esigenze e a quelle delle proprie famiglie. Chi decide di votare la propria vita al nomadismo, abbia la possibilità di poter educare i propri figli (anche attraverso l'insegnamento a distanza) e di trovare possibilità di sosta non nei campi nomadi, veri e propri "lager moderni", espressione di ghettizzazione e di rifiuto da parte della cosiddetta società civile e democratica, ma in aree di sosta attrezzate, ampie e aperte a tutti: italiani, stranieri, Rom e Sinti. Aree custodite, ma che non sopprimano la libertà individuale o la privacy familiare, che possano essere punto di incontro, di scambio, di crescita fra chi usufruisce civilmente delle strutture a disposizione, e non un luogo di rastrellamento, di controllo e di discriminazione. Strutture flessibili, quindi, adattabili alla situazione e che evitino l'emarginazione. Aree siffatte, favorirebbero nel Rom il rispetto per se e per gli altri e abbasserebbero il livello di conflittualità fra il mondo romanó e la società maggioritaria. I campi nomadi attuali sono invece più utili ai caggé (controllo e speculazione) che ai Rom e Sinti. Il futuro dei rom si svilupperà nel modo in cui sapranno salire sul treno della formazione culturale e professionale, dalla presa di coscienza della propria identità storica e culturale, dall'azione e dal peso politico che avrà il movimento romanó a livello internazionale, nazionale e locale, da come sapranno superare la deleteria attività di quelle organizzazioni pro-rom che tolgono spazio, risorse e mezzi oltre a presentare all'opinione pubblica e alle istituzioni il solito cliché negativo del Rom povero e misero che giustifica la loro esistenza e l'assistenza (e la richiesta di finanziamenti), da come sapranno inserirsi nel contesto sociale ed educativo maggioritario senza esserne assimilati, da come sapranno riconvertire le attività economiche tradizionali, infine, da come sapranno organizzarsi fra di loro in maniera costruttiva, in associazioni completamente autonome. La collaborazione dei caggé è in prospettiva fondamentale, ma occorre scegliere quelli "giusti". Le associazioni rom autonome devono essere aperte a tutti e aperte al confronto costruttivo. Occorre evitare qualsiasi forma di ghettizzazione e di auto esclusione. Sarebbe opportuno creare successivamente una federazione a livello nazionale che possa poi federarsi con il movimento romanó a livello internazionale. Chi vuole realmente e sinceramente migliorare la situazione dei Rom e Sinti non può eludere questi problemi e occorre che si munisca di una grande dose di coraggio, perché la strada da percorrere e tortuosa, difficile e insidiosissima. Nel frattempo altre vittime innocenti periranno e a loro occorre chiedere umilmente perdono.